“Tutti in casa” è un obbligo. Ma può spingerci a evadere dalle solite routine
I divieti sono pubblici e decisi da altri. Il modo in cui ci muoveremo all’interno delle nuove restrizioni dipende da noi
Una sfida. Però del tutto amichevole.
La sfida a rovesciare la pesantissima imposizione che ci viene inflitta a partire da oggi, con l’obbligo di restare chiusi in casa e di non uscirne se non a causa di “comprovate esigenze”, per trasformarla nel suo esatto opposto: una straordinaria opportunità di affermazione personale.
Al di là del condividere o meno le misure decise dal governo (e sorvolando, per ora, su ogni chiave di lettura che non si appiattisca su quella ufficiale di natura sanitaria) questa possibilità sussiste davvero. Anzi: queste possibilità, al plurale, sussistono davvero. E l’errore più grande che si possa fare è guardare al periodo di emergenza in cui ci hanno sprofondati come a uno spazio vuoto. Che è destinato a privarci di ciò a cui siamo abituati, e che di solito ci riempie la vita, senza darci nulla in cambio.
Come se fosse un tunnel. Nel quale si è dovuti entrare per forza e che adesso si può solo attraversare senza fermarsi, impazienti di lasciarselo alle spalle e di tornare all’aperto. Quell’aperto che ci appare come l’immagine stessa della libertà ma che al contrario non lo è affatto, in moltissimi casi. Il tunnel è su un’autostrada. L’autostrada è quella delle nostre esistenze abituali che sono costellate di vincoli e sempre uguali a sé stesse, e perciò povere di intensità e svuotate di fascino. Il fuori-dal-tunnel è sulla stessa autostrada. A pedaggio, si intende.
L’autostrada la usiamo per abitudine. Perché ci sembra comoda. Incontestabilmente comoda. Mentre in realtà è comoda a modo suo. È comoda a patto di non metterne in discussione le finalità. I tragitti prestabiliti. I panorami ridotti a immagini di nessun rilievo. A impressioni distratte che ci scorrono accanto senza lasciare alcuna traccia.
L’attuale allarme da Covid 19 è l’occasione per voltare pagina.
Invece di andare dove andiamo di solito, con le solite modalità in cui lo facciamo, possiamo guardare alle nuove circostanze e farci una domanda precisa, che poi ne introdurrà tante altre. Via via più interessanti. Via via più gustose.
Cosa possiamo fare, per riempire il vuoto che si è creato?
Hanno blindato l’autostrada e per un po’ di tempo – o forse parecchio, vai a sapere – rimarrà riservata alle necessità inderogabili, in cui le nostre non rientrano più.
Ci impongono di starne lontani.
Che magnifica notizia.
Tutto un altro percorso
Ve lo ricordate Papillon? Più probabilmente il film, splendido, con Steve McQueen nel ruolo del protagonista e Dustin Hoffman suo commovente comprimario. O forse anche il romanzo/autobiografia di Henri Charrière, ergastolano francese deportato alla Caienna e poi evaso più volte. Sino a quella finale che lo rese libero per tutto il resto della sua vita.
A un certo punto Papillon viene messo in isolamento, per punizione. La cella è angusta, è malsana, è agli antipodi di un ambiente adatto a migliorarsi. O anche solo a sopravvivere.
Eppure lui lo fa. Non soltanto sopravvive. Ma si migliora. Si tempra in una disciplina assidua e orgogliosa.
Non pensa a ciò che vorrebbe. Si concentra su ciò che ha.
Ha un pavimento che permette di fare tre passi in una direzione e che poi costringe a girarsi. Tre passi in direzione opposta. Girarsi di nuovo. Altri tre passi. E ancora. E ancora.
Papillon è un caso limite, ma proprio per questo è importante. E addirittura rassicurante.
Chiunque di noi, rispetto a lui, può disporre di una gamma assai più ampia, e infinitamente più confortevole, di risorse da utilizzare. Di attrattive da cui lasciarsi conquistare.
Gli stimoli fisici di qualche tipo di ginnastica.
Lo stretching psicologico (lo stretching, non lo stress…) di una sconosciuta o ritrovata elasticità nell’affrontare le circostanze.
Il nutrimento interiore dei libri che di solito non abbiamo il tempo o la voglia di leggere, della musica che di solito non ascoltiamo, dei film che di solito non vediamo.
Di tutto ciò che, di solito, ci precludiamo perché siamo troppo indaffarati. O distratti. O convinti, mio dio!, che non ne valga la pena.
Quante cose potrei suggerirvi, al riguardo? Un’infinità. E da domani lo farò a cadenza quotidiana, o quasi.
Come una sfida? Ma no: come l’avvio di un discorso, e di un percorso, che aspetta soltanto di essere iniziato, o ripreso. A volte faticheremo un po’. Più spesso ci divertiremo un mondo.
Ci hanno chiusi in casa per decreto.
Ne evaderemo per scelta.