Teatro Costanzi “The Bassarids” di Werner Henze
L’impatto dello spettacolo è potente, la tensione emotiva che sottende la partitura è rafforzata dalla scenografia cupa
The Bassarids in scena fino al 10 dicembre al Teatro Costanzi per la regia di Mario Martone, opera in un unico atto di Werner Henze, su libretto di W.H. Auden e Ch. Kallman tratto dalla tragedia greca, Le Baccanti di Euripide, è uno spettacolo dirompente, che spezza gli schemi comuni, in grado di dividere il pubblico attraverso la forza simbolica che l'attraversa e la capacità di mettere a nudo e rendere visibili le profonde energie primigene ed istintuali del subconscio umano.
Questa opera di Henze, che è solitamente poco rappresentata nei teatri italiani per l'ingente sforzo richiesto dal suo allestimento, in scena a Roma per la prima volta e in assoluto per la seconda volta in Italia, ha aperto la stagione lirica 2015/2016 del Teatro Costanzi, innovandone la programmazione musicale, dando un chiaro segno di cambiamento del Teatro e della volontà di arrivare anche a un pubblico nuovo al di fuori dei clichè tradizionali e conformisti.
L'impatto dello spettacolo è potente, la tensione emotiva che sottende la partitura è rafforzata dalla scenografia cupa dove predomina il rosso scuro, colore del sangue e delle passioni, e si mantiene alta per due ore consecutive, senza intervalli, senza alleggerirsi, senza mai trasmutarsi mancando la tipica catarsi delle tragedie greche e raggiunge l'apice finale con lo sbranamento di Penteo da parte della madre Agave e delle menadi secondo il rito dionisiaco dello sparagmos.
Penteo attraverso uno specchio intravede quella parte di sè, edonista e istintuale (i riti orgiastici dionisiaci sono abilmente messi in scena attraverso l'effetto scenico di uno specchio posto al di sopra del palco) e su suggerimento dello straniero, il Dio Dioniso in persona non riconosciuto, si camuffa da donna, si veste dell'abito della madre, di quel femminile di cui vuole spiare il regno, i riti e la sacralità, e si avventura tra le menadi. Nel regno delle menadi si intravede una esaltazione della forza sessuale femminile primordiale, libera, scevra dalle contaminazioni sociali e religiose, espressione di quell'antico e orginario potere creativo femminile che anela alla unificazione con il tutto, giudicato malefico dalla storia, al quale Penteo si sacrifica.
Il mondo razionale di Penteo con il suo ordine e controllo, destinato ad essere distrutto, è rappresentato al di sopra del palcoscenico come un regime totalitario, il regno del Dio Dioniso, governato dall'istintualità primordiale e da forze irrazionali e imponderabili, ma che è anche danza, ritmo e movimento, è rappresentato al di sotto del palco e appare sulla scena attraverso una buca come se emergesse dalla profondità della terra, i meandri del subconscio.
Questa dualità estrema pervade tutta l'opera sottolineata anche con efficacia dalla scenografia, ogni personaggio è intriso, posseduto da quella forza duale che è vita e morte allo stesso tempo, non c'è una netta distinzione tra il buono e il cattivo, ma tutti lo sono allo stesso tempo, tutti in qualche modo sono vittime e carnefici, marionette senza libero arbitrio di quella forza duale che li pervade. Il coro, diretto magistralmente dal Maestro Roberto Gabbiani, è un protagonista dell'opera, conferendo universalità e solennità ai sentimenti dei protagonisti, dando voce agli archetipi dell'inconscio collettivo che sono poi incarnati dai singoli personaggi.
Impeccabile l'orchestra diretta da Stefan Soltesz che ha saputo mantenere costantemente alta l'attenzione emotiva del pubblico e premiabile l'impegno e lo sforzo di tutti coloro che hanno portato in scena un'opera così impegnativa e audace.