Spinoza in America: la biografia di Steven Nadler
Spinoza fu il “solo” a non tradire il progetto di profondità e radicalità proprio della grande filosofia
Nella grande parabola del pensiero moderno – che va da Descartes a Hegel – la figura di Baruch de Spinoza (1632-1677) occupa un posto di inaudita centralità. Si tratta di secoli decisivi, in cui si preparano la civiltà industriale e le democrazie moderne. Imprese titaniche entrambe, che vanno sotto il segno dell’illuminismo e del libero pensiero, ossia di quel fenomeno capitale che è la nascita della scienza moderna.
Sullo sfondo, il rogo di Savonarola nel 1498; quello di Giordano Bruno, in Campo de’ Fiori, il 17 febbraio 1600; nonché il processo a Galileo Galilei. Questo il prezzo, e il pericolo, del pensiero. Non a caso, Spinoza, che le cose le capiva meglio e prima degli altri, aveva inciso sul suo anello di sigillo la parola latina “Caute”, “Prudenza!”.
Vivere da filosofi
Nelle poche righe di questa nota, ci occuperemo dell’aspetto biografico del pianeta-Spinoza attraverso l’importante libro di Steven Nadler, “Baruch Spinoza e l’Olanda del Seicento” (1999, ed. it. Einaudi). Steven Nadler è uno storico della filosofia americano che continua a regalarci delle ricerche sulla prima filosofia moderna di tutto rispetto. Oltre a Spinoza, egli si è occupato anche di Leibniz e Descartes.
Sull’importanza dell’aspetto biografico nello studio dei filosofi, richiamò l’attenzione una volta il giovane Nietzsche. All’inizio dello scritto, pubblicato postumo, “La filosofia nell’epoca tragica dei Greci” del 1873, Nietzsche avverte come, nei sistemi filosofici del passato, l’elemento personale rivesta un ruolo di primo piano. Per cui, come sono sufficienti tre aneddoti a descrivere la vita di un uomo, così, in un sistema di pensiero, vanno considerati tre elementi e gettato via il resto.
Gli strumenti dell’arte
La storia della filosofia è un’arte più difficile di quello che si potrebbe immaginare a prima vista. Valgano i nomi di Werner Jaeger, Guido Calogero, Ernst Cassirer, Karl Löwith, Giorgio Colli. L’obiettivo, semplicisticamente declinato, è quello di rappresentare il pensatore calato nella vita del suo tempo.
Ma quando si oltrepassa il piano manualistico e l’accostamento soltanto formale dei due elementi fondamentali – la storia dell’epoca in cui il filosofo è vissuto, da una parte, la filosofia di un pensatore, dall’altra – la difficoltà dell’impresa innalza il piano di questa disciplina al livello di un’arte. Lo stesso è possibile dire per la storia della letteratura, delle arti figurative o della musica. Steven Nadler ne è consapevole e la sua ricerca su Spinoza e l’Olanda del Seicento lo dimostra.
Un episodio cruciale
L’inizio è maestoso, quasi lento. Per decine di pagine, Nadler descrive la vicenda faticosa, dolorosa, drammatica, dell’ebraismo all’interno della prima storia moderna. Scacciati, offesi, vilipesi, respinti, gli ebrei trovano con grande fatica alcuni posti, in Europa, dove la vita è possibile, quasi serena, alle volte. L’Olanda è uno di questi.
Così quando Spinoza viene al mondo, la comunità ebraico-portoghese di cui egli fa parte è ormai ben inserita nella vita sociale ed economica di una delle nazioni-guida della nascente civiltà moderna. Spinoza cresce da giovane promettente, molto dotato sul piano intellettuale, naturalmente, e su di lui si addensano le speranze della comunità. Che egli sappia far onore alla sua gente, sul piano intellettuale e sociale.
Poi avviene qualcosa, uno di quegli aneddoti di cui parlava il giovane Nietzsche, che danno la svolta ad una vita e la piegano verso quel destino che è il suo. La filosofia, nel caso di Spinoza. Questo elemento è, per Nadler, centrale, macroscopico, inaudito. Senza aver pubblicato ancora nulla, Spinoza riceve una scomunica dalla sua comunità, un provvedimento di messa al bando, “cherem” in ebraico.
Ciò che è caratteristico è la virulenza di questo provvedimento, di cui si hanno pochi eguali nella storia dell’ebraismo moderno. Probabilmente le singolari posizioni di Spinoza, nettamente in contro-tendenza rispetto all’ebraismo tradizionale, erano cominciate a circolare ancora prima che Spinoza le formulasse attraverso la stesura delle sue opere.
Per amore di Sophia
Il giovane Spinoza – messo di fronte ad un provvedimento durissimo – non si scompone e capisce qual è l’occasione che la sorte gli sta offrendo. Quella di gettarsi “à fond perdu” nella filosofia, per usare un’espressione di Adorno, incominciando ad elaborare un suo sistema filosofico che, partendo da quello di Descartes, giunge a risultati in parte ben diversi.
Per Giorgio Colli, dopo l’esperienza cruciale del pensiero antico, dei Presocratici e del giovane Platone, Spinoza fu il “solo” a non tradire il progetto di profondità e radicalità proprio della grande filosofia. Non a caso, un poeta il cui nome è, a nostro avviso, sinonimo di profondità ineguagliata, J. W. Goethe, condusse il suo apprendistato filosofico giovanile proprio sul capolavoro teorico di Spinoza, ossia l’Etica.
Al centro di quest’opera di sconvolgente radicalità, vi è l’idea del Deus sive Natura, di Dio come natura. Si tratta di una concezione del divino tutta filosofica, immanente, molto lontana dalle rappresentazioni teologiche sia ebraiche che cristiane, basate sull’antropomorfismo. Questo spiega, dunque, la violenza del clima di intolleranza intorno a Spinoza.
Ultimo atto
Volendo proseguire e concludere questa riflessione, sulla traccia dell’indicazione del giovane Nietzsche a proposito dei tre aneddoti biografico-speculativi che devono connotare la vita di un pensatore, due eventi ulteriori vanno segnalati, come di prima grandezza, nella vita di Spinoza.
Se, come si accennava, il “cherem”, il provvedimento di messa al bando di Spinoza dalla comunità ebraico-portoghese di Amsterdam è il primo di questi elementi cruciali. Il secondo è la pubblicazione del Trattato teologico-politico nel 1670, in forma anonima. (Non deve essere dimenticato che il 1670 è una data cruciale, per la storia della filosofia moderna, anche per la pubblicazione dei “Pensieri” di Pascal).
In questa seconda grande opera – che ebbe risonanza enorme, suscitando grande scandalo, nonostante il nome dell’autore non comparisse in copertina – Spinoza indaga i rapporti tra politica e religione. Offrendo un contributo di prima grandezza alla costruzione dell’illuminismo europeo, a partire da principi fondamentali come la libertà di pensiero e la tolleranza. Elementi che, come dimostrano gli eventi della politica internazionale degli ultimi tempi, non sono scontati e tramontati nemmeno oggi.
Il terzo elemento è l’incontro con Leibniz, che andò a trovare Spinoza in Olanda, nell’ultimo periodo della vita di quest’ultimo. Per chi ama la storia della filosofia, si tratta di un boccone succulento, imperdibile. Due dei massimi filosofi dell’età moderna, molto simili per alcuni aspetti e molto diversi per altri, si incontrano, si annusano, si studiano. Rimanendo reciprocamente incuriositi, nutriti, soddisfatti.
La vita di quel grande ed enigmatico pensatore che Spinoza fu e che Nadler ci racconta nella sua splendida biografia, fu dunque straordinariamente intensa, ma anche notevolmente breve. Ad essergli fatale fu una malattia polmonare congenita, cui si aggiunsero i frammenti di vetro respirati per anni, durante quell’attività di intagliatore di lenti che garantiva al grande filosofo di che vivere, dopo l’espulsione dalla comunità ebraica di Amsterdam.
Morì senza avere raggiunto i quarantacinque anni, con lo stesso stile sobrio e asciutto che aveva caratterizzato la sua vita.