Storie di povertà, il no a salario minimo e RdC pesano solo sui cittadini
Da bambino mi dicevano di impegnarmi nello studio che poi avrei trovato un lavoro. A 36 anni mi è chiaro che studiare non serve a trovare lavoro
I casi di alcuni cittadini romani. Cinque milioni di Italiani sono allo stremo. Gli stipendi, se ci sono, non bastano per vivere. Di salario minimo il Governo non vuole sentir parlare, anche se altrove viene applicato con successo. Di questi temi non si parla sui giornaloni e nei Tg. Le corna e le liti in tv servono a sviare e a far dimenticare i problemi della Sanità, della Scuola e del Lavoro.
Stipendi da fame. Perché no al salario minimo?
Sono domestici, braccianti agricoli, sguatteri negli hotel, precari nella vigilanza e nelle pulizie, corrieri che portano la pizza a domicilio ma li trovate anche apprendisti nelle fabbriche e impiegati temporanei negli uffici. Sono gli Italiani che guadagnano meno di nove euro lordi l’ora, la soglia al di sotto della quale le opposizioni in Parlamento vorrebbero fissare il salario minimo garantito per legge e che il Governo si rifiuta di prendere in considerazione.
Sono quasi due milioni, se consideriamo anche tredicesima e liquidazione. Senza queste due voci, invece, sfioriamo i 4,6 milioni. Quasi 5 milioni di Italiani che vengono pagati con stipendi da fame.
Non sarebbe questo il primo problema del Paese, accanto a quello della Sanità e della Scuola? Non sarebbero questi gli argomenti da discutere sui giornali e nei talkshow invece delle corna e dei litigi tra coppie famose, invece delle infelici battute di ministri e dei parlamentari? I dati sono quelli forniti dall’Inps che li riceve dalle imprese. Si tratta del 13% di chi opera nel settore privato, soprattutto colf, badanti e braccianti.
In media la paga è 11,7 euro ora, ma tanti prendono meno di 9€
Gli accordi firmati da imprese e sindacati, secondo l’Istat, nel 2020 in media garantivano 11 euro e 70 centesimi l’ora. L’elenco delle categorie più penalizzate è ampio: si va da chi è retribuito coi voucher, agli intermittenti fino ai tirocinanti passando per i falsi autonomi. E spesso si tratta di giovani, cioè con un’età inferiore a 35 anni. Escluso, invece, da questa fotografia chi è in nero: oltre tre milioni di persone con impieghi irregolari che sfuggono alle statistiche ufficiali.
Burocratizzare, perdere tempo, complicare le cose
Cosa ha risposto il Governo alla proposta delle opposizioni? In sostanza ha cercato di bloccare la discussione parlamentare sul salario minimo riproponendo la contrattazione collettiva. Si propone che “attraverso la contrattazione collettiva si assicuri ai lavoratori trattamenti giusti ed equi “… in altre parole fuffa.
“Per ciascun contratto scaduto e non rinnovato entro i termini previsti dalle parti sociali o comunque entro congrui termini – si legge nel testo – e per i settori nei quali manca una contrattazione di riferimento” si prevede “l’intervento diretto del ministero del Lavoro” per “adottare le misure necessarie a valere sui soli trattamenti economici minimi complessivi”, considerando anche “i trattamenti economici minimi” previsti da settori affini. Tra gli obiettivi delle norme proposte dal centrodestra anche una “riforma della vigilanza del sistema cooperativo” e norme per “disciplinare modelli di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili di impresa”.
In pratica si prende tempo, si burocratizza ancora di più la materia, quando il discorso sarebbe molto chiaro e semplice: qualsiasi contratto di lavoro non può essere inferiore a 9€ lordi l’ora!
In Germania e Belgio il salario minimo garantito è di 12€ l’ora
Lo fanno altrove? Cinque Paesi europei non hanno adottato il salario minimo, e sono: Italia, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia. Gli Stati che hanno una retribuzione minima legale si dividono invece in tre gruppi: quelli in cui il salario minimo è superiore ai 1.500 euro mensili, quelli in cui oscilla tra i 1.000 e i 1.500, e quelli in cui è inferiore ai 1.000 euro.
Sempre in base all’ultimo aggiornamento Eurofound, sei Paesi hanno una tariffa oraria elevata: quasi 14 euro in Lussemburgo (2.387 euro al mese), intorno ai 12 in Germania e Belgio, e sopra gli 11 in Irlanda, Francia e Olanda. I tedeschi lo hanno aumentato nel 2022 portandolo a 12 euro l’ora! Fosse stata una manovra sbagliata l’avrebbero addirittura aumentata? Perché da noi non si può fare? Perché l’opposizione è stata più efficiente nel presentare la proposta e il Governo non può perdere la faccia accettando una proposta giusta?
Ci sono quelli che pagano meno, ma almeno hanno fissato un minimo. I lavoratori spagnoli ricevono circa 7,82 euro (1.260 al mese), e gli sloveni 6,92 (1.203 euro al mese). Alcuni Paesi viaggiano su salari minimi orari di circa 5 euro: Lituania, Portogallo, Cipro, Malta, Grecia. Altri hanno minimi che vanno dagli oltre 4 euro di Repubblica Ceca, Estonia, Croazia e Slovacchia, ai 3 euro l’ora di Ungheria e Bulgaria (399 euro al mese). Noi neanche questo.
Giulia aveva il reddito di cittadinanza ora è disoccupata
Giulia, romana, ex commessa di 35 anni. Viveva con il reddito di cittadinanza ma all’improvviso con un sms le hanno comunicato che le era stato sospeso dal primo agosto. Dopo il Covid ha avuto una serie di contratti brevi e sottopagati.
C’è stato anche chi non l’ha pagata per mesi finché è rimasta disoccupata, con conseguenti attacchi di ansia e crisi psicologica. Poi ha scoperto che poteva chiedere il Reddito di Cittadinanza navigando su Internet.
“Nessuno ti spiega quali siano i tuoi diritti. Nessuno ti aiuta. Devi fare tutto da sola in un mare di uffici, voci non confermate, leggi, burocrazia…” Fa la domanda e viene accolta. Le danno 780 euro al mese. Solo l’affitto che paga si portava via il 90% del reddito.
Continua a cercare lavoro, anche in nero. Finché le arriva l’sms della sospensione! Una doccia fredda. In altri paesi europei lo stato ti viene incontro con un contributo nel periodo in cui non lavori. Specie se hai figli e sei una donna sola. “Da noi non c’è lavoro e quando c’è una norma che ti dà una mano te la tolgono”.
Senza un lavoro dovrà abbandonare Roma e i suoi sogni di indipendenza
Se non trova lavoro Giulia perde la casa perché non può pagare l’affitto. “Per ora mi ha aiutata la sorella di mia madre. Se non trovo niente dovrò tornare al paese, dalla mia famiglia e addio sogni.” I corsi di formazione servono a poco o nulla.
Ti danno a mala pena 350 € con cui non risolvi niente e non hai più il tempo di andare a cercare lavoro. “Ho provato a scaricare il testo del decreto, sperando di trovare qualche cavillo a mio favore, ma ci ho capito poco. Ho chiesto un appuntamento ai servizi sociali, mi hanno detto che sono oberati di casi come il mio, spero che mi richiamino.”
“Fino ad oggi non ho trovato nessun lavoro. Mi sono stati proposti dei corsi, qualcuno l’ho anche fatto, ma nessuno che abbia avuto sbocchi concreti. Ho un Isee a zero, verrò sfrattata non saprò dove andare, non ho nemmeno un’auto. A Roma per l’affitto, chiedono anche fino a sei mensilità di anticipo e molte garanzie, che io non potrei dare. In effetti, non potrei nemmeno pagare: sono davvero angosciata”.
Francesco non arrivava a 5 €/h, adesso è disoccupato
Francesco ha in mano il cellulare sperando in una chiamata e sta seduto nella cucina di un appartamento sottoscala a Tor Bella Monaca, periferia di Roma. Ha perso da poco il lavoro perché l’azienda in cui era occupato ha chiuso per fallimento. La sua mansione era lavare cani e gatti in un negozio per animali. Prendeva 800€ al mese più le mance, con cui arrivava ai 1000€. Facendo un rapido calcolo prendeva 4,5€ l’ora!
“Da bambino mi dicevano di impegnarmi nello studio che poi avrei trovato un lavoro. A 36 anni mi è chiaro che studiare non serve a trovare lavoro e tutto quello che trovi ha poco a che fare con gli studi che hai fatto.” Francesco è laureato in Scienze Politiche alla Sapienza.
Nella sua giovane vita ha fatto il giornalista free lance, l’uomo sandwich, il commesso in una libreria, l’aiuto cuoco e molti concorsi per insegnare, entrare nell’amministrazione pubblica ma senza esito. Aveva una compagna dalla quale s’è separato per la crisi dovuta alla mancanza cronica di soldi. Lei faceva l’infermiera. Ancora lavora ma con dei turni massacranti che le rendono la vita impossibile sul piano affettivo.
Lucilla, insegnante: se non rinuncia rischia la bancarotta
Lucilla è un’insegnante, laureata in Lettere e filosofia, ha 28 anni, è precaria presso un Liceo della Capitale. L’insegnate è un ruolo di responsabilità, uno dei più importanti per qualsiasi società. Si tratta di educare e formare i giovani che saranno il futuro del Paese e che invece, dalle cronache lo sappiamo, sono costretti a scappare non appena laureati e anche prima.
Purtroppo la figura dell’educatore viene messa in discussione e subisce un attacco da parte della società proprio perché è mal retribuita e mal considerata. Studi tanti anni per essere un fallito. Non puoi comprarti una casa, non puoi fare una vacanza, puoi al massimo sopravvivere.
Ora poi lo stipendio non ti consente neanche di arrivare a fine mese. “Con il mio stipendio riesco a pagare l’affitto, pagare le bollette e a fare la spesa e alla fine del mese non mi resta niente. Non una pizza, non un vestito, non un week end, neanche un libro posso comprare e si che mi servirebbe documentarmi mantenermi aggiornata.”
Dopo 4 anni di insegnamento rimane un debito di 30mila euro
Alla fine non resta nulla. Quante volte l’abbiamo sentito dire, urlare, quante persone sono in ansia per questo, vivono male, non dormono, sentono di essere in pericolo, in balia delle banche e del futuro. Lucilla sa che se continuerà a fare l’insegnante andrà in bancarotta.
Avrebbe ancora un’età per tentare la fortuna all’estero ma dove vai se non hai un fondo con cui viaggiare e garantirti dei mesi di sopravvivenza? In Canada, Nuova Zelanda, Danimarca accettano curricula di laureati italiani e offrono buone condizioni e opportunità di lavoro ma ci devi arrivare e i primi mesi non riesci a guadagnare niente o a mala pena puoi fare lavoretti saltuari: cameriera in un pub, bambinaia, badante.
Un’amica di Lucilla ha lasciato il posto, s’è licenziata perché con la paga non ce la faceva a tirare avanti. È finita dopo 4 anni di insegnamento con 30mila euro di debito in banca.
Alla fine conviene più il lavoro in nero
Sembra che tutto concorra a spingere la gente verso il lavoro nero, saltuario, temporaneo e malpagato ma che consente l’evasione fiscale sia del datore di lavoro e del lavoratore. Ci rimette solo l’Agenzia delle Entrate. Chi invece incamera extraprofitti dagli aumenti energetici o da altri guadagni come le Imprese farmaceutiche e le Banche non viene tassato e siamo in bolletta come Stato.
Su 180mila ex percettori del Reddito di Cittadinanza (gli occupabili) l’Inps sostiene che solo poco più di 33mila (18,3%) sono quelli iscritti al Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa, belle parole per non dire nulla.
La piattaforma che offre corsi di formazione e posti di lavoro ai percettori del Supporto per la formazione e il lavoro. Le domande caricate dal 1° settembre, giorno di avvio del nuovo strumento di politica attiva del lavoro sono 63.423, tra questi sono 33.563 le iscrizioni presentate dagli ex beneficiari del Reddito di cittadinanza.
Come è noto la legge di Bilancio 2023, in previsione della cancellazione del Rdc dal 1 gennaio 2024, ha limitato per i percettori occupabili la durata del sussidio a soli 7 mesi: chi lo ha perso può aderire al Supporto per la formazione ricevendo 350 euro al massimo per un anno mentre partecipa ai corsi di formazione. La risposta che arriva dagli esperti che seguono il problema è che questa esigua partecipazione può essere un indicatore dell’ampio ricorso al lavoro nero: gli ex precettori del Rdc avevano attività nell’economia sommersa. Di fronte alla prospettiva di doversi attivare, impiegando il loro tempo libero in corsi di formazione, è probabile che abbiano rinunciato del tutto.