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Temistocle e l’eterna luce dell’eroe

Certamente, Temistocle rimane tra le stelle più luminose del grande V secolo a. C. della storia ateniese

Battaglia navale di Salamina, dipinto di Wilhelm Kaulbach 1868

Battaglia di Salamina, dipinto di Wilhelm Kaulbach 1868

La mente umana, dall’inizio della Storia, vive di grandi configurazioni psichiche. Quella dell’eroe è una di esse. Che si tratti dei grandi personaggi della storia greca o romana, Alessandro e Cesare; di Napoleone; di eroi della conoscenza come Nietzsche; di personalità inimitabili legate alla sfera dell’espressione artistica come Michelangelo, Mozart o Van Gogh. Resta che la cultura occidentale è, sempre, vissuta nel mito di grandi individualità, a partire da Eraclito e Platone.

Tuttavia, se c’è, dopo le mitiche figure di Achille e Odisseo, un primo eroe di decisiva importanza, all’interno della storia europea, questi è certamente Temistocle. Lo scaltro leader della politica ateniese al tempo delle Guerre persiane (siamo, dunque, all’inizio del V secolo a. C.).

Non solo, il vincitore della battaglia navale di Salamina (480 a. C.), che assicurò ai Greci il possesso della vittoria definitiva contro i Persiani di Serse.

Perdere la patria

Certamente, tra le fonti antiche, la “Vita di Temistocle” di Plutarco è uno dei luoghi privilegiati per riflettere sull’eredità, storica politica e umana, di questo grande personaggio della vita pubblica ateniese della prima metà del V secolo a. C.

Tra le monografie contemporanee, vale la pena di riflettere e meditare sul libro di Luca Antonelli (Venezia 1966), dal titolo “Temistocle. Parabola di un eroe dal trionfo all’esilio” (EdiSES, 2015). La significativa dedica iniziale dice: “A tutti quelli che, come Temistocle, hanno assaggiato l’amara esperienza dell’esilio”. Ora, in relazione all’esperienza dell’esilio, è possibile volare alto, in termini letterari, citando i nomi di Ovidio, in epoca romana, di Dante Alighieri, al crocevia tra Medioevo e nascita della letteratura italiana.

Oppure, in epoca contemporanea, ricordare il nome di James Joyce che, nella pagina forse più significativa di “Dedalus: Ritratto dell’artista da giovane” (1904-1914), nomina tra le sue armi “il silenzio, l’esilio e l’astuzia” (“Racconti e romanzi”, Mondadori, p. 510). O, ancora, rievocare il nome del poeta russo Iosif Brodskij, che dell’esilio fece profonda ed amara esperienza e cui dedicò uno dei suoi saggi più importanti e degni di riflessione. In più, si potrebbe aggiungere una considerazione.

Ossia che è l’uomo contemporaneo stesso a vivere la condizione dell’esilio. Espropriato da sé stesso dal mercato, dallo sviluppo tecnologico, dall’industria culturale e dalla rivoluzione digitale, egli sperimenta, sulla sua pelle e quotidianamente, l’esperienza della non coincidenza con sé, senza nemmeno esserne pienamente consapevole.

Ma Temistocle era uomo pratico, concreto fino alla brutalità, ci piace immaginare e, con ogni probabilità, ignorava i possibili sviluppi letterari di un’esperienza che, in ogni caso, dovette essere dura anche per lui.

Cavalcare l’attimo

Un politico diviene grande se è capace di immaginare una grande politica – operazione, di genio razionale e intuitivo nello stesso tempo, sempre più difficile al giorno d’oggi. Alla tradizione è piaciuto immaginare l’accostamento tra la furbizia, piena di risvolti metafisici, di Odisseo e quella, di natura analoga, di Temistocle. Ma la grande visione politica di Temistocle fu quella di capire che Atene avrebbe potuto avere grande crescita e giovamento, conquistando un ruolo di primo piano sul mare.

Così procedette in due direzioni: la creazione di una grande flotta e la costruzione di un grande porto, per la città, al Pireo. In più, scontrandosi con i suoi rivali, Milziade il giovane – vincitore a Maratona (490 a. C.) – e Aristide, detto il Giusto, egli si trova alla guida della città al cominciare della fase conclusiva delle Guerre persiane, nel 480 a. C.

Al posto giusto nel momento giusto, diremmo oggi. Saper sfruttare la circostanza, la congiuntura, l’occasione del momento – avendo, da un lato, l’obiettivo di una grande vittoria collettiva e, dall’altro, quello della gloria personale – è, naturalmente, un’altra dote del grande politico. Vengono in mente i nomi di Alessandro, Cesare, Napoleone che Hegel, nelle “Lezioni sulla filosofia della storia”, tenute a Berlino nell’ultima parte della sua vita, considerava individui cosmico-storici.

La traiettoria della fortuna

A Salamina, la strategia di Temistocle è coraggiosa e sfacciata al tempo stesso – come chi si gioca tutto sul filo della sopravvivenza. Costringere il Persiano a combattere sulla porta di casa dei Greci, in un tratto di mare stretto, in cui le grandi navi persiane sono manovrabili a fatica, mentre le più piccole navi greche hanno buon gioco a contrastare e attaccare il nemico, è sicuramente una strategia geniale.

Così i Persiani sono massacrati come tonni e la metis, la mente astuta di Temistocle, è innalzata all’apoteosi della gloria, paragonata a quella di Odisseo. Ma presto l’eroe comincia a cadere. La democraticissima Atene, in cui è ancora fresco il ricordo della tirannide di Pisistrato, mal tollera le grandi personalità. Così anche il grande Temistocle assaggia la polvere della sfortuna e dell’ingratitudine.

A Sparta e alle Olimpiadi del 476 a. C. – ci racconta Luca Antonelli – dove la Grecia intera non ha occhi che per lui, ottiene quel riconoscimento pieno, che gli verrà negato ad Atene. Aristide il Giusto, suo rivale storico, non aveva, del resto, avuto sorte migliore.

Le stalle di Augia e la persistenza del nome

Temistocle è l’esempio dell’animale politico puro, in tutto il suo genio e in tutta la sua spregiudicatezza – assai più del Valentino, di quel Cesare Borgia che aveva stregato la mente di Niccolò Machiavelli. Il politico vero assomiglia, nella sua natura, al grande predatore. Che si tratti di grandi esempi di parte conservatrice, Napoleone o Francesco Giuseppe.

O di grandi nomi di parte rivoluzionaria, Robespierre o Lenin. Oppure, ancora, di grandi casi di parte liberale, F. D. Roosevelt o W. Churchill. Non a caso, per Machiavelli, (Il Principe, cap. XVIII) il politico doveva essere, nello stesso tempo, volpe e leone. Volpe per districarsi dai lacci e dalle trappole e leone per spaventare i lupi. Temistocle seppe dimostrare di essere entrambe le cose: seppe districarsi dalle trappole dei nemici, interni ed esterni, e riuscì a spaventare e sconfiggere il lupo persiano.

Ma, come si accennava, l’eccellenza – ad Atene – costava cara. Socrate, condannato a morte nel 399 a. C., ne è l’esempio più emblematico. Temistocle, dunque, dopo i suoi folgoranti successi è colpito da ostracismo – la procedura democratica con cui l’Atene del tempo comminava un esilio decennale – condannato e braccato come una preda da Ateniesi e Spartani. Tenta di volgersi ad Occidente, a Siracusa, ma senza successo.

È, dunque, costretto a bussare alla porta dell’eterno nemico, a chiedere ospitalità al Persiano. Eppure, sembrerebbe che egli non abbia tradito la causa greca. Non solo, ma ci è tramandata una tradizione locale sulle qualità morali e umane del nostro. Forse, “la fine non è serena”, per citare parole che Giorgio Colli – alla fine del suo primo libro, “La natura ama nascondersi” del 1948 – adoperò per Platone. Certamente, Temistocle rimane tra le stelle più luminose del grande V secolo a. C. della storia ateniese.

Daniele Lorusso