Sparo di Capodanno: ma che accidenti combina, deputato Pozzolo?
E gli avversari politici usano la demonizzazione come prassi corrente, e come scorciatoia, nella speranza di arrivare alla vittoria definitiva
Una stupidaggine, quella commessa la notte del 31 dicembre scorso dal deputato di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo. Ma una stupidaggine grossa così e senza la più piccola attenuante.
Andare armato al veglione di fine d’anno
Al contrario: con l’aggravante specifica e decisiva dell’aver trascurato – trascurato e infangato – la propria qualifica di deputato. Esponendo perciò il proprio partito all’ennesima campagna di attacchi esagerati e pretestuosi da parte delle opposizioni, nel tentativo di screditare in blocco la forza principale della maggioranza di governo. Nonché la sua leader, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Sulle strumentalizzazioni, più o meno dozzinali, torneremo più avanti. Il punto di partenza deve rimanere il fatto in sé stesso. Non solo nel senso del suo epilogo – che è consistito nello sparo partito in modo accidentale e nel ferimento, fortunatamente lieve, di una persona – ma in quello più ampio della condotta che l’ha preceduto.
Da un lato, la decisione di recarsi armato a un veglione di fine anno. Dall’altro, l’atto ancora più avventato di tirare fuori la pistola, benché di un formato così ridotto da sembrare poco più di un giocattolo, e di mostrarla ad altri.
Mostrarla. Ovverosia esibirla. Come se possederla, con tanto di autorizzazione, fosse un motivo di orgoglio e addirittura di vanto. Quando semmai lo si dovrebbe vedere e vivere come una spiacevole necessità, a fronte della possibilità di essere aggrediti e di essere costretti a difendersi sino al punto di dover tirare il grilletto.
Il primo aspetto negativo, e inaccettabile, è appunto questo: è lo stupido e pericoloso ribaltamento della percezione corretta. L’arma come un privilegio e una qualità personale, anziché come uno strumento e una responsabilità.
Uno strumento che di per sé non ha nessun altro valore al di là della sua obiettiva e drammatica utilità, in caso di bisogno.
Una responsabilità che sussiste per chiunque, ma che per un parlamentare come Pozzolo si intensifica al sommo grado.
Eletti. Non intoccabili
Il secondo aspetto, ancora più deteriore e riprovevole perché va oltre la sfera individuale, è quello cui abbiamo accennato in apertura.
È la situazione in cui il comportamento del singolo va a scapito degli organismi ai quali si appartiene. Da un lato le pubbliche istituzioni e, in particolare, quel Parlamento che è la massima assemblea della Repubblica. Dall’altro il partito nelle cui file si è stati eletti: a maggior ragione, poi, se esso si trova ad avere un rilievo speciale, come accade per Fratelli d’Italia a causa della sfolgorante vittoria nelle elezioni del 25 settembre 2022 e del conseguente approdo alla guida dell’Esecutivo.
Tutto questo, Emanuele Pozzolo era tenuto ad averlo ben chiaro. E tanto per lui, quanto per chiunque altro si trovi in una posizione analoga, dovrebbe trattarsi di una sorta di prerequisito.
Un comandamento elementare e inequivocabile. Un principio essenziale da avere stampato/inciso nella testa e nel cuore, come un imperativo al quale attenersi sempre e comunque: in ciò che fai non stai esprimendo solo te stesso, ma stai rappresentando, stai incarnando, un’intera comunità politica. Nel duplice significato dei suoi esponenti e dei suoi sostenitori. Da quelli che rivestono delle cariche, o aspirano a farlo, ai tantissimi altri che vi ripongono i propri ideali e le proprie aspettative, dando il loro appoggio attraverso il voto o, anche, con questa o quella forma di militanza.
Il sospetto peggiore, che purtroppo va esteso a qualsiasi versante, è che in troppi casi questa consapevolezza e questo impegno non ci siano. Spazzati via, o quantomeno assai indeboliti, dalle tentazioni e dalle lusinghe del potere: io sono stato eletto; io mi sono conquistato la carica di cui dispongo; io ho il diritto di disporne come più mi piace.
Alla maniera dei peggiori talk show
Le strumentalizzazioni, dicevamo all’inizio. Le generalizzazioni grossolane e strillate ai quattro venti. Schizzi di veleno, o più semplicemente di fango, per illudersi di poter racimolare qualche consenso in più.
Repubblica (come ti sbagli?) che ci imbastisce il titolone di apertura: “Capodanno con la pistola”. E più avanti, a pagina 3, ecco pronto lo pseudo approfondimento, a firma di Paolo Berizzi: “L’attrazione fatale della destra per la fondina”. Della serie: i grandi sociologi impallidiscono. E io mi candido al Pulitzer.
Domani che si fa prendere la mano dall’entusiasmo, o dall’astio, e confonde un unico colpo partito per sbaglio con una specie di regolamento di conti tra bande di gangster: “Spari e feriti alla festa di Delmastro”.
Matteo Renzi, a sua volta, scambia la mini pistola di Pozzolo per un kalashnikov e rabbrividisce al pensiero del massacro mancato: «C’erano bambini, poteva essere una strage».
Il florilegio, come al solito, potrebbe essere molto più ampio. Ma non vale la pena di dilungarsi. Basta avere ben chiaro l’approccio. Anzi, il metodo. La tendenza sistematica a enfatizzare ogni sorta di critica, trasformandola in una requisitoria ad ampio o amplissimo raggio.
Anche qui: è un atteggiamento trasversale, che esaspera qualsiasi divergenza e la spaccia per la dimostrazione, immediata e incontestabile, dell’altrui nefandezza. È la demonizzazione come prassi corrente, e come scorciatoia abituale, nella speranza di arrivare alla vittoria definitiva: l’avversario è talmente cialtronesco, inaffidabile, pericoloso, che la stragrande maggioranza dei cittadini non gli darà più alcun credito. Né adesso né mai.
Giornalismo d’accatto e propaganda di infimo ordine. Un degrado che dovrebbe farci ribrezzo, al di là dello schieramento preferito, e da cui faremmo meglio a emanciparci tutti. E al più presto.
Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia