Umanesimo e dintorni, cercatori di verità di ieri e di oggi
“Comune a tutti questi autori è l’esigenza di scavare nel pensiero dei presocratici, i grandissimi sapienti cui già Platone guardava con rimpianto e ammirazione”
Il pensiero dei presocratici – i primi pensatori greci anteriori a Socrate di cui ci rimangono soltanto frammenti – ha dominato il dibattito filosofico europeo degli ultimi due secoli. Hegel affermò che non c’era frammento di Eraclito che non fosse penetrato nella sua “Scienza della logica” (1812-1816). Hölderlin – il grande poeta che fu compagno di studi di Hegel e Schelling, che impazzì nella maturità e il cui pensiero poetante fu una delle maggiori fonti di ispirazione del pensiero del secondo Heidegger, che gli restituì il suo congruo ruolo nella storia dello spirito tedesco – scrisse un dramma incompiuto su Empedocle, il grande presocratico agrigentino, che è uno dei vertici della sua arte.
Ma è con Nietzsche che la grande cultura greca arcaica si impone al pensiero filosofico europeo del secondo Ottocento. Innanzitutto con “La nascita della tragedia” (1872), la prima opera del giovane filosofo gravitante allora intorno a Wagner e Schopenhauer, la cui formazione giovanile era avvenuta tutta nel segno della filologia. Qui Nietzsche mise al centro le categorie di apollineo e dionisiaco, come determinanti per l’interpretazione della tragedia.
Ma, in seguito, anche con uno scritto che allora rimase inedito: “La filosofia nell’epoca tragica dei Greci”, pendant filosofico dell’opera sulla tragedia ed avente ad oggetto il pensiero dei presocratici da Talete ad Anassagora.
Per avere un’idea di quale fosse, allora, il clima culturale che circondava il giovane Nietzsche, si tenga a mente la presenza di tre personaggi cruciali per lo studio della cultura greca: Jacob Burckhardt, l’autore di una superlativa “Storia della civiltà greca”, Erwin Rohde, il filologo autore di “Psiche”, il giovane Wilamowitz, futuro astro della filologia tedesca che, fedele al precetto che si entra in società con un duello, attaccò proprio “La nascita della tragedia” di Nietzsche.
Tuttavia, ciò che va tenuto presente è che la filosofia tragica del Nietzsche maturo – ruotante intorno a temi capitali come la volontà di potenza, la morte di Dio, l’eterno ritorno, l’Oltreuomo, Dioniso, la trasvalutazione di tutti i valori – sarebbe impensabile senza la mediazione del pensiero presocratico greco, senza Eraclito in modo particolare, ma anche senza un Anassimandro, un Empedocle, un Parmenide.
Il giovane Heidegger che si incammina verso la composizione di “Essere e tempo” (1927), è alla ricerca di un’ontologia fondamentale che gli permetta di illuminare il problema dell’essere in connessione con quello del tempo. In questo campo, i Greci che dominano la sua ricerca sono Platone e Aristotele, sebbene nel corso tenuto a Marburgo nel 1926 e tradotto in italiano con il titolo “I concetti fondamentali della filosofia antica” (Adelphi), i presocratici occupino un posto importante, seppure in un corso generale sul pensiero greco.
Ma è con la cosiddetta “svolta” che le cose, da questo punto di vista, cambiano profondamente. Da questo nuovo vertice intervenuto nella sua filosofia – la “Lettera sull’umanismo” del 1947 è già un documento maturo sotto questo profilo – Anassimandro, Eraclito, Parmenide, Hölderlin, Nietzsche diventeranno guide sicure del suo pensiero.
Il pensiero di Colli e Severino, con stile e modalità differenti, discende da queste premesse. Colli dedica (come abbiamo anche visto in un capitolo precedente di questa rubrica) all’indagine dei presocratici lavori fondamentali, tanto dal punto di vista storico-critico (“La natura ama nascondersi”, “La nascita della filosofia”, i tre volumi di “La sapienza greca”), che da quello teoretico (“Filosofia dell’espressione”). Severino, viceversa, muovendosi soltanto sul piano teoretico, ha fatto dell’istanza di ritornare a Parmenide la molla fondamentale del suo pensiero.
Comune a tutti questi autori è l’esigenza di scavare nel pensiero dei presocratici, i grandissimi sapienti cui già Platone guardava con rimpianto e ammirazione, per trovare chiavi di lettura filosofiche in grado di oltrepassare la tradizione metafisica (“Oltrepassamento della metafisica” è il titolo di un celebre scritto di Heidegger contenuto nel volume “Saggi e discorsi” del 1954), il regno fatato della trascendenza stabilito da Platone e dal cristianesimo che, per più di duemila anni, ha tarpato le ali del pensiero europeo.