UE: il “pilota automatico” ci ha fatti incagliare
Noi europei arriviamo al 2025 nel modo più sbagliato. Schiacciati sotto il peso delle debolezze, delle contraddizioni, delle ipocrisie che si sono accumulate finora
Noi abbiamo ragione e chi non è d’accordo si adeguerà.
Il “noi” di questa frase è sottinteso. E corrisponde a chi tira i fili della UE: non da oggi o da ieri, ma da moltissimo tempo. Per non dire da sempre.
Quelle persone lì. Quelle facce lì.
Per limitarci alla Commissione Europea – e agli ultimi quarant’anni che partono proprio nel 1985 e che incorporano già nel 1992 il passaggio decisivo del Trattato di Maastricht, prologo della successiva introduzione dell’Euro – la galleria dei presidenti inizia con Jacques Delors e dal 1999 in poi allinea via via Romano Prodi, José Barroso, Jean-Claude Juncker e infine Ursula von der Leyen. Quest’ultima attualmente in carica e al secondo mandato consecutivo. Così come due furono quelli del portoghese Barroso e tre, addirittura, per il francese Delors.
Lasciateci fare. Che noi siamo competenti e sappiamo come si fa.
Il secondo sottinteso era questo. Lo era fin dall’inizio e lo è rimasto tuttora. Tra le innumerevoli dichiarazioni che si sono susseguite nel corso degli anni, dei decenni, quella che è sempre mancata è l’ammissione dei propri errori. Non sulle virgole, ma sulle direttrici fondamentali.
L’inerzia spacciata per fermezza.
La miopia, sussiegosa e autoassolutoria, al posto della lungimiranza, lucida e senza riguardi innanzitutto per sé stessi.
Di fronte a un mondo che non solo stava cambiando, ma che si stava disintegrando rispetto al dominio unipolare degli USA, ci si è ostinati a inarcare il sopracciglio e a impartire lezioncine di morale, di democrazia, di umanitarismo.
La UE ribadiva le sue convinzioni, peraltro sempre in scia a quelle di Washington. Tre quarti del pianeta lavoravano per affermare le proprie. E dell’approvazione di Bruxelles, naturalmente, gliene importava poco o nulla.
Teorie, dogmi, disastri
Secondo più di qualcuno il 2024 è stato un anno di transizione. In parte è vero, perché certi processi non sono ancora arrivati al loro pieno compimento, ma il termine più giusto è un altro: è accelerazione.
Turbolenze irrisolte che sono deflagrate, come nel Medio Oriente. Contrapposizioni economiche che diventano sempre più esplicite e, diciamo così, programmatiche, come nel caso dei Brics. Nazioni che anziché indebolirsi si sono consolidate, come nel caso della Russia: secondo la grancassa mainstream doveva uscire sconfitta dalla guerra in Ucraina, stroncata dalle sanzioni e dall’ostracismo del blocco atlantista, e invece si avvia ai possibili negoziati da una posizione di forza.
Fenomeni complessi e ad amplissimo raggio che hanno origini lontane e che non erano certo sconosciuti a chi osservi gli accadimenti planetari con la dovuta attenzione. Il 2024, però, ne ha moltiplicato le manifestazioni, più o meno drastiche o persino tragiche, e ha ulteriormente evidenziato che non si tratta affatto di specifiche e limitate divergenze ma di dissidi profondissimi e troppo radicati per superarli con qualche accomodamento marginale.
Quello che è in atto, e che nell’ultimo anno ha prodotto una serie di balzi in avanti, è lo scontro tra esigenze diverse e per molti versi incompatibili. La teoria era che la globalizzazione avrebbe unificato il mondo in uno stesso modello, nel segno della bizzarra accoppiata tra la feroce competizione del liberismo spinto e la fervorosa celebrazione di talune libertà individuali, a cominciare da quelle inerenti al comportamento e all’identità sessuale.
La pratica ha dimostrato che non è così. Non tutte le nazioni muoiono dalla voglia di divenire consociate periferiche della Super Holding occidentale. Non tutti i popoli sono smaniosi di abbandonare/annichilire le proprie tradizioni per uniformarsi al catechismo del politicamente corretto. O, ancora peggio, ai comandamenti imperiosi e grotteschi dei sedicenti Woke.
America first
Chiaro, no?
Noi europei arriviamo al 2025 nel modo più sbagliato. Schiacciati sotto il peso delle debolezze, delle contraddizioni, delle ipocrisie che si sono accumulate finora. E che d’altronde, torniamo a sottolinearlo, non vengono nemmeno riconosciute come tali.
Il paradosso, solo apparente, è che a presentarci il conto e a metterci con le spalle al muro sono proprio gli USA: questi padroni travestiti da alleati che in realtà si sono sempre considerati altra cosa rispetto alla vecchia Europa, ma che dalla Seconda guerra mondiale in poi hanno trovato vantaggioso mantenere, o simulare, quel sodalizio economico e politico.
Che la partnership fosse ambigua e alquanto asimmetrica non lo vedevano solo gli sciocchi, però si è preferito assecondarla a oltranza. L’idea, la scommessa opportunistica e sciagurata, è stata che la subordinazione potesse durare all’infinito e che essa, benché non molto onorevole e talvolta così smaccata da risultare imbarazzante, continuasse ad assicurare i suoi (discutibili) benefit. Dalla protezione militare attraverso la Nato alle esportazioni oltreoceano delle nostre produzioni.
Poi, e non certo negli ultimi dodici mesi, il quadro internazionale è cambiato. E negli Stati Uniti è riemersa l’antica vocazione isolazionista, per cui Washington cerca sì di dominare il mondo ma senza assumersi responsabilità vincolanti nei confronti di nessuno, se non in certe fasi e riguardo a certi aspetti. Perché mai si dovrebbe discutere con l’insieme degli Stati europei, se al contrario si possono stabilire, e imporre, condizioni differenziate per ciascuno di essi?
O adesso o mai più
Questo assetto, o per dirla in maniera meno garbata questo andazzo, si è protratto per lunghissimo tempo. E se ora sta finalmente vacillando, sull’onda degli squilibri interni di Francia e Germania, è solo perché il malcontento popolare dilaga e almeno in parte non si è esaurito nell’astensionismo, ma per ritrovare senso e futuro si è rivolto ai valori “conservatori” delle Destre meno appiattite sullo status quo.
L’Unione Europea si sta sgretolando e forse è già arrivata al punto di non ritorno. L’enorme e imperdonabile colpa dei suoi vertici, e di chi li ha sostenuti e li sostiene sia direttamente che indirettamente, è non avere fatto nulla per affrontare efficacemente i mutamenti epocali che si venivano preparando. Annunciandosi, peraltro, in maniera sempre più serrata e inequivocabile.
Hanno cercato di vivere di rendita. La rendita si è esaurita.
Ne dovrebbero rispondere. Se ne guardano bene, come del resto hanno sempre fatto.
Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia