Tiziana Sensi in “La parrucchiera dell’Imperatrice” Sissi
Due vite in simbiosi, smarrite, in balia di una solitudine interiore che annichilisce perché generata dalla incapacità di accettare
Al teatro Tordinona di Roma dal 26 gennaio al 7 febbraio va in scena ‘La parrucchiera dell’Imperatrice, ossia la vera storia della principessa Sissi’, monologo drammatico a più voci scritto da Franca De Angelis, insegnante teatrale e sceneggiatrice multimediale. La regia è di Anna Cianca. Protagonista dello spettacolo ad alta tensione è Tiziana Sensi nella duplice interpretazione dell’imperatrice d’Austria, Elisabetta di Baviera e di Franziska Angerer maritata Feifalik, sua acconciatrice personale. Due vite in simbiosi, smarrite, in balia di una solitudine interiore che annichilisce perché generata dalla incapacità di accettare, ognuna a modo suo, una immagine fittizia e indistinta di sé, asservita ad una condizione costruita a corte e imposta dai rispettivi ruoli. Vittime entrambe di una società dominata dalla protervia degli uomini. Antesignane di esiti di ribellione che il secolo seguente incardinerà con forza. La personalità della principessa Sissi viene filtrata attraverso gli occhi e la fantasia di Fanny, la fedele servitrice che per trenta lunghi anni ne ha condiviso umori e speranze, gioie e fallimenti, la malattia e il tragico fatal destino. La stesura riconsegna alla storia, come l’esergo descrive, una figura regale intrisa di umanità, di forza espressiva, concreta e verosimile, cruda e priva di orpelli, lontana da versioni edulcorate e sbiadite che la trilogia cinematografica di Ernst Marischka aveva avvalorato. Il compito di ridisegnare la personalità e le vicende di una delle regnanti più amate ed ammirate dell’ ottocento è attribuito ad una fanciulla di umili origini, figlia di un modesto parrucchiere e unica femmina dopo sei maschi. Il prologo scenico che introduce la rappresentazione sa già di epilogo. Una donna disperata richiama l’attenzione dei passanti all’imbarcadero del lungolago di Ginevra.
E’ Fanny, da tempo ormai baronessa, che invoca assistenza per la sua imperatrice accasciatasi all’improvviso dopo essere stata urtata da uno sconosciuto. La dama di corte che supplica e impreca indossa un raffinato vestito nero di taffetà e merletti, guanti e immancabile ombrellino, come da iconografia ufficiale dell’epoca, mentre alcune ombre evocano i soccorritori nell’atto di rianimare l’illustre nobildonna priva di sensi. Quell’attimo squarcia il velo di ipocrisie subite e verità taciute e strapazza il mito. I momenti concitati affastellano i ricordi. La tristezza nel cuore induce alle riflessioni più intime e carezzevoli per esorcizzare il dramma ma il rancore solo attenuato si insinua sotto forma di dolce rimprovero prima di esplodere straziato. Il monologo si fa narrazione di un’infanzia abusata, esternazione lancinante. Mentre si crogiola nelle fantasie di bimba fra la promiscuità di olezzi dell’unico lettone condiviso con i sei fratelli, in una notte fredda e sudicia come tutte, l’incubo della coscienza l’ammonisce senza scampo. Insieme alla paura di trascorrere una vita intera priva di senso, alla stregua di una qualunque gallina da cortile, stupida e inespressiva, si manifesta però il proposito contrastante. La rassicurazione suprema che riuscirà a ‘diventare qualcuno’ suona come una ninna nanna, la libera dal terrore e la conforta facendola addormentare. ‘Il malore’ della principessa è il dolce pretesto per le confidenze represse, c’è spazio per le cose sussurrate e mai dette, in un gioco sottile di specchi che avvince e disorienta. ‘Tu diventerai qualcuno’ era il pensiero ricorrente che alimentava la speranza mentre era intenta a fare le pulizie o fremeva quando il padre si rifiutava di insegnarle il mestiere di parrucchiera perché ‘nessuno vuole farsi pettinare da una donna’. Osservava e ricordava, Fanny. Rubava di nascosto ogni colpo di spazzola, ogni mistura nella bottega paterna.
C’erano stati i soprusi di Hugo che l’aveva sedotta e umiliata ancora dodicenne prima di andarsene in cerca di fortuna. Era ambizioso il giovane stallone, come lei, ma povero. Ribelle per necessità, smaltite le squallide lusinghe di colui che la voleva possedere e sfruttare, fugge nottetempo dal quartiere dello Spittelberg, dalle casupole fatiscenti e dai rivoli di acqua melmosa, dalla miseria senza prospettive. Fino a raggiungere il Danubio che luccicava al centro della città. Un sonno profondo e al risveglio si ritroverà sommersa da una folla incontenibile e acclamante, tutta Vienna rivolta verso il ponte di una nave in arrivo con a bordo la coppia imperiale. ‘Voi eravate qualcuno, maestà, non per le ricchezze ma perché suscitavate amore’. Da allora in poi la piccola Fanny non smetterà più di venerare la sua prediletta fino a diventare protagonista senza corona di una favola che ne esaudirà quasi tutti i desideri. A cominciare dall’ingresso al Wiener Burgheater come inserviente e poi parrucchiera delle attrici, prima dell’avvento a corte al servizio degli augusti sovrani con indennità annuale di duemila fiorini. La conoscenza dell’imperatrice fa scoprire a Fanny un mondo incantato e i suoi rischi. La maniacale cura del corpo di Elisabetta, gli esercizi fisici esasperati e le diete, la preoccupazione nel nascondere le imperfezioni di un corpo sempre esile e l’ossessivo riguardo ad una capigliatura che idolatrava. La difesa smisurata contro le galline aristocratiche di palazzo, pettegole e gonfie fino all’inverosimile è un atto di protezione e di imperitura devozione verso la salvatrice. Il monologo si muta in dialogo surreale, un alternanza di domande e battute tra la sussiegosa padrona e la serva rispettosa che scandiscono i ritmi serrati di un confronto impari a tratti delirante e perverso in un processo unilaterale di violazione dell’anima e dei suoi reconditi segreti. E’ identificazione ed autoesaltazione subliminale.
Gli scambi fra le due diventano ammissioni private e inducono sconcertate reazioni. ‘Voi avete fatto sembrare un’attrice una regina. Ora dovrete far diventare una regina attrice.’ ‘…Invece la mia vita è una menzogna, come quella di un’attrice. Il pubblico vuole la principessa Sissi.’ Solo ora Fanny, travolta da una girandola e di interrogativi e di fremiti, prova a carpire il significato della tragedia nascosta dietro una fatua vita di facciata che confligge con la sua voglia di riscatto e di potere. Ma è ormai tempo di consuntivo e la sua è già intensa commemorazione. La prima seduta finita male indicherà l’ascesa condizionata di Fanny che proverà l’amaro sapore di una effimera libertà coniugata ad una immoderata ambizione .‘Voi siete qualcuno più di chiunque altro, Maestà’. Ma mentre pettina la chioma regale è incauta e la risposta è di una violenza inaudita. ‘I capelli sono la mia forza. Per ogni capello che mi strappi, piccola, stupida parrucchiera, la mia forza diminuisce e io ho bisogno di essere sempre forte per resistere.’ ‘In questa corte non c’è nulla di mio, ci sono solo riti…persino l’amore con l’imperatore è un rito. Persino quando ho partorito i miei figli…’ L’incredulità si appropria dello sguardo di Fanny. ‘Voglio che tu capisca! ’ L’Imperatrice spinge con forza la testa di Fanny che si inginocchia ai suoi piedi in un estremo gesto di contrizione e sottomissione. ‘ Io voglio essere degna di voi, dimagrirò, berrò solo latte di capra, farò cento flessioni al giorno.‘ Per non farsi scoprire, si cucirà un pezzo di carta gommata sotto al grembiule dove nasconderà i capelli strappati che conserverà come una reliquia. Sua Altezza avvertiva l’ambiente ostile di corte che favoriva l’isolamento, lo stato abituale di malinconia e la depressione. Utilizzava persino l’artifizio della sostituzione con una sosia per poi andare a spasso per Vienna come una dama anonima, evitando sguardi imbarazzanti.
Per l’infelicità cosmica non vi era cura, come per le presunte malattie diagnosticate. Lo sfogo di Fanny, mentre l’imperatrice agonizza riversa, è devastante e rivela il risentimento e l’incapacità a comprendere come il potere, la bellezza, la fama e la gloria possano costituire una rete inestricabile e rendere infelici. Accecata dalla vanagloria e da un insano desiderio di immortalità, si scontra con i propri limiti originari e con l’inconsistenza dei suoi postulati. Urla quindi il suo rancore al pensiero delle ossessive cure di una chioma già folta e splendente pretese da una impietosa padrona che non concedeva un sorriso, un cenno di compiacimento. La solitudine attanaglia anche Fanny che vive in funzione delle tre ore quotidiane in cui offre i propri servigi e nelle restanti si dedica a lavare e custodire preziosamente i nobili capelli caduti in segno di rispetto e amore incondizionato. La voglia di emulazione è tale che ogni tratto, ogni gesto della ex ragazzotta povera e paffuta venuta dal nulla è studiato per somigliarle il più possibile. Si avverte nel monologo drammatico un contrasto frontale di sentimenti forti e a lungo repressi. Il desiderio di confidarsi con qualcuno per sopire la solitudine aveva convinto Fanny ad accettare le profferte di Hugo del quale sarebbe divenuta consorte fregiandosi per grazioso dono del titolo di baronessa con la vana speranza di non essere più discriminata e disprezzata a corte. D’altronde, la stessa imperatrice non aveva sposato Francesco Giuseppe perché lo amava ma per ‘motivi di opportunità’. La baronessa Feifalik sarà nuovamente umiliata dalle cameriste di corte ma, tant’è! Hugo mutat pilum, non mentem, nonostante la nascita di Francesco. L’ambizione ha un prezzo che logora. Soltanto la principessa le rimarrà sempre accanto anche quando inizierà la smania dei viaggi.
Dopo aver scoperto il marito tra le braccia di una contessa, Sissi segue il consiglio del suo dottore e inizia un lungo periplo attraverso tutta l’Europa. Con le proprie bambine Gisela e Sofia, sarà attratta dall’Ungheria e dalla voglia di indipendenza di quel popolo gitano. Le tragedie familiari anch’esse accomunano le due donne e Sofia e Francesco diventano ben presto angeli. Il rimpianto di Fanny per non avere assistito all’agonia del piccolo è angosciante. Ma deve occuparsi della salute precaria della padrona assediata altresì da una corte che la detesta. Si riempie di cultura e le assomiglia ancora di più. La rivolta d’Ungheria e la mediazione sono per la regina un atto di generosità equivocato. Le falsità delle cortigiane sulla fedeltà dell’imperatrice. La vorticosa discesa sempre più in basso della padrona per colmare il vuoto esistenziale e di affetti. Il suicidio dell’unico figlio maschio, Rodolfo, il colpo di grazia. Il delicato ricordo dell’unico amore di Sissi quattordicenne, Richard, uno scudiero del padre prontamente allontanato. L’epilogo è una elegia soave. Un inno insopprimibile alla libertà. A Fanny è concesso il desiderio più grande, vestire i panni dell’imperatrice. I ruoli si confondono e si saldano per sempre. Ecco. L’ora è giunta. Il lamento funebre si è compiuto. Il volo di Icaro si è fermato, così come la vicenda terrena di una delle regine più amate e tormentate di ogni epoca, ormai stanca e disillusa, vittima della follia anarchica e della propria infelicità.
Solenne, superba interpretazione di Tiziana Sensi che ha reso con tenera veemenza ed estrema sensibilità emotiva la figura intraprendente della parrucchiera di corte, i suoi limiti, le paure e i sentimenti contrastanti ma soprattutto la dimensione umana e la tragica grandezza dell’imperatrice Elisabetta evocata con rara introspezione e pietoso rispetto, al di là di ogni semplificazione di maniera. Due esistenze intrecciate sapientemente illustrate, romanzata quella di Fanny che sconta una scarna biografia, autentica e di grande effetto sullo sfondo quella di Sissi, principessa triste dal sorriso malinconico.
Nel ruolo delle ombre: Alessandro Cimarelli, Elisabetta Gentili, Sara Ticconi e Stefania Urbani. Essenziale la scenografia di Stefania Catalani e di Carla Ghezzi. I costumi di Marco Berrettoni Carrara appropriati e raffinati. Scenotecnica di Stefano Cosi e Alessandra Perigli, luci di Andrea Ferraro, assistente alla regia Daniela De Lisi.
Sebastiano Biancheri
Foto di Adriano Di Benedetto