Sfratto al Cinema Palazzo. Ma la questione è politica, non giudiziaria
Stamattina i sigilli. Di lì a poco la nuova occupazione. Una vicenda iniziata nel 2011: quando i proprietari volevano farne un casinò, nel cuore di San Lorenzo
È una notizia da due righe, o forse quattro. È un problema di carattere generale che si continua a non affrontare in modo sistematico, limitandosi a interventi singoli. Singoli, e talvolta “spot”.
Cominciamo dalla notizia: stamattina, nel quartiere di San Lorenzo, sono stati messi i sigilli al Cinema Palazzo, che era occupato dal 2011 e che da allora in poi è stato utilizzato per una fitta attività associativa. Con un preciso orientamento politico, diciamo così “di sinistra”, ma questo è un fattore secondario. E ci torneremo dopo.
Lo sfratto, ci mancherebbe, è a norma di legge. È arrivato l’ufficiale giudiziario, su mandato della Corte di Appello di Roma – Ufficio Esecuzioni, e ha posto sotto sequestro l’immobile. Sull’avviso che è stato affisso, a sancire l’avvenuta operazione, domina ovviamente il burocratese: “In pari tempo si diffida a non turbare il possesso testé dato alla parte istante e a non più ingerirsi…” eccetera eccetera.
Il monito non è bastato. Di lì a non molto, i fautori dell’occupazione hanno rotto i sigilli e si sono ripresi i locali. Un atto che è indubbiamente illegale, ma che tuttavia ha le sue brave motivazioni. Come si legge sul sito, nuovocinemapalazzo.it, tutto ebbe inizio il 15 aprile 2011 per opporsi a un progetto inquietante: “l’apertura di un casinò che senza nessuna autorizzazione stava nascendo” nel quartiere.
E questo ci porta appunto alla questione di carattere generale: il rapporto tra diritti giuridici dei proprietari e diritti politici della collettività. Mentre avvocaticchi e questurini possono arroccarsi sui primi, e infischiarsene di ogni altra implicazione, le persone intelligenti devono contemplare anche i secondi.
Chiedendosi, volta per volta, se quello che è oggettivamente un reato sia davvero meritevole di sanzione. O se invece la violazione di partenza non abbia poi trovato, strada facendo, una legittimazione morale che impone di riconsiderare l’intera vicenda e darle risposte meno meccaniche. Meno unilaterali. Meno ottuse.
Cinema Palazzo, CasaPound, etc.
Lampante: siamo nel regno della politica. Che non dovrebbe limitarsi a osservare questo genere di situazioni in maniera inerte e pilatesca, ma entrare nel merito e agire d’imperio. Anche ai danni dei proprietari, laddove ci siano dei buoni motivi di interesse generale.
Così come esistono gli espropri per costruire le strade (o le autostrade, per poi darle in concessione ai privati…), sarebbe bene fare altrettanto quando un edificio altrui sia stato utilizzato a scopi condivisibili. E a maggior ragione se, come in questo caso, la contrapposizione sia tra iniziative senza fine di lucro e un intento prettamente speculativo, tanto più se incentrato su un business infido come il gioco d’azzardo.
Certo: come abbiamo già accennato all’inizio, la gestione del Cinema Palazzo è stata fortemente orientata a sinistra. O persino all’estrema sinistra. Sul sito della (sedicente) Libera Repubblica di San Lorenzo ci si richiama in modo perentorio a una “scelta antifascista, antirazzista e antisessista”, e va da sé che si possa non essere nemmeno lontanamente d’accordo. Ma non è questo il punto.
Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale anche per CasaPound. O per altre realtà variamente schierate in un senso o nell’altro.
La magistratura applica la legge. La politica deve essere capace di andare oltre: e all’occorrenza di cambiare le norme esistenti, specialmente quando ci siano da difendere delle attività culturali lontanissime dalle scempiaggini tossiche del mainstream.