Tarantina. Vis a vis con l’ultimo femminiello napoletano
A Napoli i femminielli godono di una posizione relativamente privilegiata: lo loro “diversità” è culturalmente accettata
Tarantina, all’anagrafe Carmelo Cosma, ha 88 anni ed è il più celebre femminiello napoletano. La sua vita esuberante e disperata, unica e coraggiosa – segnata da ferite inguaribili e incontri proverbiali – viene raccontata in un testo biografico, scritto da Roberto Delle Cese e intitolato “Illuminosa Tarantina. Il romanzo di un femminiello napoletano”.
Il più famoso femminiello di Napoli
L’ha incontrata l’autore del libro che ha ricostruito la sua storia attraverso la voce della protagonista. In questa intervista la protagonista del romanzo rievoca la sua infanzia in Puglia, prima del suo approdo nella “città di Partenope”.
Tarantina non è solo l’ultimo, ma è anche il più famoso femminiello di Napoli. Indiscussa regina dei Quartieri Spagnoli, è stata oggetto di saggi e libri nonché soggetto di documentari e opere d’arte come il murale di Vittorio Valiante divenuto un caso mediatico quando venne barbaramente vandalizzato nel febbraio del 2019 con la scritta “Questa non è Napoli”.
A dispetto dell’increscioso episodio che ha sollevato un unanime condanna da parte del mondo LGBTQ+, e non solo, Tarantina è recentemente comparsa in diversi reportage fotografici pubblicati su prestigiose riviste di moda, tra cui Vogue Italia e Number One, e in articoli pubblicati su testate italiane e internazionali come il Corriere della Sera, Libération e il New York Times. A lei sono stati dedicati un film e un lavoro teatrale, con la regia di Fortunato Calvino, intitolati “Tarantina”, presentati al Festival Internazionale del Cinema Trans ideato dal Movimento Identità Trans. Sempre per restare in ambito teatrale, la testimonianza della Tarantina è stata preziosa ai fini dell’ideazione del bellissimo spettacolo “Alluccamm” di Luca Pizzurro – ambientato durante le Quattro giornate di Napoli – messo in scena nel 2022.
Mostra di disegni dedicata a Tarantina
Napoli, la città della Sirena, è la sua città d’azione
La Tarantina, nata ad Avetrana nel 1936, giunse a Napoli alla fine degli anni Quaranta. Nel capoluogo campano, non ancora adolescente, all’epoca conosciuto come Melo (uno dei suoi tanti appellativi), scoprì un mondo sorprendente e meraviglioso andando incontro a umiliazioni e sofferenze ma anche a momenti di gioia e occasioni di spensieratezza. Fu proprio nella “città della sirena Partenope” che Tarantina venne per la prima volta chiamata femminiello. Più precisamente a definirla così fu la bellissima prostituta Annarella ‘Nguacchiata che lavorava in un famoso bordello in Vico Lungo del Gelso.
I femminielli – uomini che vivono e sentono come donne – sono figure tipiche della cultura tradizionale e popolare partenopea, documentati a Napoli e nelle province limitrofe dai tempi antichi. Nella città partenopea i femminielli hanno una precisa identità sociale che si esprime in una forma né maschile né femminile, ma in una dimensione che le contempla entrambe aprendosi ad altre forme di definizione di genere. I femminielli sono, infatti, i rappresentanti di una variante di genere riconducibile a un sesso di confine e non conforme, poiché non vi è in essi una evidente corrispondenza tra il sesso biologico e il vissuto soggettivo.
Una diversità meno diversa
A Napoli i femminielli godono di una posizione relativamente privilegiata: lo loro “diversità”, che si manifesta in età adolescenziale, è culturalmente accettata. I femminielli hanno sempre goduto di una possibilità di integrazione e inclusione, soprattutto all’interno del contesto protettivo del quartiere e del vicolo (fino a tempi recenti i Quartieri Spagnoli e il Rione Sanità erano le zone in vi era una grande concentrazione di femminielli).
A Napoli sono una realtà associabile al transgenderismo e la testimonianza della Tarantina risulta, oltre che commovente, interessante ed esemplare. La Tarantina, oggi ottantottenne, era un bambino affamato e scalzo quando nell’immediato dopoguerra giunse nel capoluogo campano.
Tarantina: una intervista di cuore
Tarantina, dopo aver conosciuto la tua vicenda biografica, si ha l’impressione che tu abbia vissuto più di una vita. Tuttavia si conosce solo in parte il tuo passato ad Avetrana. Che bambino eri?
Ero il più piccolo di cinque figli, due maschi e due femmine. Mio padre durante la guerra era stato fatto prigioniero in Albania e, di conseguenza, finché egli non rientrò a casa, ad Avetrana, io sono crescita insieme ai miei fratelli Antonio e Vincenzo, alle mie sorelle Natalia e Cosimina e a mia madre Filomena. I miei fratelli lavoravano in campagna mentre le mie sorelle si davano da fare per rimediare lavoretti saltuari.
Che tipo di vita conducevate?
Una vita molto dura, faticosa. Ad Avetrana c’era una miseria nera. Ogni famiglia era più povera dell’altra.
Hai qualche ricordo legato al fascismo?
I miei ricordi riferibili al fascismo sono molto vaghi. Mi ricordo, però, che mi avevano chiamato per fare il balilla. Mi piaceva fare le esercitazioni ginniche. Poi quando organizzavano le marce, tutto fiero e impettito, sfilavo per le strade del mio paese.
Della guerra, invece, che ricordi hai?
Il ricordo più vivido che ho della guerra è quello degli aerei che sorvolavano Avetrana diretti verso Taranto. Quando si avvistavano bisognava scappare. Poi, a un certo punto, sono arrivati gli americani e tra loro c’era anche degli uomini neri. Io non li avevo mai visti prima e ne ero molto incuriosito.
A che età hai cominciato a sentirti femmina?
Verso i sette, otto anni ho iniziato ad atteggiarmi in modi che erano tutt’altro che maschili, virili. Io mi sono sempre sentita femmina, però non ne parlavo con nessuno. Comunque per era evidente che la mia natura fosse differente rispetto a quella dei miei coetanei. Sin da bambino capivo che ero attratta dagli uomini. Mi piacevano fisicamente i ragazzi ma, nello stesso, tempo ne ero turbata.
I giovani di Avetrana quando constatavano che eri un bambino con maniere femminee ti deridevano o infastidivano?
All’inizio no. Dopo però che successe? Una volta, nella mia ingenuità di bambino, senza alcuna malizia, per sbaglio, mentre stavo giocando con alcuni amici, sfiorai l’inguine di un contadino. Successe il finimondo. Da quel momento cominciarono a insultarmi con parole volgari e a tormentarmi con gesti violenti. Da un giorno all’altro la mia vita spensierata si trasformò in un incubo. Tutti mi trattavano con disprezzo. Mi hanno anche sputato e pisciato addosso. Sono stato molestato ripetutamente,una volta anche da un sacerdote del paese.
La tua famiglia come reagì di fronte a questi comportamenti sconsiderati?
Mia madre era disperata e profondamente dispiaciuta per quello che mi stava accadendo però non poteva permettersi di essere esclusa da tutti i paesani. Nel frattempo era rientrato mio padre dall’Albania. Con il suo arrivo in famiglia’aria si fece sempre più tesa di giorno in giorno e, prima che lui mi cacciasse di casa, me ne andai io. Furono momenti bruttissimi. Rimasi per qualche giorno ad Avetrana e, in seguito, disperato, me ne andai da solo prima a Manduria e poi a Taranto.
A Taranto come ti sei trovata?
Iniziai a lavorare come aiutante di un barbiere. Lui era un poco di buono. Era un pedofilo. Non faceva che infastidirmi proprio come, fino a qualche tempo prima, avevano fatto gli uomini di Avetrana. Allora scappai dalla Puglia per venire a Napoli insieme a un bel marinaio che si chiamava Mario del quale mi ero un po’invaghita, ma senza alcuna accezione sessuale.
Lui ti ospitò nella sua casa?
No. Una volta giunti a Napoli lui mi lasciò solo a Piazza Plebiscito. Dopo aver vagato sconsolato per un’intera notte tra i vicoli della città, una bellissima donna mi adocchiò mentre stavo osservando della frutta davanti la bancarella di un venditore. Fu lei a chiamarmi per la prima volta femminiello. Lei era una prostituta che, di tanto in tanto, mi chiedeva di fargli dei servizi.
Quindi è a Napoli che sei stata definita per la prima volta “femminiello”?
Si. Più precisamente, come accennavo, è stata Annarella ‘Nguacchiata che mi ha detto per la prima volta che ero un femminiello. Nella sua voce non c’era affatto nessuna allusione dispregiativa. Anzi. Al contrario. Era un modo affettuoso e dolce di prendermi in considerazione. Io sono un femminiello. Femminiello è un “nomignolo” in cui mi identifico appieno. Mi chiamano così da quando sono arrivata a Napoli, poco dopo la guerra. La città era piena di edifici in rovina distrutti dai bombardamenti. Pure se le macerie erano sparse ovunque, però, a me sembrò bellissima.
In seguito al trasferimento a Napoli, dopo quanto tempo sei rientrata ad Avetrana?
Sono passati decenni. Io sono vissuta a Napoli, ma anche a Milano e Roma. Nella capitale ho conosciuto grandi personalità del mondo dell’arte e della cultura e dello spettacolo. Ho avuto una grandissima amicizia con Goffredo Parise, l’autore del Il prete bello, un’amicizia durata venticinque anni. Quanto gli ho voluto bene a Goffredo! Solo a nominarlo mi vengono i brividi… Ad Avetrana sono rientrata solo recentemente.
Come sei stata accolta?
Fortunatamente mi hanno ricevuto con grande accoglienza. Sono stata festeggiata da molti paesani e ho rivisto, dopo tanto tempo, i miei cugini e i miei nipoti. Inoltre il sindaco mi ha omaggiata con una targa. E’stato un momento commovente della mia vita. Un momento indimenticabile. In seguito a questa “rimpatriata” sono tornata altre volte, anche per portare dei fiori sulla tomba dei miei familiari. Mia madre è morta senza sapere bene quale fosse la mia vera natura. Ne sono convinta.
Hai mai pensato di stabilirti ad Avetrana?
No. La mia patria, ormai, è Napoli: la città che dai tempi più antichi consente agli uomini di manifestare il lato femminile della loro natura. A Napoli hanno cominciato a chiamarmi Tarantina. E’un soprannome che mi piace molto. Io non rinnego il mio passato e, dopo tanti anni, non ho più alcun rancore verso chi mi ha disprezzato e discriminato soltanto perché mi sono sempre sentita donna in un corpo da uomo.
Io sono stata vittima di pregiudizi e violenza. In tanti, quando ero un ragazzino ingenuo e ignorante, si sono approfittati di me cercando di farmi vivere in uno stato di vergogna e di inadeguatezza. Ho vissuto momenti di grande solitudine. Adesso ho fatto pace con il mondo, ma non ho perso il desiderio di impegnarmi per essere felice e per far felici gli altri, soprattutto i giovani che, sentendosi castrati nella loro libertà di essere ciò che sono, hanno un’esistenza travagliata. Auguro a loro tutto il bene del mondo. Tutti meritiamo amore.
Foto di Riccardo Rozzoni