Tommaso Di Giulio: “L’ora solare” e l’ambiguità del tempo
Intervista a Tommaso Di Giulio, cantautore romano. Il suo album è stato caldamente accolto dalla critica
L’ora solare è il secondo album del cantautore romano Tommaso Di Giulio, dopo il felice debutto, nel 2013, con Per fortuna dormo poco, caldamente accolto dalla critica. In 14 brani si snoda un vero racconto narrativo, 14 scene che raffigurano il tempo, la sua ambiguità e i suoi risvolti sull’umanità. I pezzi si articolano in un fluire dinamico ed eterogeneo, emerge un’intensa vivacità creativa e una grande ricchezza stilistica. Si spazia dal rock alle ballad, da sonorità psichedeliche ad ambientazioni folk, dal pop al new wave. Grande sperimentazione con una piacevole atmosfera vintage, slancio verso il futuro con uno sguardo al passato. Un viaggio interiore che denota grande sensibilità e lucidità di analisi in un connubio di profondità di contenuti e buona musica.
Rispetto a non molti anni fa vivere di musica ora è molto più difficile. Com'è la vita di un giovane cantautore oggi, quali sono i problemi concreti e le sfide quotidiane?
“Quanto tempo ho per rispondere? Innanzitutto c’è una cosa da chiarire che è proprio il termine di “cantautore” e che ho capito negli anni: questa definizione fa pensare in genere ad un tizio con la chitarra e la barba incolta e un cappello che parla di politica dando il 70% dell’importanza al testo e il 30 alla musica; ecco per me non è niente di tutto questo. Io mi sento più che altro il membro di una band, i miei compagni di avventura musicale sono gli stessi da sempre e anche se viaggiamo con il mio nome faccio parte di un progetto collettivo. Detto questo le difficoltà sono innumerevoli e quotidiane, finché non si raggiunge un certo tipo di notorietà devi inventare un po’ una vita con altri lavori più o meno inerenti ai tuoi interessi per coltivare quello che è molto più di una passione, è una ragione di vita, una vera necessità”.
L’ora solare è un progetto ricco di generi e di sound diversi, c’è un’intensa ricerca sonora e un grande eclettismo stilistico. Da cosa deriva questa varietà e come è stato il processo creativo?
“La varietà di generi è un aspetto che mi porto dietro anche dal disco precedente e credo che sia dovuto al fatto che io sono un ascoltatore maniacale di musica, è raro che non abbia qualcosa nelle cuffie o nello stereo durante il giorno e questo “qualcosa” è molto vario, ho sempre avuto una grande curiosità che mi ha portato ad assorbire tanti stili diversi. Devo dire, inoltre, che queste canzoni dal registro diverso spesso mentre le suono, asseconda dello strumento sul quale mi capita di farle nascere, hanno un sound o delle parole che già mi rimandano ad un’atmosfera particolare. Probabilmente amo una varietà così grande di musica che spontaneamente l’ho riversata anche sul modo di arrangiare questo disco”.
Parlaci un po’ del titolo e del progetto grafico dell’album, una copertina particolare, ambigua!
“Esatto! L’ora solare è proprio un concetto ambiguo: è l’ora istituzionale che pur chiamandosi solare in realtà rimanda alla notte, perché quando entra in vigore le giornate terminano prima e quindi arriva prima il buio. C’è quindi un’ambivalenza tra due idee opposte all’interno di una stessa espressione. Lo stesso vale per la copertina, dove c’è questo personaggio perennemente fuor d’acqua o fuor d’aria, perché è sia un uomo pesce che un pesce uomo, che poi in maniera quasi sorniona, si avvia verso una spirale che non si capisce se sia prodotta dalla lampadina che ha in testa o se sia la luce di una spirale prodotta dal mondo. C’è quindi tutto un gioco di incastri e di duplicità, tutto il disco si muove sul concetto di dualismo e spesso di paradosso”.
Riprendendo il titolo del primo brano dell’album, la domanda è: “Dov’è l’America?”
“Come cerco di far trasparire nel brano, l’America non deve esserci, l’America intesa come metafora naturalmente, deve essere semplicemente un impulso ad andare avanti, deve essere quella meta che non appena si avvicina dobbiamo allontanare nuovamente, diventa così la scintilla del motore che ci porta a superare i nostri limiti. Nel ritornello canto non solo “dov’è” ma anche “non è” o “cos’è l’America”, quindi è proprio nella domanda che sta la risposta cioè “qual è la vostra America?”. Cerchiamo di averne tante, in modo da segnare il nostro percorso forse non trovandole mai, ma il bello sta proprio nella ricerca e nella conquista di più Americhe”.
Anche se non ti definisci un cantautore, pezzi come Poveri posteri e La trappola possono essere considerati brani di impegno sociale e politico, ci sono critiche e invettive contro sistemi e valori degenerati, c’è in qualche modo una denuncia?
“Certo, però l’invettiva e il cantautorato non sono più aspetti che a mio parere vanno necessariamente di pari passo: questi due pezzi sono quelli nei quali sicuramente mi sono sfogato di più, denunciando una serie di cose che mi infastidiscono o che penso necessitino di cambiamento, ma non sono mai tentativi di fare slogan, atteggiamento che purtroppo passa spesso in canzoni di cosiddetto impegno civile diventando, a mio parere, qualcosa di conciliante e non di indigesto, come dovrebbero invece essere queste canzoni. Non sono nella posizione di poter fare la morale a qualcuno; bisogna essere, tra l’altro, molto bravi ed eleganti nel fare canzoni di impegno civile rispettando la musica”.
Oltre alla varietà sonora e stilistica c’è anche ricchezza emotiva, si alternano sentimenti contrastanti: ironia e serietà, rabbia e speranza, concretezza e dolcezza. Cosa volevi che emergesse alla fine?
“In un’epoca nella quale il disco come percorso e progetto non esiste quasi più, ho avuto la possibilità di realizzare un’opera che invece va gustata nella sua interezza. Abbiamo impiegato 2 mesi a costruire quella scaletta proprio perché l’elenco delle canzoni sono un percorso emotivo che funziona bene così, come un lungometraggio. È proprio l’elenco di quei sentimenti che hai citato che mi piacerebbe emergesse, cioè uno spettro emotivo variegato. Mi sono reso conto dopo la chiusura dell’album che è come se avessi disposto le canzoni secondo un processo di ringiovanimento: si parte con molta amarezza, rabbia e malinconia e ci si sposta sempre più verso un’energia e una vitalità che raggiungono l’apice nell’ultimo brano Universo: ora zero, che è una vera e propria rinascita; questo pezzo è un tributo e allo stesso tempo un contraltare a Space Oddity di David Bowie, una delle canzoni più belle di tutti i tempi, che però è molto triste e pessimista. Io ho cercato invece di descrivere un viaggio interiore che porta alla riscoperta dell’essere umano nella condivisione”.
In La fine del dopo dici “Roma sbeccata come i suoi marciapiedi si strozza nel pianto”. Che rapporto hai con la tua città, come la definiresti?
“Roma è una città estremamente affascinante che però mette continuamente a dura prova chi la vive. Ogni luogo del mondo ha le sue difficoltà, ma Roma è un vero paradosso: è perfettamente conscia dei suoi problemi ma “si strozza nel pianto” quasi per non farlo vedere e quindi purtroppo anche per questo non va avanti. Spesso trova una via per rendersi attraente anche nel suo imbruttirsi e riesce in qualche modo sempre a salvarsi grazie alla sua bellezza. È una delle più importanti capitali europee ma anche a livello musicale non sfrutta le sue potenzialità, si è persa quella capacità di fare rete che ha caratterizzato un certo modo di vivere la musica negli anni passati, quelli nei quali sono cresciuto con figure come Gazzè, Fabi, Silvestri. Roma è come un alunno dalle grandissime qualità che però non si applica!”.
Grazie Tommaso.
Grazie a voi!