Sotto il suolo di Roma c’è un buco: 32 km di gallerie e 90 voragini l’anno
Erasmo d’Angelis, a capo di Italia Sicura, afferma che: “Roma è tra le città più a rischio di frane in Italia”
Da anni ISPRA e CNR denunciano la situazione della Capitale costruita su 32 km di gallerie, con possibilità di frane, alluvioni e una media di 90 voragini l’anno, che inghiottiscono tutto ciò che trovano sulla strada. Fino ad ora non è morto nessuno, ma non si può aspettare che accada.
Roma di sotto
Nel momento in cui state leggendo questo articolo, sappiate che a Roma sono presenti 538 fenomeni franosi. Non in atto, ma potrebbero muoversi, da un momento all’altro, per cause diverse. Riguardano in particolare le aree a nord ovest della città: la collina di Monte Mario, viale Tiziano, Monteverde vecchio, Balduina.
Inoltre Roma ha 32 km di gallerie sotterranee. Ogni anno si verificano una media di 90 voragini. Poi ci sono le alluvioni dovute a piogge e cambiamento climatico che possono sempre verificarsi, con l’esondazione del Tevere e dei suoi affluenti. Sono dati raccolti nel primo rapporto su rischio alluvioni, frane e acque sotterranee dell’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e del CNR.
Le voragini non sono più da considerare una casualità
Il rischio è più alto nei quartieri Tuscolano, Prenestino e Tiburtino. Cui si aggiungono Aventino, Palatino ed Esquilino. In generale le voragini si concentrano nella parte orientale della città e tendono a formarsi per via della lunga rete di gallerie sotterranee scavate dall’uomo. Roma di fatto è costruita su una specie di “groviera”!
Una complessa rete di cavità sotterranee, formatasi in più di duemila anni. Cavità che in particolari condizioni possono provocare il crollo degli strati più superficiali del terreno, con la formazione di voragini. Ispra e Cnr-Igag hanno pubblicato la carta della suscettibilità alla formazione di voragini a Roma del 2022. Le rilevazioni e la realizzazione delle carte sono state possibili grazie agli accessi in antichi imbocchi di cava, bunker, catacombe, ipogei privati. È emerso che più di 20 chilometri quadrati di territorio sono interessati da cavità sotterranee.
Più di 30 chilometri quadrati di suolo urbano sono interessati da eventi di sprofondamento. Un’altra causa che può provocarle sono i guasti, le perdite e il malfunzionamento della rete idraulica. Fenomeni che negli ultimi dieci anni si sono verificati con maggiore frequenza, per la crescita dell’urbanizzazione e per le piogge sempre più intense.
In tutto il Servizio Geologico dell’Ispra ha censito 3.320 potenziali voragini, che possono ingoiare terra, asfalto, arredi urbani, biciclette, immondizia, automobili, frammenti di marciapiede, erbacce, motorini, cassonetti, sassi. Finora gli sprofondamenti non hanno ucciso persone. Ma non è detto che vada sempre di lusso. Di fatto il sottosuolo di Roma è un colabrodo – dicono i geologi – con un reticolo idraulico di canali e fossi di ben 700 km, la maggior parte dei quali in grave degrado.
Elenco delle voragini negli ultimi 30 giorni tra aprile e maggio
16 maggio, Boccea, cede la conduttura Acea e si apre una voragine;
14 maggio, Portuense, una voragine svela una grande catacomba in via Giannetto Valli;
13 maggio, Trullo, via Lamporecchio chiusa per rischio voragine davanti al nido;
9 maggio, Fleming, un motociclista finisce dentro una buca, in via Città della Pieve;
8 maggio, Parioli, cedimento dell’asfalto a via Piccinni e via Ximenes;
2 maggio, Monteverde, auto in sosta finisce dentro una voragine;
1°maggio, Parioli, voragine a via Salaria;
28 aprile, Torpignattara e Pigneto, cedimenti dell’asfalto ed enormi crateri in via Zurla;
26 aprile, Portuense, si apre una maxi voragine, evacuata una palazzina;
26 aprile, Quartiere Trieste, dopo 3 mesi la voragine rimasta aperta, si allarga;
25 aprile, Castel Giubileo, voragine sulla Salaria, una cavità naturale ha danneggiato la fognatura.
È fragile tutta l’Italia
Lo vediamo ogni anno, per il ripetersi di fenomeni tragici come alluvioni e frane, in tutto il Paese. Da nord a sud l’Italia frana, viene giù, cede alle mutevoli condizioni atmosferiche e tutto questo ha due grandi colpevoli: da un lato le condizioni climatiche cambiate, con la crescita delle temperature che provocano siccità e bombe di pioggia e dall’altro la scarsa o nulla manutenzione di fiumi e corsi d’acqua, con ingolfamento di sporcizia, rami secchi e detriti che bloccano un corretto deflusso idrico.
I numeri sono spietati. In Italia ci sono 628mila frane, tra cui 2400 ad alto rischio. Le frane si rimettono in moto in seguito a improvvisi rovesci d’acqua, che provocano smottamenti dei terreni più fragili. Pensate che in tutto il resto d’Europa le frane censite sono solo 750mila! Il problema è che l’Italia ha un territorio montagnoso fragile e ogni anno da noi cadono in media 305 miliardi di metri cubi di pioggia.
Lo spopolamento della montagna ha agevolato il disastro
Lo spopolamento di montagne e campagne ha fatto perdere quel minimo di cura e di attenzione che i contadini e i pastori riservavano ai loro territori. Dopo ogni terremoto i borghi dell’Appennino si spopolano e non vengono più ricostruiti. Costa troppo e a parte quelli che ci vanno in vacanza, non conviene viverci. Va benissimo. Quanto ci costa invece abbandonare la cura dei territori di montagna? Se nessuno si preoccupa più degli scoli delle acque e la deforestazione avanza con gli incendi, questa serie incessante di frane sono il risultato più logico.
L’assurdo è che non siamo nemmeno capaci di realizzare invasi d’acqua in campagna, per conservare parte di questa ricchezza che ci cade addosso e affrontare i periodi di siccità che creano danni all’agricoltura e all’allevamento. La siccità inoltre indurisce i terreni e li rende meno permeabili alle successive piogge, che non penetrano ma scorrono in superficie, con conseguenti drammatiche inondazioni, tipo quelle avvenute in Romagna.
Roma è la città più a rischio di frane dell’Italia
Erasmo d’Angelis, Segretario generale dell’autorità di bacino distrettuale dell’Italia centrale fino all’agosto del 2022, e già a capo di Italia Sicura, affermava che: “Roma è tra le città più a rischio frane in Italia. Oltre 300 mila abitanti vivono con questo rischio. Bisogna aggiornare il piano, specie la parte sulla climatologia. In questi anni i cambiamenti climatici hanno inciso sulle precipitazioni in Italia. Abbiamo piogge tropicalizzate, cicloni, tempeste di vento prima sconosciute.”
Le cause sono tante: la conformazione del sottosuolo, le gallerie, l’abusivismo, si è costruito dove non si doveva e la manutenzione insoddisfacente di tombini e fognature. “Il tiraggio fognario è un problema serio. Roma ha 700 chilometri di reticolo idraulico, i 70 chilometri più a rischio tra Tiburtina, il Flaminio e l’Eur. Da trent’anni nessuno fa manutenzione. Nel frattempo si sono riempiti di rifiuti e vegetazione.
Gli interventi più urgenti sono le casse di espansione per il torrente Paglia, l’affluente più pericoloso del Tevere. Quando è in piena può allagare la piana d’Orvieto e far straripare il Tevere. Abbiamo i fondi per invasare 50 milioni di metri cubi di acqua di piena, bisogna accelerare”. Le urgenze si sommano ma le amministrazioni locali non sembrano in grado di poterle fronteggiare. Mancano tecnici, architetti, geometri, ingegneri comunali, in grado di attuare interventi e quindi i fondi stanziati spesso non vengono spesi: o tornano in Europa o restano lì inutilizzati.
Le nuove tecnologie possono darci una mano
Dal 25 agosto 2022 Marco Casini è il nuovo segretario generale dell’autorità di bacino. A seguito del suo insediamento ha dichiarato: “Le nuove sfide imposte dai cambiamenti climatici in atto, con aumento della temperatura globale, mutamento del regime delle precipitazioni, che alternano siccità a disastrose alluvioni, richiedono un potenziamento degli strumenti a disposizione in termini di acquisizione ed elaborazione delle informazioni quali dati satellitari, droni, BIM, GIS, Digital twin, Mixed reality, AI e machine learning. Ciò al fine di raggiungere una conoscenza più profonda dei fenomeni in essere e aumentare le capacità di previsione consentendo di mettere in atto azioni efficaci di prevenzione, mitigazione e adattamento.”
Oltre alle voragini ci sono dei laghi sotto i piedi dei romani
Sotto i piedi dei romani si nascondono catacombe e ipogei privati, antichi templi nascosti come i mitrei. Sono stati scavati cunicoli idraulici per il deflusso delle acque, e poi ci sono le cave sotterranee di tufo o di pietra. Si aprono ampie cavità piene d’acqua, ci sono veri e propri laghi sotterranei sotto la circonvallazione gianicolense. Pure nella zona Portuense Ospedale Forlanini e sotto il Celio–Tempio di Claudio. In tutto, spazi vuoti per 32 kmq.
Le cause delle voragini che si spalancano lungo le strade sono prevalentemente due: le condizioni del terreno e un problema innescante: la pioggia. Così dopo ogni pioggia (o bombe d’acqua) si allagano strade e quartieri, perché il terreno di pianura non ha drenaggio, non è più in grado di assorbire completamente l’acqua caduta. Questa penetra nel sottosuolo attraverso le cavità e i cunicoli e apre baratri sotto strade e case. Inoltre non funziona la rete dei sottoservizi, gli scoli perdono acqua.
Vi sono cavità dovute a scavi antichi o tracciati recenti, per il passaggio di tubi e cavi, in cui l’acqua che scorre si raccoglie ed erode il terreno. La cavità che si apre inghiotte tutto ciò trova in superficie. I cedimenti non cesseranno, anzi aumenteranno. La situazione richiede interventi di notevole portata, costi ed anche tempi che non possono essere brevi.
A Roma c’è anche un rischio concreto di alluvioni
Le aree alluvionabili individuate dalle Autorità di Distretto mostrano fragilità mai affrontate in modo strutturale. Oggi il rischio di allagamento oggi riguarda 1.135 ettari di città in cui vivono e lavorano circa 300mila romani: è la più elevata esposizione d’Europa.
Roma ha zone e infrastrutture — strade, ponti, linee elettriche, sottopassaggi, fognature strade ferrate, cavalcavia, linee telefoniche — che non reggono nemmeno un acquazzone più impetuoso del solito, come si è visto nel recente passato. Una parte del sistema fognario non più in ordine, manca della manutenzione corretta e continua dei tombini che sono inefficienti. In gran parte sono scomparsi sotto calcinacci e rifiuti edili ma anche per il rigoglio della vegetazione spontanea. Circa 700 chilometri di fossi, ruscelli, canali, scoli e torrenti che una volta portavano l’acqua al Tevere e all’Aniene. Oggi costituiscono delle piccole dighe. Quando arrivano gli acquazzoni tutti questi detriti si riversano a valle con un impeto maggiore e travolgono ogni cosa.
Da via commerciale a fogna a cielo aperto: la storia del Tevere
Le alluvioni sono entrate a far parte della storia ufficiale e popolare della città, fin dall’antichità. Quando l’acqua del Tevere è giunta a livelli di grande pericolosità. Nata con il fiume, Roma è sempre stata una città fluviale con diversi porti e scali, animati da un traffico notevole di passeggeri e merci. Poi il fiume è diventato una fogna a cielo aperto, con gli sversamenti chimici e organici delle aziende agricole e delle industrie. Quindi si è tentato di ripulirne le acque, almeno nel tratto urbano, con depuratori che liberassero il fiume dei suoi veleni, ma per farne cosa? Ad ottobre dell’anno scorso, un depuratore non a norma a Torvaianica, ha comportato valori di escherichia coli alle stelle, con preservativi e assorbenti in mare e abitanti del litorale indignati. Quello che si toglie al fiume lo si rigetta in mare? Allora a che serve il depuratore?
La Capitale europea più esposta alle alluvioni
La prima alluvione dopo l’unità d’Italia che ha messo in grave difficoltà la città di Roma è stata nel 1870, quando con precipitazioni di 3.300 mc/s il Tevere straripò allagando la città. Oggi Roma va in tilt con semplici acquazzoni, come quelli del 10 settembre e del 5 novembre scorsi, che hanno messo in difficoltà anche le piste dell’ Aeroporto di Fiumicino. “Inutile stupirsi – si legge nel rapporto – quando il sistema fognario è in parte non in perfetta efficienza, manca la corretta e continua manutenzione dei tombini e sono inefficienti e in gran parte scomparse per sversamento di rifiuti e vegetazione spontanea circa 700 km di indispensabili vie d’acqua tributarie del Tevere e dell’Aniene: canali, fossi, sistemi di scolo”. Una condizione che fa fa della Capitale la città più esposta al rischio alluvione d’Europa.
Quanto costa ridurre il rischio?
A seguito dell’alluvione in Emilia Romagna, è di nuovo intervenuto Erasmo d’Angelis, che è stato anche capo di Italia Sicura, struttura di missione voluta da Matteo Renzi e proseguita con il governo di Paolo Gentiloni, per la gestione del dissesto idrogeologico: “Quanto è accaduto è un evento di cesura. C’è un prima e un dopo l’alluvione in Emilia Romagna. Ora dobbiamo difenderci”.
Anche il sindaco di Roma Capitale, Roberto Gualtieri, è intervenuto sull’argomento recentemente, dicendo che Roma “avrà un piano, che prima non aveva e che adesso avrà in modo organico e completo, che abbiamo deciso di mettere a monte della catena amministrativa”. Sull’emergenza climatica, Gualtieri ricorda l’istituzione di un Ufficio Clima, al lavoro su due fronti: “la mitigazione, ovvero la riduzione delle emissioni per evitare l’aumento della temperatura di un grado e mezzo. L’altra parte si chiama adattamento: realizzare azioni per gestire queste novità”.
Tutto ok, si redigono piani, si fanno studi, si stimano investimenti, nascono nuovi uffici, commissioni, autorità, dirigenti ma quando si mette mano al problema?
Il Piano “Roma Sicura” è di 5 anni fa
Per adesso gli unici dati per il risanamento del sottosuolo della Capitale risalgono al Rapporto su alluvioni, frane, cavità del sottosuolo e acque sotterranee di Roma, presentato nel 2018, a Palazzo Chigi, e redatto dall’Autorità distretto idrografico dell’Italia Centrale, in collaborazione con ISPRA, il Dipartimento della Protezione Civile e il progetto Italia Sicura della Presidenza del Consiglio dei Ministri (all’epoca sotto la guida di Paolo Gentiloni).
Dove si legge che i lavori necessari per risolvere tutte queste criticità costerebbero un miliardo e quaranta milioni di euro, tra opere di contrasto al rischio alluvione, la messa in sicurezza dal pericolo frane e la manutenzione ordinaria per tenere in efficienza vie d’acqua oggi in stato di grave degrado o addirittura “tombate” da vegetazione spontanea e rifiuti. La spesa più esosa è quella per limitare il rischio di alluvioni, pari a 783 milioni di euro in dieci anni.
Mentre per risolvere una volta per tutte l’emergenza buche intervenendo sul rischio voragini basterebbero solo 4 milioni di euro all’anno, per un totale di 36 milioni in 9 anni. Tutto inutile, comunque, senza manutenzione generale, che il rapporto stima in 15 milioni di euro l’anno. I primi 104 milioni, che coprono un anno di lavori, sono già disponibili perché previsti nel Piano città metropolitane di Italiasicura, ma per ridurre al minimo il rischio idrogeologico nell’area urbana servono circa 100 milioni di euro all’anno per dieci anni.
Sicuramente, dopo che sono passati 5 anni, saranno aumentati i costi.
Quando si inizierà a mettere in sicurezza Roma?