Suburra, regia impeccabile ma manca qualcosa
Dall’omonimo romanzo, Suburra, di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo arriva nelle sale il film di Stefano Sollima. Con Amendola, Germano, Borghi e Favino
Suburra: regia magistrale, scenografia impeccabile, interpretazione degli attori sopra ogni aspettativa. Suburra, dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, non è nient’altro se non quello che ci si aspetta da Stefano Sollima, già regista di Gomorra, del format serie tv Romanzo Criminale, e di ACAB – All Cops Are Bastard.
Eppure, qualcosa manca. Non certo nelle capacità degli attori: sopra tutti Alessandro Borghi, alias Numero 8, che riesce a superare anche i grandissimi Elio Germano e Pierfrancesco Favino, in un’interpretazione che definire magistrale è forse riduttivo. Calato a pieno nel personaggio, sguardo deciso che comunica prima delle parole, espressioni facciali adeguate, flessione della voce, con marcatissimo accento romanesco, che delineano i tratti di quello che è destinato, almeno secondo il parere di chi scrive, ad essere il personaggio più caratterizzante dell’intera pellicola; lui interpreta il capo della gang che fa affari sul litorale di Ostia. Non che gli altri siano da meno: Pierfrancesco Favino calza i panni del politico, Filippo Malgradi, area centro destra; Elio Germano quelli di Sebastiano, un faccendiere dedito a traffici poco edificanti, la cui attività principale è quella di organizzare festini in una villa e di procurare ragazze, anche minorenni, per soddisfare i discutibili piaceri dei potenti di turno; Claudio Amendola, alias Samurai, è un ex terrorista nero, già in affari con quella che fu la Banda della Magliana. Ci sono poi “gli zingari”, con evidente riferimento ai Casamonica, che nel film sono gli Anacleti: Manfredi, il capo della famiglia, è interpretato da Adamo Dionisi; Spadino, il fratello di Manfredi, è invece interpretato dall’abruzzese Giacomo Ferrara. Greta Scarano è invece Viola “la tossica”, come la definisce Amendola nel film, la donna di Numero 8, una malavitosa improvvisata. Giulia Elettra Gorietti è invece una di quelle “ragazze” che se la spassa con i politici, Favino in primis.
La storia si svolge nel 2011, dal 5 al 12 novembre. L’ “Apocalisse” è l’evento finale di questa settimana in cui misfatti e intrighi sono i protagonisti principali della pellicola. Il film si apre con l’annuncio delle dimissioni di Papa Ratzinger e si conclude con quelle dell’allora presidente della coalizione di centrodestra (a contestualizzare storicamente gli eventi, il riferimento, appare evidente, è alle dimissioni di Silvio Berlusconi). Il luogo che dà il titolo al film, Suburra, è ovviamente metaforico: la zona malfamata dell’antica Roma diventa anche quella della Roma moderna, quella del potere.
Le grandi ed eccellenti dimissioni sono però solo eventi collaterali a quelli che in Suburra si raccontano: nel mezzo ci sono traffici lucrosi che riguardano accordi per un progetto a Ostia, destinata a diventare la Las Vegas di Italia. Un progetto che vede uniti sia il politico corrotto (con la celtica al collo), e quindi Favino, sia il potente boss, ex terrorista nero ed ex Banda della Magliana, e quindi Amendola, sia, infine, il potente clan del litorale romano, con a capo Numero 8, e quindi Borghi. Piano piano, però, anche tutti gli altri personaggi finiscono per rimanere intrappolati in questa faccenda.
Il tutto, si svolge in una – forse per esigenze scenografiche, e se l’intento era quello, è perfettamente riuscito – settimana di pioggia incessante, quasi come se la pioggia potesse lavare via i peccati dei peccatori protagonisti del film. Ma non è una pioggia salvifica. Anzi, è micidiale.
I riferimenti alla storia recentissima di Roma sono evidenti. Ma non c'è solo quello. E' vero che un film va letto secondo le intenzioni del regista. Però, quando si entra in sala, ci si aspetta qualcosa di più. Non solo grande cinema – e lo è – ma anche storia. O almeno questo mi aspettavo io, quando ho acquistato il biglietto. Alla fine del film, ho avuto la netta sensazione che si accennasse un po’ a Mafia Capitale, un po’ alla corruzione generale che permea la nostra politica, fino ai più alti livelli, addirittura entrando in Vaticano (nel film è Samurai a intrattenere i rapporti con gli alti prelati), un po’ al malaffare che a Ostia ha fatto grandi affari. Un po’ di tutto, e alla fine non fa riferimento a nulla in particolare.
Due ore di film, in cui è racchiusa tutta Roma, dai sobborghi al Parlamento, fino al Vaticano, durante le quali, però, si ha la sensazione che la trama non si sviluppi mai realmente. E mai fino in fondo. Nemmeno le morti dei personaggi principali riescono a dare una conclusione alla vicenda. Anzi, in alcuni casi appaiono forzate, quasi irreali. Tutto resta sospeso. Lo spettatore avverte – o almeno io ho avvertito – quel senso di straniamento che è dovuto con una pellicola del genere, ma il dramma alla fine non si conclude, non si consuma. Non c’è catarsi, non c’è un giudizio. Non c’è una fine, come non c’è un inizio. Ma forse è proprio questo il senso. Non a caso, quando si dimette il presidente di quella coalizione di centro destra, Amendola, ovvero Samurai, in una telefonata lascia intendere che ora c’è spazio per corrompere qualcuno “dall’altra parte”. Tutto cambia perché nulla cambi realmente?
Queste, però, sono solo le impressioni di una spettatrice qualunque. Che, peraltro, non si intende nemmeno di cinema, ma che esprime un giudizio da profana. E che però ha importanza, visto che è al pubblico, quello più comune, che un film parla. Tolte queste impressioni, che altri potrebbero non condividere, Suburra è e resterà un gran bel film. Con inquadrature suggestive, condite da una colonna sonora ancor più efficace (le musiche degli M83 sono "azzeccatissime"). E totalmente introiettata all’interno dei fatti narrati. La sequenza delle scene, a ritmi incalzanti, lascia a chi osserva la sensazione che, anche quando gli eventi raccontanti non appaiono perfettamente collegabili l’un l’altro, in realtà non c’è scampo: nessuno si salva, nessuno ne esce pulito. E anche politici e malavitosi, che sembrano detenere il potere di gestire uomini e risorse, e di mandare Roma nella direzione in cui vogliono, alla fine sono “vittime” (no, non c’è alcuna redenzione), a cui gli eventi sfuggono di mano. E devono provare a sopravvivere. E lo fanno come possono. Spesso a costo della vita loro, e di quella degli altri.
Ciò che di assolutamente positivo c’è in Suburra, è che non si tratta della solita pellicola radical chic, in cui “la strada” la osservi al massimo solo dall’attico a due passi dal Colosseo. “La strada” in Suburra è la vera protagonista: tutti sono sullo stesso piano, a nessuno si fanno sconti. Ed è in quella “strada” (che non è da intendere come luogo necessariamente malfamato) che tutti i protagonisti trovano la loro fine, fisica o metafisica.