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Spallanzani, il medico in prima linea: “Molti virologi non hanno mai visitato un paziente”

Il medico in prima linea dello Spallanzani ci racconta i giorni in cui ha combattuto con i suoi colleghi la battaglia anti Covid-19

Ospedale Spallanzani, ingresso

Ospedale Spallanzani, ingresso

Spallanzani, il medico in prima linea anti Covid-19, che ha curato la coppia di cittadini cinesi e centinaia di altre persone è il Dott. Mauro Zaccarelli.

In questa intervista ci racconta i giorni in cui si è diffuso il Coronavirus e la paura del contagio. Parla della battaglia che lui e i suoi colleghi hanno combattuto allo Spallanzani, dei farmaci che hanno salvato vite, dei virologi che parlano senza sapere e di quella collega dell’Ospedale di Bergamo a cui disse di usare cortisonici.

Spallanzani: a Roma tutto ebbe inizio da una coppia di cittadini cinesi

Tutta la comitiva di cui facevano parte i due turisti cinesi è stata portata da noi e tenuta sotto osservazione per due settimane ed erano tutti negativi. I due pazienti cinesi invece avevano inizialmente un po’ di febbre e qualche sintomo respiratorio, entrambi ultrasessantenni. Avevano una polmonite interstiziale che ora ci siamo abituati a sentire e a riconoscere. Ha delle caratteristiche abbastanza tipiche. Con le immagini radiologiche della tac a vetro smerigliato, sono immagini tipiche delle infezioni virali, delle polmoniti virali e in questo caso presenti anche nei due pazienti cinesi. Passata la fase iniziale abbiamo avuto dei consolidamenti, questa infiammazione che porta al blocco del passaggio dell’ossigeno può aumentare e quindi portare a un’insufficienza respiratoria. I due coniugi stavano benino e prendevano le terapie con una meticolosità incredibile. Erano nella stessa stanza, moglie e marito, poi li abbiamo curati separatamente.

Dopo qualche giorno abbiamo ripetuto le tac e quella di lui sembrava notevolmente peggiorata, l’infiammazione era molto maggiore e c’erano dei fenomeni di consolidamento, cioè si creavano delle reazioni fibrose e queste bloccano il passaggio dell’ossigeno facendo peggiorare la polmonite. Infatti lui era peggiorato, poi abbiamo cominciato a capire come funzionavano i parametri respiratori che poi sono stati quelli che ci hanno guidato per i due, tre mesi successivi. I due pazienti sono stati portati in rianimazione a questo punto, prima il marito e poi la moglie, che stava meglio ed è stata portata in rianimazione per precauzione.

La cosa strana è che soltanto un 10-15% di pazienti della primissima fase, cioè quella in cui il virus era molto aggressivo, finivano in rianimazione, invece i primi due pazienti entrambi. Lui una quindicina di giorni, lei poco meno. Poi c’è stata la riabilitazione. La fase dopo l’intubazione è molto dura, occorre appunto una riabilitazione. I tempi: sono stati da noi 49 giorni e poi trasferiti in riabilitazione al San Filippo Neri.

Intanto da quel periodo ha cominciato a crescere il virus?

Sì, in quel periodo, dal 20 febbraio, mentre Codogno diventava zona rossa, a Roma non c’erano positivi, sono arrivati almeno 10-15 giorni dopo, a parte il ragazzo che veniva dalla Cina che però stava bene e che è stato qui solo a fare la quarantena. Tutto è cominciato piano piano, da marzo.

Come mai?

Il vero focolaio stava in Lombardia. Addirittura il virus a dicembre e gennaio in Lombardia già girava da parecchio, quando c’è stato il caso 1 erano già venti giorni che stava girando. Nessuno si aspettava in Europa un focolaio diffuso così rapidamente come quello in Lombardia. Anche a causa delle partite di calcio, proprio in quella zona in cui il virus era entrato.

Al Campus Bio Medico di Roma hanno fatto uno studio in cui hanno dimostrato che il virus era simile ai primi casi avuti in Germania, proveniente dalla Cina. Ci sarebbe stato un flusso dalla Germania verso il nord Italia e lì si sarebbe diffuso. In realtà, sono virus tutti uguali, per cui è sempre difficile capire da dove è partito. Probabilmente a gennaio, quando ci sono stati i primi casi in Cina, da lì qualcuno è arrivato e ha contagiato delle persone e da pochi casi si è allargato senza che se ne rendessero conto. Era il periodo dell’influenza, in cui spesso le persone hanno febbre con sintomi respiratori.

Oggi com’è la situazione? I virologi troppo spesso si sono smentiti

Molti virologi che in questi mesi hanno parlato di Covid-19, non hanno mai visto e visitato pazienti, perché a marzo e ad aprile chi stava nei reparti come noi ha visto quanto sia stata difficile e dura la battaglia. Noi abbiamo avuto vari medici ricoverati della mia età che sono andati a finire in rianimazione, fortunatamente quasi tutti si sono salvati. Eravamo tutti a rischio lavorando con i pazienti. Uno dei medici sessantenni che si è salvato nel mio reparto mi ha telefonato ringraziandomi. Conoscere quello che è successo è comprendere cosa è successo. Parlare senza essere stati dentro, nel ‘’bunker’’, in quel periodo, a combattere una vera e propria ‘’guerra’’, non è accettabile.

Adesso la situazione è molto più blanda.

Il Centro sud grazie ai provvedimenti presi è stato salvato. Grazie al lockdown, che ha impedito al virus di diffondersi nel resto d’Italia.

A Roma abbiamo avuto meno decessi rispetto agli ultimi cinque anni addirittura.

Il lockdown ci ha salvato o è stato un sopruso?

No, non è stato un sopruso. L’Imperial college di Londra che è un centro dati che fa le statistiche per tutta Europa e in cui lavorano anche epidemiologi e ricercatori italiani, aveva stimato che entro fine marzo l’Italia avrebbe avuto 80.000 morti. In realtà ne ha avuti molti meno, circa 30.000 fino ai primi giorni di aprile. Probabilmente abbiamo evitato più di 100.000 morti, che ci sarebbero stati se avessimo lasciato completamente aperto. Poi dipende anche dai livelli di lockdown.

La cosa assurda è che nonostante i pazienti calino giorno dopo giorno e i casi di rianimazione pure, abbiamo continuato ad avere tanti morti. Adesso sono scesi e comunque stiamo ancora a 50 morti al giorno, perché il gran numero di positivi con il tempo sconta i danni che ha avuto. Gli esiti sono terribili, soprattutto per gli anziani e quelli con patologie pregresse. Chi aveva neoplasie, l’aggiunta dell’infezione ha portato a un aggravamento.

Quello che è strano è che altri Paesi che sono venuti a contatto col virus dopo di noi, che avevano visto quello che succedeva da noi e che avrebbero potuto fare molto di più, chiudere drasticamente subito, non l’hanno fatto.

Tu ti riferisci a chi in particolare?

Alla Gran Bretagna soprattutto. L’epidemia in Spagna è cominciata dieci giorni dopo di noi. La Francia ha avuto tantissimi morti rispetto al numero dei casi. In Gran Bretagna non hanno fatto nulla, a un certo punto proprio perché si è contagiato il Primo Ministro allora hanno deciso di chiudere tutto. Hanno avuto moltissimi morti e continuano ad averne. La Svezia ha praticato la cosiddetta ‘’immunità di gregge’’, però è un Paese in cui si vive in modo diverso rispetto a noi, le persone vivono abbastanza isolate, non hanno le nostre abitudini del continuo contatto fisico, del ritrovarsi nei luoghi tutti assieme costipati. E poi fa freddo. Però il fatto di non aver preso dei provvedimenti ha portato in Svezia un tasso alto di morti, fino a due settimane fa aveva il tasso di mortalità per centomila abitanti più elevato al mondo.

Quanto serve usare le mascherine?

Dire che le mascherine non servono è una stupidaggine, perché servono e anche l’Oms ha fatto marcia indietro. Certo non sono la soluzione definitiva, occorre mantenere il distanziamento fisico e rispettare i provvedimenti governativi. Anche se i provvedimenti adesso sono ridotti ai minimi termini, vediamo cosa succederà nel momento in cui la gente si riavvicinerà.

Che cosa ci dobbiamo aspettare?

Che cosa succederà non lo sappiamo, ma il virus sembra che per ora non sia mutato, quindi che il genoma è molto simile a quello dei primi virus, mantiene le stesse caratteristiche di virulenza. Sicuramente abbiamo imparato a curarlo molto bene, abbiamo tanti farmaci che usiamo, soprattutto gli antinfiammatori. Il paziente lo curiamo meglio, già questo dovrebbe ridurre il rischio di complicanze e di morte. Poi c’è il dato epidemiologico, è migliorato tutto, ma in realtà sono i provvedimenti che hanno ridotto la diffusione. Nel centro sud, ci sono stati zero casi o comunque pochissimi casi quotidiani.

Negli ultimi giorni per esempio nel Lazio la rt, cioè il tasso di trasmissione, è stato 1,2 cioè più alto dell’uno, ovvero in questa settimana passata ogni persona infetta ha contagiato più di uno. È chiaro che è limitato a un periodo breve perché c’è stato il focolaio del San Raffaele e quello della Garbatella. Se questo tasso si mantiene potrebbe indicare una ripresa dell’infezione. Non credo che succederà. La cosa più importante è che i clinici, cioè noi, vediamo che i pazienti che arrivano in ospedale non sono così gravi come prima mentre epidemiologi dicono che c’è il rischio diffusione e i virologi ci dicono il virus non è mutato quindi bisogna stare attenti. Anche i pazienti avanzati stanno meglio, qui ci sono anche ultra ottantenni che respirano bene.

Questo cosa significa?

È da vedere. Molte infezioni virali col tempo si sono attenuate da sole. I virus venendo a contatto con i sistemi immunitari di varie persone, passando da persona a persona, potrebbero effettivamente aver perso virulenza. Anche se dal punto di vista genetico non sembra mutato eccessivamente, però la pratica indica questo. Sono anche cambiate le situazioni contingenti, cioè il clima. Fa caldo, poi ci sono le accortezze delle persone, ora molto più caute. Bisogna vedere anche quanto queste attenzioni influiscono sull’evoluzione clinica.

La paura è che comunque noi continueremo ad avere per tutta l’estate dei casi, non tanti, ma un po’, e potremmo avere un aumento a settembre e ottobre, specialmente con l’arrivo del freddo, un po’ come l’influenza. Con l’aumento dei casi capiremo se il virus è diventato come un virus influenzale oppure no.

Quali sono i medicinali che funzionano?

Ci sono tre, quattro, tipi di farmaci che vengono utilizzati: gli antivirali che sono quelli che attaccano direttamente i virus, però in tutti quelli che abbiamo usato si sono dimostrati poco efficaci, tanto che non li usiamo più. Clamorosa è stato quello della Idrossiclorochina, anche se lo studio era stato fatto male e poi ritirato, però altri studi dimostrano che ha un’efficacia limitata e non la usiamo più.

Alcuni farmaci per l’Hiv, tipo il kaletra e il Prezista, anche questi hanno dimostrato efficacia limitata e non li usiamo più. Quello che sembra esser un po’ più efficace è il Remdesivir, un farmaco che era stato creato per l’Ebola, poi non si era dimostrato efficace contro l’Ebola, ma nel Coronavirus sembra avere un certo effetto. Noi lo usiamo quando ce lo danno, in realtà il farmaco non è approvato per cui ci rimettiamo un po’ alla società che ce lo dà per studio e per raccogliere anche dati sulla sua efficacia. Poi abbiamo gli antinfiammatori che sono quelli che si usano per ridurre questa infiammazione che avviene a livello polmonare e che impedisce il passaggio dell’ossigeno e i più importanti sono i cortisonici.

In questi giorni è uscita fuori la storia del Desametasone. In realtà, lo studio diceva che il farmaco aveva un effetto drastico di riduzione della mortalità, c’era già a marzo. Noi abbiamo sempre usato il cortisone e abbiamo avuto buoni risultati, probabilmente perché l’antinfiammatorio principe è lui, perché non usarlo? Invece molti avevano paura perché il Desametasone abbassa un po’ le difese immunitarie e favorirebbe la replicazione virale. Ma il virus è una cosa e poi l’infiammazione che partiva dopo era quasi indipendente dal virus stesso. Comunque i cortisonici funzionano.

A marzo mi confrontai, chattai sul web con una collega di Bergamo che mi disse che loro non utilizzavano i cortisonici. Le dissi: “Ma scherzi? Noi lo usiamo con tutti e funziona”. E le mandai lo studio con i nostri casi e i risultati.

Poi abbiamo i farmaci che si utilizzano per l’artrite reumatoide, antifibrotici, il più importante di questi è il Tocilizumab, che poi fu sperimentato per primo a Napoli, lo avevano già provato in Cina e avevano provato l’efficacia. Anche noi lo abbiamo usato nei pazienti più seri, con insufficienza respiratoria più importante, e sono tutti migliorati, sembra aver sbloccato questo danno polmonare. Poi ci sono gli anticoagulanti. A un certo punto si disse che non serviva la rianimazione e che morivano tutti per embolia polmonare. Noi abbiamo sempre usato gli anticoagulanti sin dall’inizio, perché comunque c’era un aumento degli indici di coagulazione. I pazienti più gravi avevano anche un’embolia polmonare e questo peggiorava il quadro.

Però non c’era solo quello, erano tre i meccanismi: virale, infiammatorio e di aumento della coagulazione che portavano poi a peggiorare la situazione. Noi trattiamo tutti e tre questi aspetti, poi trattiamo anche con antibiotici e tutto il resto. Però i tre casi della terapia sono questi. Poi l’ossigeno, questi sono pazienti pneumologici, noi siamo ospedale di malattie infettive. Bisogna utilizzare il ventilatore polmonare, io ho dovuto imparare a fare tante cose.

L’estate gioverà alla riduzione del virus?

Fino a settembre con il caldo avremo un po’ di casi sporadici, piccoli gruppi, piccoli cluster, ma limitati. Andremo avanti così per tutta l’estate. Con il freddo potrebbero riaumentare. Ma non credo che ci sarà un’epidemia come quella che abbiamo avuto a marzo e ad aprile, magari verrò smentito, chissà. Il virus secondo me sarà meno aggressivo, sapremo come affrontarlo meglio e comunque le misure prese limiteranno la diffusione. Il Governo è stato prudente, è stato accusato di poco coraggio nel chiudere tutto però secondo me è stato giusto così.

Crisanti ha detto che ci sarà una seconda ondata se la pandemia non rallenta.

Stimo Crisanti. Il virus è imprevedibile. Ci saranno casi in ottobre, ma non avremo la mortalità che abbiamo avuto a marzo e ad aprile. In Lombardia siamo sopra al 15% di mortalità: cioè 100 persone se lo prendevano e 15 morivano, quindi molto alta. Non credo che accadrà più questo. Anche l’influenza quando arriva porta parecchi morti. Adesso siamo molto corazzati, preparati. Poi se muta il virus e diventa più aggressivo è un altro problema. Ma non credo, non è mai successo nella storia dei virus.

Dott. Mauro Zaccarelli. Infettivologo dell’istituto Spallanzani. Responsabile dell’ambulatorio, negli ultimi quattro mesi ha gestito il reparto che ha ricoverato pazienti Covid-19. Ha lavorato per otto anni come epidemiologo all’Istituto Superiore di Sanità. Esperto di epidemiologia, statistica, analisi dei dati. Ha una notevole esperienza nel trattamento delle malattie virali HIV ed Epatite C.

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