Superlega, la tempesta che la Uefa raccoglie dopo aver seminato vento
Polemiche a non finire sulla competizione elitaria di 12 tra i club più ricchi d’Europa. Ma sulla trasformazione del calcio in business i vertici del football non sono esenti da colpe
Ci voleva la Superlega per “sfrattare” dalle prime pagine di quotidiani e telegiornali Covid-19, proteste, Recovery Plan e le altre amenità del periodo. “Merito” anche delle polemiche che hanno rapidamente travalicato il mondo dello sport per saldarsi con politica ed economia. Confermando ulteriormente che il calcio è ormai puro aziendalismo, anche per colpa di quella stessa UEFA che ora si straccia le vesti.
La Superlega della discordia
L’annuncio è arrivato in piena notte – aspetto che alcuni potrebbero ritenere emblematico. Dodici club tra i più ricchi d’Europa hanno creato un nuovo euro-campionato – la Superlega – in cui la meritocrazia dovrebbe cedere il passo all’elitarismo.
Tra i fondatori, in predicato di salire a quindici, figurano anche tre squadre italiane: Juventus, Inter e Milan. Con loro tre team spagnoli (Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid) e sei inglesi (Manchester United, Manchester City, Arsenal, Liverpool, Tottenham, Chelsea), benché alcune ci starebbero già ripensando). Altri cinque dovrebbero invece essere ammessi a rotazione in base ai risultati stagionali.
Particolare, quest’ultimo, vagamente ironico, come ha rimarcato, tra gli altri, l’ex calciatore e Presidente della Federcalcio polacca Zbigniew Boniek. «Nel calcio non c’è bisogno di una competizione tra club più ricchi del mondo. Poi le squadre più ricche del mondo non riescono a vincere nemmeno contro la povera e piccola Atalanta».
In effetti, la Super League, che nelle intenzioni degli scissionisti dovrebbe partire già il prossimo agosto, ha radici meramente pecuniarie. Basti pensare che nasce con l’obiettivo di raccogliere 10 miliardi di euro, di cui 3,5 verranno munificamente elargiti dalla banca americana JP Morgan.
Le polemiche sulla Superlega
L’operazione, però, ha mandato su tutte le furie i massimi organismi del football continentale e mondiale. A cominciare da Gianni Infantino, presidente della FIFA, secondo cui «se alcuni eletti scelgono di andare per la loro strada devono pagare le conseguenze delle proprie scelte».
Ancora più duro è stato Aleksander Čeferin, numero uno della UEFA, che ha minacciato sanzioni drastiche contro quelli che ha bollato come «sporca dozzina». Che verrebbero esclusi da tutte le competizioni (forse già dall’annata in corso), e i cui giocatori perderebbero le rispettive Nazionali.
Significherebbe, per capirci, che la serie A espellerebbe le tre società più vincenti di sempre – come d’altronde hanno già chiesto Atalanta, Verona e Cagliari. Con conseguenze immediate e inevitabili su Scudetto, Coppa Italia, qualificazione alle prossime Coppe europee e retrocessioni. Nell’attuale Champions League permarrebbe il solo Paris Saint-Germain, mentre in Europa League resterebbero in corsa Roma e Villareal (salvo ripescaggi).
La linea dura è condivisa da Capi di Stato e di Governo come il nostro Mario Draghi, il francese Emmanuel Macron e l’inglese Boris Johnson. Quest’ultimo, in particolare, ha affermato che farà «tutto il possibile per fermare questo progetto».
I radical chic del calcio comunque hanno anticipato di essere pronti a una causa legale miliardaria, tanto per smentire le accuse di avidità piovute dall’avvocato sloveno. Il quale, riferendosi soprattutto al numero uno bianconero Andrea Agnelli, ha tuonato di non essersi accorto «che c’erano dei serpenti al nostro interno». Se così è, però, li ha allevati nel suo seno.
Chi semina vento raccoglie tempesta
In effetti, la Superlega è il culmine di un processo cui le istituzioni calcistiche non sono affatto estranee. La trasformazione del gioco più bello del mondo in business, anche e soprattutto attraverso il dominio delle televisioni.
In molti ricorderanno, per dire, le contestazioni negli stadi al grido di “questo calcio ci fa sky-fo”. O le levate di scudi contro il cosiddetto spezzatino (la programmazione delle partite in orari scaglionati per favorire le emittenti).
Solo ora, però, Gabriele Gravina, presidente della Figc, ha dichiarato che «il calcio è dei tifosi». In un momento in cui contro la Superlega è insorta la maggior parte degli addetti ai lavori, inclusi alcuni tesserati dei club ribelli. Troppo facile, troppo tardivo.
Chi semina vento raccoglie tempesta – e una tempesta non da poco, considerando l’attenzione che i media stanno dedicando all’affaire. Che en passant, forse per eterogenesi dei fini, sta diventando una specie di arma di distrazione di massa dalle questioni veramente importanti. Come se, dopo 2.000 anni, i circenses avessero prevalso sul panem. A parte per qualcuno che, evidentemente, tende a confondere i piani.