Simone Camilli, una vita e il lavoro nel sangue
E’ morto nell’ospedale di Kamal Adwan Simone Camilli, giornalista attivo a Gaza dal 2006
Si possono avere tante cose nel sangue. Non solo globuli e piastrine. Simone Camilli, il video reporter romano dell’Associated Press ucciso dall’esplosione di una granata israeliana a nord della Striscia, “aveva questo lavoro nel sangue” – racconta suo padre. Un padre ex giornalista Rai, “fiero” di suo figlio. Perché Simone aveva “scelto” di seguire le orme paterne e di farlo “con grande passione”, “sempre in prima linea”.
Ma a parlare di Simone, trentacinque anni, non è solo la famiglia. Anche la sua storia professionale parla di lui, una storia che, come per tutti i reporter, è indelebile, destinata per sua stessa natura a restare impressa. Il 2006 è l’anno in cui si reca a Gaza per la prima volta, durante gli scontri tra Hamas e al Fatah. Dopo due anni, ancora, sarà l’operazione israeliana ‘Cast Lead’ a spingerlo in quel fazzoletto di terra martoriata che rivedrà nel 2011 e l’anno successivo. Nel 2011 documenterà lo scambio dei 1027 detenuti palestinesi per la liberazione di Gilad Shalit e, nel 2012, la rappresaglia missilistica con cui Israele risponde ai razzi piovuti su Tel-Aviv e Gerusalemme, nome in codice: ‘Colonna di nuvola’.
Poi arriva il 2014 e la storia di Simone, assieme a quella del suo traduttore, di un collega dell’agenzia di stampa palestinese Wafa e dell’intero team di artificieri, si ferma a Biet Lahya. E’ il 13 agosto, è in corso il tentativo di disinnesco di un ordigno israeliano, eseguito dai migliori, ovvero un gruppo di artificieri della polizia di Gaza tra i più esperti. Camilli è sul posto, ad occupare quella “prima linea” di cui parlava suo padre. Qualcosa va storto. Alla prima detonazione ne seguiranno altre cinque, quelle di altri cinque ordigni annidati lì vicino. Così, all’ospedale di Kamal Adwan, poco dopo, il personale medico non potrà far altro che constatare il decesso di tutti. Non c’è niente da fare. Non c’è mai niente da fare per chi, come Simone, “aveva questo lavoro nel sangue”. Il prezzo di non esser fatti di soli globuli e piastrine.