Tre militari suicidi in una settimana. E i ministeri contano solo coloro che si tolgono la vita in servizio
Suicidi tra i militari e le forze dell’ordine: fattori di rischio che hanno a che fare con responsabilità e autodeterminazione
Nelle ultime due settimane nella sola regione delle Marche si contano tre militari che si sono tolti la vita.
Una drammatica escalation di episodi suicidari che vede ormai numeri preoccupanti e che deve sicuramente farci riflettere sui fattori predittivi e sulle dinamiche che possono essere alla base di tali epiloghi.
Suicidi tra i militari, quella immane responsabilità del giuramento
L’attenzione verso il benessere psicologico da parte del Vertice delle Forze Armate e degli Organi di Polizia, trova sempre maggiore investimento organizzativo e culturale, in particolare nei confronti del benessere bio-psico-sociale del personale dipendente. Ma purtroppo la strada è ancora lunga per far sì che gli uomini e le donne in divisa i siano pienamente tutelati e supportati.
La struttura stessa della professione militare offre di per sé rischio di varia natura, non ultimo, l’estremo sacrificio, verso il quale il militare giura fedeltà verso la patria.
Giurano inoltre di adempiere con disciplina e onore a tutti i doveri, molti dei quali si caratterizzano per l’elevato rischio della vita e il forte impatto psicologico.
Moskos e Wood, nel libro “the military: more than just a job” spiegano in merito a tale evidenza, “fare il militare è più di un semplice lavoro”.
Quando si parla di divisa militare, si deve tener conto anche di ciò che ne è il corredo. Sia esso di carattere giuridico sia strumentale. La divisa di un militare, o comunque di una forza dell’ordine, è sempre ridefinita attorno ad un’arma e l’operato è spesso definito attorno alle “regole di ingaggio”. Ecco che il peso di una divisa già di per sé può in alcuni momenti essere davvero importante. Altro è l’evento che si vive durante l’esperienza lavorativa. Inevitabilmente l’agente di polizia come il militare sono portati al confronto durante l’intera esperienza lavorativa con situazioni spesso traumatiche.
Il trauma è un processo psicopatogenetico che incastra gli eventi del mondo interiore, ed è il fallimento di ogni strategia possibile che colloca la persona nell’area della sofferenza psichica.
L’Osservatorio epidemiologico della Difesa
La conoscenza di questo ruolo etiopatogenetico svolto da esperienze emotive che insorgono dopo un disagio a carico di aspetti fisici e psicologici, ha sollecitato diverse amministrazioni ad attuare misure interessate a prevenire e monitorare l’insorgenza di risposte adattive di impotenza con le quali il soggetto perde l’efficacia di agire correttamente attraverso l’adozione di comportamenti autodistruttivi.
A tal proposito nel 2006 è stato istituito l’Osservatorio epidemiologico della Difesa. Il suo scopo è avere una conoscenza empirica del dato suicidario nelle Forze Armate. Portando una correlazione statistico-epidemiologica e con l’intento di individuare i fattori protettivi e di rischio del fenomeno, al fine di riconoscere i predittori “silenti” e prevenire il fatale epilogo.
L’osservatorio già nel 2014 ha indicato il suicidio come terza causa di morte tra i militari, dopo incidenti e malattie. Gli studi del Ministero, hanno evidenziato come l’andamento del fenomeno suicidario nei militari risulti non significativo rispetto alla popolazione dei suicidi civili.
Suicidi tra i militari: dati non omogenei e criteri diversi di conteggio
I dati però, non sembrano fornire una fotografia reale, perché il Ministero della Difesa e quello degli Interni conteggiano solo i suicidi avvenuti sul luogo di lavoro (non conteggiando militari in pensione ed episodi fuori dall’orario di servizio). Mentre organizzazioni indipendenti raccolgono anche segnalazioni aperte, spesso denunciate familiari.
Le differenti strategie di ricerca dei dati hanno dato risultati differenti tra loro. I i numeri delle organizzazioni indipendenti registrano suicidi doppi rispetto a quelli dell’osservatorio, stimando l’incidenza di 10.5 suicidi ogni 100.000 appartenenti alle forze armate e di polizia. Un dato elevatissimo se si considera che l’ultimo annuario statistico dell’ISTAT del 2020 che contiene i dati riferiti al 2017, conta 3.940 suicidi tra la popolazione civile, ovvero 6.5 ogni 100.000 abitanti.
Questo pone un monito alla coscienza su quanto l’allarme sociale del fenomeno suicidario dei militari debba essere osservato in maniera statistica, analitica e critica con una visione a 360 gradi, rendendo sempre più urgente un intervento delle Istituzioni.
Suicidio, auto-annientamento conscio
Edwin Sheneldman ha introdotto il termine suicidiologia con il quale definisce la disciplina dedicata allo studio sperimentale e scientifico del suicidio e alla sua prevenzione.
“ Il suicidio è un atto conscio di auto-annientamento, meglio definibile come uno stato di malessere generalizzato in un individuo bisognoso che alle prese con un problema, considera il suicidio come la migliore soluzione”. L’atto suicidario ci porta sempre spunti di riflessione, e spesso si indaga per cercare di voler dare necessariamente delle risposte che non ci sono. Secondo uno studio di due università americane, la Harvard e la Stanford University, ogni anno 1,5 milioni di persone si tolgono la vita. L’osservatorio della Difesa, appurato l’allarmante escalation del fenomeno, ha evidenziato che solo il 13% dei suicidi è riconducibile a cause psichiatriche.
Con l’interrogazione parlamentare (3-02082) del 15 settembre 2016 sono stati pubblicati i numerici riferiti al quinquennio l 2009-2014 dei suicidi tra le Forze dell’Ordine e le Forze Armate: nella polizia di stato 62 suicidi, età media 44. 54 casi con arma da fuoco; nell’ arma dei carabinieri 92 suicidi, età media 39 anni, 80 casi con arma da fuoco; nella guardia di finanza 54 suicidi, età media 44 anni, 41 casi con arma da fuoco; nella polizia penitenziaria 47 suicidi, età media 43 anni, 30 con arma da fuoco; le armi da fuoco, nella quasi totalità dei casi erano quelle di ordinanza. I dati, ad oggi, registrano un preoccupante incremento: nel 2019 si sono registrati 69 suicidi, nel 2020 sono stati 51. Dall’inizio del 2022 si contano già i ben 26 casi di suicidio.
Militari suicidi: la “debolezza” non è ammessa
Dare una risposta rispetto alle cause è cosa difficile e quanto meno riduttiva senza un adeguato studio, ma studiando le caratteristiche proprie di ambienti militari e paramilitari, è evidente quanto la “debolezza” non venga concepita nell’expertise di ogni militare.
Vista la complessità e multifattorialità del fenomeno, non ascrivibile a semplici correlazioni causa-effetto che eccedono le categorie diagnostiche, i dati empirici a disposizione diventato comunque uno strumento psicometrico importante per individuare i fattori di rischio più rilevanti e le strategie per migliorare i fattori di protezione, integrando i concetti fondamentali di probabilità e rischio.
Due fattori di rischio: le armi e la limitazione alla personalità
Tra i fattori di rischio, si individuano due macro categorie: quelli ambientali e quelli biopsicosociali. Il fattore di rischio ambientale principale è la accessibilità e disponibilità delle armi da fuoco.
Il fattore di rischio bio-psicosociale invece è legato all’elevato grado di controllo sul personale da parte delle organizzazioni stesse, che limita l’affermazione del proprio se, confinando l’espressione di personalità relegando il militare ai soli doveri della Libretta.
Un militare che inconsciamente rivendica la posizione di uomo libero e autodeterminato, non sotteso ai meccanismi di subordinazione della linea di comando, e trovando in alcuni casi nel suicidio il significato di fuga liberatoria.
Il diminuito valore sociale accordato alla Divisa
Non da meno lo sradicamento forzato dal luogo di origine limitando i punti di riferimento e il sostegno familiare è altro aspetto rilevante da tenere in considerazione. Non ultimo il contesto storico-culturale che ha trasformato enormemente il riconoscimento della divisa e il rispetto per colui che la indossa. Il valore stesso che l’opinione pubblica riconosce alle persone in divisa si è deteriorato o comunque ridimensionato.
Allo stato attuale le attività di prevenzione sono limitate alle visite di controllo all’atto della selezione iniziale con test psicoattitudinali e sporadicamente a cattedra di “stress management”, evidenziando insoddisfacenti risultati di prevenzione.
Servono ulteriori sforzi. Serve un vero e proprio protocollo psicologico di supporto, una rete di professionisti che monitori dall’interno e dall’esterno l’evoluzione del contesto relazionale ed individuale. Occorre una vera rivoluzione culturale rispetto al benessere psichico che non deve vedere colui che indossa la divisa immune da debolezze o criticità. Serve tanta informazione e prevenzione primaria e la creazione di sportelli di ascolto che possano lavorare e garantire il pieno anonimato.
Oggi sfileranno moltissimi uomini e donne che hanno giurato fedeltà alla Repubblica, uomini e donne che svolgono ruoli importanti per la nostra comunità, non possiamo lasciarli soli, perché loro ci sono sempre per noi.
In collaborazione con la dottoressa Carlotta Lorefice