Tranquilli: Giuseppe Conte non vuole un suo partito. Ed è affezionato al M5S
Una dichiarazione di buon senso. Da bravo professionista che sa di non essere un grande leader ed evita azzardi. A differenza di ciò che fece “Super Mario” Monti nel 2013
È solo un’affermazione en passant. E per di più al negativo. Giuseppe Conte interviene a “Speciale Tg1” e dice: «Non penso affatto di fondare un nuovo partito, ce ne sono già troppi». A rigore, quindi, è una non-notizia: non introduce novità e non le fa nemmeno balenare. Anzi, le esclude.
Tuttavia è una dichiarazione interessante per una serie di motivi. Su quelli più evidenti non c’è bisogno di soffermarsi: il presidente del Consiglio vuole andare avanti con l’attuale governo e non ha nessun motivo di mettersi di traverso, aggiungendo un proprio fattore di turbolenza a quello già introdotto da Matteo Renzi e da Italia Viva.
D’altronde, Conte non è arrivato a Palazzo Chigi sull’onda di un suo percorso politico ma ci è stato messo dal MoVimento 5 Stelle. Per il quale, sottolinea lui nella stessa intervista di cui stiamo parlando, ha «molto affetto». In pratica, è una specie di manager pescato altrove e scelto ad hoc. Uno di quei casi, a suo tempo fin troppo celebrati, in cui per un ruolo istituzionale si prende un professionista del settore privato e lo si reinventa in funzione di leader. Un “salvatore della Patria” provvidenziale, però part-time.
Ed è qui che il discorso si fa più interessante. Perché passa dal caso specifico alla questione generale.
L’epoca (buia) dei Tecnici
Ve lo ricordate, Mario Monti? Vi ricordate come si afflosciò con relativa rapidità la sua “gloriosa” parabola? Quando era al timone del governo post Berlusconi venne esaltato come uno straordinario demiurgo. Al punto che nella primavera 2012 fu accreditato, con un suo ipotetico partito, di un possibile 30% dei voti, sia pure con il 20 per cento di indecisi e quasi il 40 di astenuti.
Quando però si andò a nuove elezioni, nella primavera 2013, la sua “Scelta civica” dovette accontentarsi dell’8,3 alla Camera e del 9,1 al Senato. Per altri soggetti, più radicati, sarebbe stato un risultato per nulla disprezzabile: per quell’entità creata a tavolino e ufficializzata solo nel gennaio precedente, fu invece l’anteprima della dissoluzione a venire. Si era tentato il grande colpo e non aveva funzionato. Il doppio colpetto a Montecitorio e a Palazzo Madama non bastava a mantenere né la futura coesione interna né l’appeal verso gli elettori.
Fine della stagione di “Super Mario” Monti e vai con una gettata di nuovi protagonisti. O presunti tali.
Bravi manager non basta
Mettere in piedi un partito che nasca da zero, ovvero senza legami diretti con aggregazioni preesistenti, è maledettamente difficile. A meno che non lo si voglia utilizzare come un mero strumento per una carriera personale. Una lista più o meno transitoria che durerà quello che durerà. E poi amen. Te la costruisci con i pezzi che hai. La usi per un po’. Ti riposizioni. La molli. Ti collochi altrove. Eventualmente, ne allestirai un’altra in seguito se ti dovesse fare comodo di nuovo.
La vera chiave di volta, invece, è nel trovare un proprio bacino elettorale di riferimento e nel diventarne stabilmente il personaggio di riferimento. Un’operazione titanica, per chi aspiri davvero a posizioni di vertice.
Nel 1994 è riuscita a Silvio Berlusconi. Una ventina d’anni dopo è riuscita a Beppe Grillo. Renzi e Salvini sono già dei casi diversi: il primo si è fatto largo nel PD e tuttora pesca un po’ lì e un po’ dove capita; il secondo è stato straordinario nel rigenerare la vecchia Lega di Bossi e nel farne la motrice del centrodestra, ma nella sostanza il suo elettorato esisteva già.
Stando così le cose, Giuseppe Conte non ha nessuna chance. Perché non possiede né l’originalità “ideologica” né il carisma personale che sono necessari a imporsi su vasta scala. Per quello che ha fatto e detto finora, non c’è neanche il beneficio del dubbio: non è portatore di nessuna idea-forza, capace di riunire intorno a un progetto comune una massa di cittadini abbastanza grande da riconoscersi in quella nuova identità.
Il suo orizzonte è quello attuale. Il presidente del Consiglio, su mandato di altri.
Che abbia detto di non avere alcuna intenzione di fondare un proprio partito conferma l’impressione che si tratti di un uomo lucido, conscio di essere lì per sbrigare un certo tipo di lavoro.
Di lavoro, di incarico.
Di investitura a termine.
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