Stop ai negozi aperti 7/7: Di Maio rilancia la legge per degli orari più umani
A cancellare i limiti precedenti fu il governo dei “tecnici”, guidato da Mario Monti. Con la solita scusa: la competizione economica va in questa direzione e non si può fermare
Stavolta hanno ragione i Cinquestelle. Ai quali peraltro saremmo lieti di dare analoghi riconoscimenti molto più spesso, se tornassero fedeli a quei principi anti sistema che sembravano connotarli inizialmente. Quando Pdl e Pd erano nemici irriducibili e a nessuno, nel MoVimento, sarebbe mai venuto in mente di appoggiare Ursula von der Leyen al vertice della Commissione UE: se voti con chi già comanda, che fine fa la tua volontà di combattere l’establishment liberista e tecnocratico?
Allo stesso tempo, però, ben vengano iniziative come queste. Che d’altronde sono un’eredità dell’alleanza “gialloverde” – tanto è vero che la proposta di legge aveva come prima firmataria la leghista (ma ex An ed ex PdL) Barbara Saltamartini – e che sembravano finite nel dimenticatoio dopo la crisi di agosto e la fine del sodalizio con Salvini.
Invece no.
Portata a casa la normativa, anch’essa sacrosanta, a favore dei riders, Di Maio riparte all’assalto con l’obiettivo di tutelare quei lavoratori che «a causa delle liberalizzazioni, sono sprofondati nella giungla degli orari di apertura e chiusura, cercando invano di battere i centri commerciali, rimanendo aperti 12 ore al giorno e 7 giorni su 7». L’intervento, sul piano prettamente giuridico, sarebbe semplicissimo: due soli articoli che vanno ad abrogare le modifiche, altrettanto stringate nella formulazione quanto devastanti negli effetti pratici, introdotte a fine 2011 dal governo di Mario Monti. Che le inserì nel cosiddetto “Salva Italia”.
Piccola parentesi, dedicata soprattutto ai più distratti e agli smemorati: questa roboante denominazione riecheggiava il famigerato “Salva Stati” europeo del maggio 2010, che però era la riverniciatura mediatica dell’asettico “Fondo europeo di stabilità finanziaria”, ed era un tipico esempio di marketing commerciale applicato alle leggi. Un nome accattivante che mira a sedurre gli elettori/consumatori. E che trasforma un giudizio assolutamente unilaterale, e quindi sommamente opinabile, in un dato di fatto: poiché il decreto si chiama “Salva Italia” la sua natura non può che essere altro che questa. Poiché te lo diciamo noi che questa legge/merce l’abbiamo prodotta, tu cittadino non hai motivo di dubitarne…
Parentesi chiusa.
E torniamo alla questione principale.
7/7 e h24: comodo non significa necessario
I fautori degli orari sempre più ampi, e tendenzialmente illimitati fino ad arrivare alla formula tipicamente americana delle aperture non stop, partono da una serie di dati di fatto. E in particolare da due. Primo: per motivi di lavoro un numero crescente di persone non può recarsi a fare acquisti in quelle che erano le fasce tradizionali di attività dei negozi. Secondo: la concorrenza del commercio online, che per definizione non si ferma mai, è sempre più forte e tocca sforzarsi di contrastarla sul suo stesso terreno.
La conseguenza di questo approccio è ovvia. E si riassume in una sola parola: adeguarsi. Chi lavora nel settore del commercio deve (deve!) prendere atto che la società è cambiata e allinearsi alle nuove spinte. Per quanto disagevoli possano essere sia sul piano individuale sia, a maggior ragione, su quello familiare, le mutate condizioni sono da considerare un dato di fatto. Che in quanto tale è ineluttabile.
L’errore, non esattamente casuale, è che così non si mettono mai in discussione i processi in corso. Invece di stigmatizzarne le storture, e fermarle sul nascere, le si dà per acquisite. Si china la testa – o meglio: la si fa chinare agli altri – e si procede imperterriti in direzione del prossimo diktat di Sua Maestà il Mercato.
La posizione corretta è agli antipodi.
Anziché assecondare i fenomeni già in atto, lasciando che portino a una spirale senza fine di effetti a catena sempre più frenetici e insensati, bisogna ricominciare a mettere dei freni. Ripristinando la consapevolezza che non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere, e facendo di tutto per sradicare, o almeno attenuare, le smanie consumistiche.
Il vero nodo è questo.
E la maggiore o minore estensione degli orari di apertura dei negozi va ancorata a un messaggio più che mai politico: lo shopping compulsivo è stupido di per sé. Se si ha un’irrefrenabile necessità di gratificarsi con un pacchetto-regalo in stile Amazon c’è qualcosa che non va nell’organizzazione della propria vita.
Urlatelo forte, militanti ed eletti dei Cinquestelle, e vediamo cosa succede, con gli alleati del PD e dintorni.