Teatro e disabilità, la storia di Giovanna Barbero: “Grazie a loro sono diventata più forte”
L’attrice che attraverso spettacoli affronta il tema della disabilità “Oggi manca l’educazione alla relazione con persone differenti da noi”
La forza del palcoscenico, la grande possibilità dell’arte di insegnare e scoprire cose nuove. L’attenzione dedicata al mondo della disabilità, come stile comunicativo, forma di apprendimento artistico ma anche umano.
Giovanna Barbero, donna, mamma, danzatrice e attrice. Una formazione artistica a 360 gradi, una vita a stretto contatto con registi e conduttori di alto livello, tra esperienze in teatro e in televisione. E nel più quotidiano e familiare dei ruoli. Un cammino umano, arricchito da un percorso artistico fatto di spettacoli incentrati sul tema della disabilità.
Una storia iniziata nel 2010, che mira a ricercare e sottolineare le possibilità di chi, troppo spesso, viene considerato non idoneo, non capace. Restando in disparte, non in luce, dimenticato.
Abbiamo intervistato Giovanna Barbero, per conoscere meglio la sua esperienza.
Mi incuriosiva il suo punto di partenza. Lei racconta di una famiglia che in qualche modo l’ha osteggiata nel percorso di ricerca della sua identità, della sua carriera artistica…
“Sì. Non è stata molto presente. Forse perché lontana dalle mie velleità e desideri artistici, venuti fuori sin dalla tenera età. Lontani da questi schermi, non mi hanno proprio sostenuta. Io a 18 anni ho lasciato casa e mi sono trasferita prima a Milano, poi a Roma. E’ stato faticoso perseguire questa strada artistica. Negli studi, nella formazione, nel sostegno anche economico. Non c’è però un attrito nei confronti della mia famiglia. Ha funzionato forse un po’ come benzina per il percorso”.
Un percorso che unisce tante figure al proprio interno. Donna, danzatrice, attrice. Si fa fatica oggi a far coincidere tutti questi ruoli?
“Sì (ride ndr). Non posso dire di no, ma si può assolutamente fare. Del resto nulla è semplice e tutto comporta un minimo di fatica. Questa però la avverti in modo significativo quando fai qualcosa che non ti appartiene. Io faccio tutte cose che ho desiderato tantissimo e che mi appartengono. Sento la stanchezza, certo, ma non la fatica. Non è semplice organizzare tutte queste cose, specie da quando sono mamma. C’è una situazione in più da gestire, ma non sento la fatica intesa con accezione negativa. Tutto è mosso dalla passione“.
Dalla passione certamente è mosso un bellissimo progetto di cui vorrei ci parlasse, che ha come titolo una parola decisamente importante: Protagonista…
“E’ uno degli ultimi progetti che abbiamo realizzato. Nasce dall’esigenza di aiutare, attraverso il linguaggio artistico, principalmente della danza e del teatro-danza, altre donne a fare un percorso su loro stesse. Io per prima mi sono messa in gioco in tutti questi anni e mi sono resa conto di come essere donna porta a subire trasformazioni fisiche ed emotive molto alte e forti, per tante motivazioni. Soprattutto legate al progetto di costruzione di un nucleo familiare. Ancora oggi nella società attuale, non è proprio semplicissimo.
E’ un percorso a cui tengo molto, creato insieme a una mia collega e con la nostra Asd, Dance for your dreams. Un percorso che unisce diverse discipline artistiche, che si basa sul linguaggio della danza e su quello teatrale, ma unisce anche psicologia e fotografia, intesa come riconoscimento della propria immagine. Siamo molto soddisfatte, perché ci rendiamo conto dalla risposta che stiamo ottenendo, che sono molte le donne disposte a mettersi in gioco e che hanno voglia di lavorare su loro stesse”.
C’è un file rouge che lega, all’interno del suo percorso artistico, l’arte il teatro e un tema nei confronti del quale c’è, o dovrebbe esserci, molta sensibilità…
“Il fatto di rivolgere insegnamento e preparazione artistica nei confronti di chi ha una disabilità fisica, psichica o disagio sociale nasce in modo casuale. Tutto inizia quando qui a Roma mi sono offerta volontaria come attrice per una compagnia del Teatro di Roma. Mi sono trovata a lavorare con dei ragazzi affetti dalla sindrome di Down. Ho scoperto la possibilità che l’arte concedeva, di poter permettere alle persone di lavorare insieme. In maniera indistinta. Io non lavoravo per questi ragazzi, io lavoravo con questi ragazzi.
Oggi sono insegnante certificata di Dance Ability, una disciplina che nasce in America. Sono contenta di essere stata la prima insegnante italiana a portare questa disciplina all’interno di una struttura universitaria, a Roma Tor Vergata. Qui tenevo un laboratorio che aveva come scopo la leggerezza. Consentendo di imparare delle cose, anche da persone totalmente diverse. L’insegnamento avveniva in uno scambio vicendevole, a 360 gradi”.
Qual è di questa esperienza l’aspetto che l’ha sorpresa maggiormente e quello che invece necessita di un maggiore approfondimento, perché venga conosciuto anche dalle persone?
“Lavorando in questa direzione mi sono resa conto che io per prima ritenevo le persone disabili delle persone fragili, da proteggere in una campana di vetro e a cui parlare in un determinato modo. Lavorandoci e formandomi, mi sono ritrovata a sostenere l’esatto contrario. Sono io ad essermi fortificata. Manca proprio questo, l’educazione alla relazione con persone che sono totalmente diverse da noi. Questo lo si riscontra non solo con persone affette da disabilità, ma diverse anche per cultura, religione, provenienza. Attraverso gli spettacoli portati in scena ho conosciuto un ragazzino di 9 anni, che rimase sorpreso del fatto che persone sulla sedia a rotelle potessero recitare all’interno di determinati spettacoli. Lui, guardando lo show, era riuscito a imparare una cosa nuova. Questo mi ha fatto comprendere che attraverso l’ascolto possiamo apprendere cose sempre nuove”.