Signor Presidente, non possiamo non essere con lei (malgrado i dubbi)
La stretta su ristorazione e cultura lascia perplessi, eppure è doveroso stringersi attorno alle istituzioni. Anche se l’emergenza non è drammatica come i media la dipingono
Signor Presidente Conte, dopo la firma del nuovo Dpcm di ottobre – l’ennesimo – non possiamo nasconderle le nostre perplessità. Non abbiamo mai fatto sconti all’operato del suo Governo, e anche stavolta alcune delle misure anti-Covid non ci convincono.
Ci riferiamo in particolare all’obbligo, per i servizi di ristorazione, di chiudere alle 18. Una disposizione che rischia di dare il colpo di grazia a un settore che dal febbraio scorso sta continuando a pagare un prezzo altissimo. Tanto che le stesse Regioni si sono fatte portavoci del disperato grido d’allarme del comparto: «molte di queste imprese rischieranno di non riaprire più».
Sappiamo che Lei, signor Presidente, è perfettamente consapevole della gravità di questa situazione. Altrimenti non avrebbe affermato che «sono già pronti gli indennizzi a beneficio di tutti coloro che verranno penalizzati da queste nuove norme». Aggiungendo inoltre che «i ristori arriveranno direttamente sul conto corrente dei diretti interessati con bonifico bancario dell’Agenzia delle Entrate».
Plaudiamo all’intenzione, che però va attuata immediatamente, evitando che l’unico beneficio della sua rassicurazione resti l’aver insegnato che il termine “ristoro” significa anche “risarcimento”. Non dimentichi che tanti, troppi Italiani non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione e i bonus dei mesi del lockdown. A differenza di tasse, bollette, affitti e cambiali che arrivano puntualissimi, impietosi e incuranti di tutte le difficoltà dovute alla crisi da Covid-19.
Le ragioni del malessere sociale
Signor Presidente, stavolta non sono ammessi ritardi, ma soprattutto non sarà ammissibile che la sua promessa resti lettera morta. Non c’è il suo prestigio o la sopravvivenza del suo esecutivo in ballo, c’è la vita della gente. E anche di questo sappiamo che Lei è ben conscio, avendo ammesso che «se fossi dall’altra parte, anche io proverei rabbia».
Il disagio è già esploso in manifestazioni di violenza, che chiaramente non sono mai tollerabili. Derive a parte, però, il crescente malessere sociale non si può sottovalutare. Nessuno può essere lasciato indietro, nessuno deve essere lasciato solo, soprattutto quando monta il sospetto di ingiustizie e disparità di trattamento.
Glielo ha manifestato anche un suo Ministro, la renziana Teresa Bellanova. «Vorremmo comprendere per quale motivo, se il problema sono i trasporti pubblici, si pensa di risolverlo chiudendo palestre o ristoranti» l’ha incalzata la titolare dell’Agricoltura.
E si può fare riferimento anche a teatri, cinema e in generale ai luoghi della cultura. Serrati nonostante, secondo uno studio dell’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo, in quattro mesi ci sia stato un solo contagiato a fronte di 347.262 spettatori totali.
E potremmo andare ancora avanti. Per esempio, evidenziando come la chiusura degli impianti sciistici sembri una decisione “di pancia” legata alle polemiche per l’apertura della stagione invernale a Cervinia. O facendo presente che i giuristi provano un certo imbarazzo di fronte alle “raccomandazioni”, forti o deboli che siano. O, ancora, sottolineando che non basta dichiarare che «non abbiamo introdotto il coprifuoco, non è una parola che amiamo» per cancellare l’odiosa sensazione del semi-lockdown. Un concetto sgradevole resta tale anche se gli si cambia nome.
Signor Presidente, nonostante i dubbi siamo con lei
Eppure, signor Presidente, proprio noi che non Le abbiamo lesinato critiche, nonostante tutti i nostri dubbi, siamo con lei. O meglio, parafrasando il grande Benedetto Croce, non possiamo non essere con lei.
Perché nel momento della necessità è doveroso stringersi attorno alle istituzioni. E badi che restiamo convinti che l’emergenza non sia così drammatica come i media la dipingono, non foss’altro perché i nuovi positivi sono in stragrande maggioranza asintomatici.
La nostra, dunque, non è un’adesione acritica come quella di qualche manutengolo che a inizio pandemia farneticava che si aveva a che fare con «un semplice raffreddore». Riteniamo però che ci sia un’ora per le diatribe, e un’ora per rimboccarsi le maniche.
Gli eventuali processi, dunque, li rimandiamo a tempi migliori. Sperando di tutto cuore che non ve ne sia bisogno.