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Terroristi forse. Di sicuro imbecilli. Illusi che sia utile colpire una moschea

Indagate dodici persone in Toscana. Sono di estrema destra e secondo la Digos progettavano un clamoroso attentato anti islamico. Un’idea stupida, prima ancora che criminale

Ammettiamo che sia tutto vero. E che quindi non si tratti di una, diciamo così, esagerazione investigativa. Che pure farebbe molto comodo in questa fase di demonizzazione di tutto quel mondo – tacciato come minimo di populismo e sovranismo, ma persino di simpatie neofasciste o addirittura neonaziste – che non vuole sottostare al modello dominante, liberista e pseudo democratico.

Ammettiamo che sia tutto vero perché come sempre la singola vicenda non ci interessa tanto in sé stessa, quanto per le possibilità che offre di ragionare su fenomeni più ampi. Non siamo cronisti. Siamo – cerchiamo di essere – osservatori delle trasformazioni sociali. Tra cui, oggi più che mai, lo sgretolamento delle identità nazionali per fare posto a un miscuglio obbligato di etnie che non hanno nulla in comune, ma che nelle intenzioni dell’establishment dovrebbero coesistere pacificamente in nome del profitto e del consumismo.

Se questo è lo scenario, tutt’altro che casuale, va da sé che si creino situazioni di insofferenza. Che stanno rapidamente crescendo e che trovano nella Lega e in Fratelli d’Italia la loro rappresentanza politica “legale”, nella speranza che basti portare al governo Salvini & C. per invertire la direzione di marcia. O quanto meno per frenarla drasticamente. Sino a neutralizzarne gli effetti più smaccati e negativi: che si riassumono nella parola “invasione”.

Come ebbe a dire quel brillantissimo intellettuale che è Alain De Benoist, «Un milione di cinesi negli Stati Uniti rappresentano una simpatica comunità asiatica; se invece saranno 600 milioni di cinesi a trasferirsi oltre Atlantico, gli americani potranno dire di non abitare più in America, ma in Cina!». Lui è particolarmente acuto, ma per capire questo non c’è bisogno di esserlo altrettanto: basta un pizzico di buon senso, e di buona fede.

L’insofferenza è una brutta bestia, di per sé. Perché è uno stato psichico. E facilmente degenera in uno stato emotivo di esasperazione.

Il senso di impotenza, e il convincimento di subire una sopraffazione deliberata e senza scampo da parte del Potere, innescano un pressante desiderio di rivalsa. Che nelle menti più labili si traduce in un delirante desiderio di vendetta: poiché colpiscono noi, allora noi colpiremo loro.

Sanguinari. E per pura vanità

Il terrorismo vero è un metodo di lotta. Non uno sfogo. Un metodo di lotta che fa giustamente inorridire, per il modo spietato con cui non esita a sacrificare degli innocenti nel tentativo di mettere in difficoltà i rispettivi governi, ma che non è poi così dissimile dalla guerra. Anche i bombardamenti mietono vittime tra la popolazione civile. E i bombardamenti sono prassi corrente di qualsiasi conflitto. Ivi inclusi quelli che vedono in campo le forze “democratiche” dell’Occidente.

Ma sia che si tratti di guerre in piena regola, sia che invece ci si trovi nella zona grigia della guerriglia, o in quella ancora più oscura del terrorismo, la differenza decisiva la fanno le motivazioni che stanno dietro gli attacchi e che inducono a sferrarli. Non le motivazioni ideologiche o “religiose”: proprio le motivazioni tattiche. L’esistenza o meno di una logica stringente. Militare per un verso. Politica per l’altro.

Quando gli Stati Uniti decisero di lanciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki si appellarono alla finalità di anticipare la chiusura dello scontro bellico con il Giappone: un pesantissimo tributo di sangue, concentrato in quelle due terribili aggressioni a distanza di appena tre giorni nell’agosto del 1945, che però ne impedisse uno ancora maggiore, distribuito in un arco di tempo più lungo e dalla durata imprevedibile.

Sincera o strumentale che fosse la spiegazione, l’esito fu in linea con gli scopi: Tokio si arrese e la guerra ebbe termine

Al di là dell’orrore per lo spargimento di sangue, perciò, il vizio imperdonabile è che si agisca al di fuori di una lucida valutazione degli effetti che deriveranno dai propri atti. E su questo bisogna essere estremamente chiari: l’odierno sistema di potere è talmente forte e ramificato, sia in ogni singolo Stato che nella fitta trama dei rapporti internazionali, da resistere senza il benché minimo danno a qualsiasi attentato. A maggior ragione se episodico.

Anzi: non soltanto non ne risente, ma se ne avvantaggia.

Chi si illude che colpendo nel mucchio si possa ottenere qualcosa di più che una (patologica) gratificazione personale è totalmente fuori strada. Non è affatto un esempio, che indurrà innumerevoli altri a seguirlo. E tantomeno è la scintilla della rivoluzione futura. È invece l’innesco che si regala al Potere per consentirgli di avviare una repressione ancora più vasta: non soltanto penale, e quindi rivolta ai reati effettivamente commessi o in via di preparazione, ma contro le idee sgradite. E gli ideali pericolosi.

In termini etici, un obbrobrio ai limiti del disumano.

Sul piano politico, una condotta suicida.

Con la scusa del razzismo: si potrà parlare soltanto se si dà ragione al sistema

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