Terza dose per tutti, quale sarebbe la ratio scientifica dietro la misura?
Per esperti e politici come Sileri il booster a gennaio serve a contenere la risalita dei contagi: che però hanno poco impatto sulle ospedalizzazioni, e zero sulle terapie intensive
E ora nelle pagine del nuovo settore giornalistico della cronaca clinica inizia a farsi largo l’eventualità di una terza dose per tutti. Ultimo fronte aperto nel corso della lotta al Covid-19, che però è anche un fronte interno tra esperti. I quali sono più divisi di quanto possa sembrare a prima vista – e non solo su questa tematica.
Da gennaio terza dose per tutti?
«Entro l’anno si procederà a somministrare la terza dose per anziani e personale sanitario. Poi da gennaio al resto della popolazione, scaglionato in base a quando è stata somministrata la prima e la seconda dose».
Così Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Sanità, ha delineato i contorni di un’ipotesi – quella dell’ulteriore richiamo – che vede concorde buona parte del mondo accademico e istituzionale. Cominciando dal Premier Mario Draghi, che ha confermato che «si procederà in ordine di importanza, di fragilità, di vulnerabilità, di età, per differenti categorie».
D’altronde Silvio Brusaferro, portavoce del Comitato tecnico scientifico, aveva definito il terzo booster generalizzato (o secondo, per chi ha ricevuto il monodose Johnson&Johnson) «uno scenario verosimile». E in termini simili si era espresso anche Franco Locatelli, coordinatore dello stesso Cts.
L’obiettivo primario, come ha spiegato ancora Sileri, è «evitare nuovi contagi» in un periodo in cui l’indice Rt è tornato a salire. E «con l’aumento dei casi aumenta il rischio che si diffondano nuove varianti» ha ammonito l’esponente pentastellato.
Divisioni tra gli scienziati
Eppure, la ratio scientifica dell’eventuale terza dose per tutti non è particolarmente limpida. Per il semplice motivo che la crescita delle infezioni ha un impatto minimo sulle ospedalizzazioni, e nullo sui ricoveri in terapia intensiva. Il che significa che riguarda quasi esclusivamente soggetti asintomatici o paucisintomatici. Oltretutto è vero che l’Ema ha autorizzato la misura per tutti gli over 18, ma l’Oms continua a sostenere che non ve ne sia alcuna necessità.
Peraltro, questa non è l’unica diatriba tra studiosi. Si pensi che per mesi è stato indicato l’obiettivo del 70% di immunizzati. Ora invece Gianni Rezza, DG della Prevenzione sanitaria presso il Ministero della Salute, ha affermato che «per tenere sotto controllo il coronavirus» occorre «la soglia del 90%». Che, per inciso, non è neppure troppo lontana visto che, mentre scriviamo, l’82,35% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale.
Tuttavia, queste giravolte non possono che ingenerare ulteriore confusione e diffidenza, quando invece ci vorrebbe una buona dose (è il caso di dirlo) di ottimismo. Forse l’unica su cui nessuno – esperto o non esperto – potrebbe avere veramente nulla da ridire.