Roma, troppe carte e poco personale: alla Casa Comunale è sciopero
Ha incrociato le braccia il 70% dei lavoratori: la Casa Comunale è sommersa dalle cartelle di Equitalia
Uno sciopero a cui ha aderito circa il 70% dei dipendenti di Roma Capitale, impiegati alla Casa Comunale. Ieri hanno incrociato le braccia, e si sono riuniti sotto la Lupa Capitolina, in piazza del Campidoglio, dove hanno anche incontrato il consigliere di Roma Capitale Gianluca Peciola (SEL).
A indire lo sciopero, il sindacato COBAS. “I lavoratori della Casa comunale di Roma hanno deciso di scioperare dopo diversi mesi di stato di agitazione”, fanno sapere dal sindacato. Stato di agitazione e sciopero, ma perché? Per “la pessima gestione dell’ufficio, messa in atto dalla Direzione Appalti e Contratti, un’area di competenza del Segretariato Generale dell’Ente capitolino”, continuano dal sindacato, denunciando “uno stile di direzione caratterizzato da una cultura organizzativa insufficiente e aggravato da pesanti deficit strutturali (assenza di personale, inidoneità della sede degli uffici, inadeguatezza degli spazi destinati ad archivi, mancanza di coordinamento tra gli enti coinvolti nel servizio, impiego di procedure informatiche di incerta efficacia)”. Deficit ai quali “si associano inammissibili lacune sotto il profilo della sicurezza e della salubrità dell’ambiente di lavoro, da cui peraltro è derivata un’autonoma denuncia per violazione della normativa sulla sicurezza rivolta alla ASL Roma A e alla Direzione Territoriale del Lavoro”.
LA CASA COMUNALE. La Casa comunale nasce come deposito di atti giudiziari provenienti da diversi Enti Pubblici (Corte di Appello di Roma, Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza, e altri). Gli atti vengono depositati dopo tentata e fallita notifica, secondo la normativa vigente. Dal 2007 è stata avviata anche la raccolta delle cartelle esattoriali provenienti da Equitalia: questo ha determinato la crescita esponenziale ed incontrollata dei flussi cartacei, tanto che presso la Casa Comunale annualmente transitano più di 670mila atti, con una ricaduta di circa 73mila utenti.
IL PROBLEMA EQUITALIA. Contrariamente al deposito degli atti giudiziari, che segue un percorso più lineare essendo interamente gestito da Enti Pubblici, le cartelle esattoriali di Equitalia, emesse a seguito dell’iscrizione a ruolo di tributi e tasse di varia natura, seguono un percorso differente e più tortuoso, in quanto riscosse e notificate da due diverse società per azioni: Equitalia da una parte, Poste Italiane dall’altra. “Equitalia infatti è concessionaria, a livello nazionale, del servizio di riscossione (appalto a cui partecipa anche il Comune di Roma), e a sua volta subappalta a Poste Italiane la gran parte dell’attività di notifica degli atti”, ci spiegano dal sindacato.
In tutto questo processo, l’anello debole è rappresentato, “in mancanza di opportuni interventi di razionalizzazione, inclusa la diffusione della notifica tramite posta elettronica certificata (pec)”, dalle sub-procedure di notifica e consegne a mano delle cartelle esattoriali.
E quindi: l’avvio della procedura, come abbiamo detto, parte dall’iscrizione a ruolo di un tributo non pagato o di una sanzione da parte di un ente impositore di natura pubblica, che poi passa il ruolo per la riscossione ad Equitalia. “Questo primo passaggio – spiega il sindacato – ha già una sua intrinseca criticità, in quanto sia l’ente impositore sia quello riscossore hanno difficoltà, data l’enorme mole dei ruoli e le barriere tra i vari sistemi informativi, a gestire le comunicazioni tra loro e tra loro e il cittadino”. In tutto questo, il subappalto delle notifiche ad un soggetto terzo, che nel caso di Equitalia è Poste Italiane, “comporta poi un’ulteriore complicazione del processo”.
Inoltre, COBAS denuncia che – stando alle denunce di alcuni cittadini – “spesso il primo avviso non viene lasciato e, frequentemente, sia il preavviso sia l’avviso per raccomandata vengono inviati dopo mesi o anni. Le conseguenze di un simile disservizio sono ovviamente molto pesanti: in primis, per il cittadino si determina l’impossibilità di pagare la somma eventualmente dovuta entro il termine di 60 giorni dalla notifica, e si consuma anche la decorrenza dei termini per l’eventuale impugnazione dell’accertamento”.
IL RUOLO DELLA CASA COMUNALE. Arriva, quindi, la raccolta degli atti non notificati presso l’unica sede di deposito: la Casa Comunale di via Petroselli, che serve tutto il territorio della città metropolitana di Roma. “La decisione di concentrare in un unico ambito di servizio procedure inerenti alla consegna di centinaia di migliaia di atti giudiziari e amministrativi in deposito si è rivelata semplicemente assurda, arrecando enormi disagi sia ai cittadini sia al personale”, continuano dal sindacato.
“L’ufficio è letteralmente invaso da enormi quantitativi di carta che, col tempo, anche per il carico determinante delle inefficienti prassi di notifica di Equitalia, hanno reso la sede di via Petroselli progressivamente inagibile e gravata da palesi problemi di sicurezza. I dipendenti sono costretti a lavorare in condizioni estreme: da una lato, c’è l’impatto con un’utenza maldisposta ed esasperata, in quanto il passaggio alla Casa Comunale rappresenta solo una tappa di un calvario burocratico teso al recupero di somme, anche ingenti, iscritte a ruolo o alla comunicazione di iniziative giudiziarie a proprio carico; dall’altro, incombe la costrizione di operare in una struttura inadeguata, priva dei requisiti necessari per gestire una mole così ingente di pratiche e utenti, sia sotto il profilo dell’agibilità degli spazi sia sotto quello della dotazione di mezzi e risorse”.
Annualmente transitano dall’ufficio “più di 670mila atti, con una ricaduta di circa 73mila utenti”, secondo i dati diffusi dal sindacato. Dati ai quali si sommano “le correlate attività di archiviazione, protocollazione e ricerca, nonché l’accoglienza dei diversi soggetti esterni ed interni (Corte di Appello di Roma, Agenzia delle Entrate, ufficio Messi, Provincia di Roma, Guardia di Finanza, Guardia Forestale, Poste Italiane, Equitalia) che depositano gli atti presso l’ufficio”.
Ma la Casa Comunale non è l’unica sede deputata all’archiviazione degli atti. Oltre che presso la sede di via Petroselli, infatti, “gli atti più vecchi vengono archiviati, in attesa della scadenza del termine decennale di validità, in ben tre archivi posti in punti distanti dalla sede principale, i quali all’occorrenza, su richiesta dei cittadini, debbono essere raggiunti determinando un’ulteriore ricaduta negativa sull’efficienza del servizio”.
LA RICHIESTA: DECENTRAMENTO E RIDUZIONE DEL CARTACEO. La richiesta è quella di un decentramento del servizio presso le sedi municipali, decentramento, però, “mai avviato”. Parimenti, “non è mai stata adottata nessuna seria misura volta alla riduzione del cartaceo, nonostante la concomitante normativa orientata alla dematerializzazione degli atti e alla informatizzazione dei processi”.
Insomma, “la scelta più razionale e di buon senso, accanto al graduale ma convinto impiego di mezzi telematici di notificazione, almeno ad iniziare dai soggetti già dotati di indirizzi di posta elettronica certificata, sarebbe senz’altro il decentramento della sede, attraverso l’uso delle già esistenti case comunali ubicate presso i singoli Municipi”, sostengono dal sindacato. E si potrebbe iniziare dalle “cartelle esattoriali di Equitalia, valutando che, come risulta evidente, gli sportelli della Casa comunale ormai sono arrivati a saturare la capacità di accoglienza”.
Infatti, “secondo i dati del 2014, il numero giornaliero di atti di cui bisogna curare la procedura di deposito ammonta, in media, a circa 700 atti giudiziari, provenienti dalla Corte di Appello e da altri enti pubblici, e circa 2100 cartelle esattoriali di Equitalia”.
Risultato: “solo (circa) un quinto degli atti viene consegnato agli utenti che quotidianamente si presentano allo sportello, mentre il resto rimane in deposito, andando ad incrementare in maniera esponenziale il quantitativo di atti da gestire e da archiviare”. Questo perché i dipendenti della Casa Comunale sono “sottodimensionati rispetto alle esigenze reali”, denuncia ancora COBAS.
Oltre a questo, “i dipendenti sono costretti ad operare in locali insalubri, privi di luce, polverosi, pieni di carta, con archivi improvvisati e distanti dalle postazioni allo sportello, una condizione aggravata dall’inosservanza delle norme minime di sicurezza, come ad esempio l’ostruzione costante di tutte le via di fuga determinata dall’accumulazione di pratiche nelle zone di passaggio”.
LA MANCATA TRATTATIVA. Una situazione assurda, che ha portato, lo scorso novembre 2014, a intavolare una trattativa sindacale che, però, non ha avuto esiti positivi. “Lo sciopero del 28 maggio è dunque l’unica risposta possibile per porre al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e delle forze politiche della città la gravissima crisi della Casa Comunale”.
“Il successo dello sciopero, con un’adesione di oltre il 70% del personale in servizio, dimostra che i problemi della Casa Comunale sono reali e che le contromisure prese dalla Direzione Appalti e Contratti, volte a sanzionare e tentare di screditare le voci critiche, testimoniano la distanza, l’arroganza e l’incompetenza di una Dirigenza intenta solo a conseguire risultati utili per la propria carriera. Il miglioramento dei servizi per i cittadini, la messa in sicurezza degli uffici, il rispetto della dignità e la tutela della salute dei lavoratori devono diventare vere priorità per l’Amministrazione Capitolina”, è quanto fa sapere Gianni Carravetta, del sindacato COBAS, tra gli esponenti più attivi al fianco dei dipendenti della Casa Comunale.
Di “problematiche di cui l’Amministrazione si deve far carico”, parla anche la consigliera di Roma Capitale Gemma Azuni (SEL). “Per espletare l’attività il personale assegnato ammonta a 18 unità così suddivise: 1 alla cassa, 3 agli sportelli della Corte di Appello, 3-4 agli sportelli Equitalia, 1 alla ricezione, suddivisi in due turni. L’apertura al pubblico è garantita dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 18.30. E’ di tutta evidenza, con questi numeri, che il servizio, in condizioni normali, non regge, per poi collassare in caso di malattie, visite mediche, ferie o invio massivo di atti da notificare all’utenza”, spiega Azuni, evidenziando come “il risultato è che la Casa Comunale è sommersa di atti da gestire e di atti da archiviare, che per legge devono essere conservati 10 anni. I locali di via Petroselli, da questo punto di vista, appaiono inadeguati e insufficienti”. Anche il suo collega in Campidoglio, Gianluca Peciola, riconosce i “disagi” di questa situazione. Disagi che, secondo Peciola, riguardano “sia l’utenza sia i lavoratori”. Ma non solo: ne conseguono anche problematiche relative “a ciò che per noi è vitale – spiega – e cioè le entrate. Si tratta di un problema su più livelli, rispetto al quale bisogna intervenire il prima possibile”. Oggi, il consigliere Peciola effettuerà un sopralluogo all’interno della Casa Comunale.