Tennis, fenomenologia di Berrettini, potenziale campione da non rovinare
Il 23enne romano al Masters 40 anni dopo Panatta e Barazzutti. Un movimento in grande ascesa, che va protetto da deleterie distrazioni mediatiche
Passata la sbornia dei media che si accorgono di certi sport solo se emergono motivi campanilistici, è venuto il momento di decantare le lodi di Matteo Berrettini. Un nome che fino a qualche settimana fa poteva infiammare al massimo i cuori degli addetti ai lavori e degli appassionati, ma che si è prepotentemente preso le luci della ribalta nel momento in cui ha ottenuto un risultato che finora era stato conseguito solo da altri due tennisti italiani – anche se sarebbe più corretto parlare di mostri sacri: Adriano Panatta, nel 1975, e Corrado Barazzutti, nel 1978.
Si tratta della partecipazione al Masters di fine anno – o, per essere più precisi, alle ATP Finals -, il torneo più importante della stagione dopo le quattro prove del Grande Slam, che attualmente si disputa a Londra (ma dal 2021 si giocherà a Torino) ed è riservato ai primi otto atleti delle classifiche mondiali. Quest’anno, degli otto Maestri farà parte anche il 23enne romano, che in stagione vanta tra l’altro la semifinale agli U.S. Open: il che, en passant, la dice lunga sulla competenza di certuni, visto che il risultato di Flushing Meadows è decisamente più prestigioso del pur importante traguardo appena raggiunto.
Traguardo che, si badi, non è un exploit isolato (tipo, per capirci, la semifinale di Marco Cecchinato al Roland Garros 2018), bensì il culmine di un percorso di crescita che – si spera – potrà regalare altre soddisfazioni all’Italia intera: che peraltro può contare, per il futuro, su un vivaio tennistico che forse non è mai stato così florido.
Se infatti in rampa di lancio ci sono Giulio Zeppieri e Lorenzo Musetti (quest’anno campione agli Australian Open Juniores a soli 16 anni), il grande salto lo sta già compiendo Jannik Sinner, il più giovane italiano della storia a essere entrato in Top 100 e ad aver vinto un torneo Challenger, e uno degli undici tennisti al mondo ad averne vinti almeno due prima di compiere i 18 anni: come un certo Rafael Nadal e più del GOAT (Greatest Of All Time) Roger Federer, mentre a quota tre ci sono Novak Djokovic, Juan Martín Del Potro e l’altro giovanissimo Félix Auger-Aliassime – cinque titoli li ha invece in bacheca il recordman Richard Gasquet.
Il nostro movimento tennistico scoppia quindi di salute (finalmente), e la speranza è che non sia l’improvvisa attenzione mediatica a rovinare le carriere dei potenziali campioni sopracitati. Abbiamo infatti fin troppi esempi di atleti che hanno gettato alle ortiche il proprio talento, sacrificandolo sull’altare della televisione e della facile – ma effimera – popolarità: tipo, nella scherma, Aldo Montano che, pur essendo stato Campione olimpico, mondiale ed europeo nella sciabola, avrebbe potuto vincere molto di più senza le distrazioni del piccolo schermo.
Guarda caso, proprio Berrettini, il giorno dopo la matematica qualificazione al Masters (arrivata grazie alla sconfitta del rivale Gaël Monfils nei quarti di finale a Parigi-Bercy), è stato puntualmente raggiunto dalle telecamere di RaiSport.
«Non potevo mai immaginare di arrivare a Londra» ha confessato l’azzurro, «poi sono successe un po’ di cose pazzesche e mi sono catapultato in questa situazione. Ho provato con tutte le mie forze a raggiungere l’obiettivo delle Finals e ora sono qui a vivere il mio sogno».
Realismo, quindi, ma anche consapevolezza dei propri mezzi e tanta voglia di non recitare un ruolo di semplice comparsa. Difficile, perché probabilmente è ancora troppo eccessivo il divario con dei grandissimi come l’attuale numero uno al mondo Nadal, il suo immediato predecessore Djokovic, e Sua Maestà Federer; ma anche con il campione uscente Alexander Zverev, con Daniil Medvedev (il giocatore che vanta più vittorie nel 2019), con Stefanos Tsitsipas (il più giovane tra i primi dieci al mondo) e con Dominic Thiem, che poco più di una settimana fa ha battuto proprio l’azzurro nel torneo casalingo di Vienna.
In ogni caso, a prescindere dall’esito del Masters quella di Berrettini resta senza dubbio un’impresa, e forse non è un caso che Panatta (ultimo tennista italico a vincere un Major, nel 1976 a Parigi) lo abbia indicato come proprio erede. «Se recupera energie prima di Londra, stacca con il tennis per un paio di giorni e si presenta a Londra senza nulla pretendere, farà bella figura» ha profetizzato il mitico Adriano.
Intanto Berrettini ha già raggiunto l’ottava posizione in classifica, suo best ranking, nell’anno in cui anche Fabio Fognini, grazie soprattutto al trionfo nel Master 1000 di Montecarlo, ha sfondato il muro della Top 10. Sono il terzo e il quarto italiano della storia a riuscirci, e quella di Berrettini è la terza miglior posizione per un tennista italiano (sempre dietro Panatta e Barazzutti) da quando, nel 1973, venne introdotto l’attuale sistema computerizzato.
La speranza è che si tratti di un punto di partenza, e non di arrivo. E allora ci sarà da divertirsi. Per il momento, semplicemente, forza Matteo!