Umanesimo e dintorni, la Filosofia tra gli uomini
“Agisci soltanto secondo quella massima per mezzo della quale puoi insieme volere che essa divenga una legge universale”
La storia della filosofia occidentale è costituita da una serie di nomi ciascuno dei quali fondamentale, ciascuno dei quali insostituibile. Ma se si vuole individuare una rosa di filosofi, senza i quali essa non sarebbe né pensabile né immaginabile, bisogna restringere l’elenco a Platone, Aristotele, Descartes, Kant e Hegel.
Benvenuto Cellini, volendo descrivere l’esperienza pittorica ed estetica rappresentata dai cartoni della “Battaglia di Anghiari” di Leonardo e della “Battaglia di Cascina” di Michelangelo, commissionati dalla città di Firenze per la sala principale di Palazzo Vecchio, disse che essi furono, mentre erano visibili, “la scuola del mondo”.
Basta riflettere sull’enorme influenza esercitata dai filosofi di cui abbiamo citato i nomi, per comprendere come la frase di Cellini sia adeguata anche, e soprattutto, a loro. Con loro, la metafisica occidentale ha principio, svolgimento, sviluppo e conclusione. Prima di loro c’è stato, sul piano filosofico, qualcosa di diverso, così come qualcosa di differente ci sarà dopo, nel mezzo una serie di anelli di collegamento tra l’uno e l’altro.
Si prenda, ad esempio, un singolo campo tematico, quello dell’etica: prima di Platone non c’è un singolo ambito dedicato alla riflessione morale (che si affaccia, come campo a sé, con Socrate, il quale però, come noto, non scrisse nulla); dopo Hegel essa risulterà analogamente marginalizzata rispetto ad altri ambiti, in coincidenza con l’emergere di quel fenomeno capitale del mondo contemporaneo che sarà il nichilismo.
La perdita della centralità dell’etica è tanto più grave, se si considera che mentre la verità è, nella vita degli uomini, un fatto ipotetico, congetturale, interpretativo, l’etica concerne il modo in cui ciascuno di noi, in quanto uomo, sta in mezzo agli altri uomini e riguarderà, perciò, la nostra specie fino a quando essa esisterà su questo pianeta (ossia fino a quando non avremo finito di distruggere la casa che ci ospita).
A questa riflessione sull’agire pratico, Kant ha dato, in epoca moderna, lo sviluppo e l’approfondimento maggiori. Essa occupa la seconda delle tre grandi opere critiche, la “Critica della ragion pratica” del 1788 – la prima è la “Critica della ragione pura” (1781-1787) e la terza è la “Critica del Giudizio” (1790) – che si conclude con il grande pensiero sul “cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me” (ed. Laterza, p. 353).
Ma, tra la prima e la seconda edizione della “Critica della ragione pura”, Kant dà un primo significativo saggio del modo in cui intende affrontare questo tema, dando alle stampe, nel 1785, una piccola opera intitolata “Fondazione della metafisica dei costumi”.
Siamo a ridosso della Rivoluzione francese, i cambiamenti del mondo incombono rapidi e inesorabili, mentre da una piccola città tedesca si leva una voce, la cui caratura non è minore dei concitati e tumultuosi eventi parigini. Nel contesto di quest’opera, particolarmente significative sono le formulazioni dell’imperativo categorico e dell’imperativo pratico.
La prima ha valore etico universale ed afferma (cito dall’ottima edizione Laterza curata da Filippo Gonnelli): “agisci soltanto secondo quella massima per mezzo della quale puoi insieme volere che essa divenga una legge universale” (p. 75). La seconda, invece, dice: “agisci in modo da trattare l’umanità, così nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre insieme come fine, mai semplicemente come mezzo” (p. 91).
Come notato da Adorno in una pagina importante della sua “Dialettica negativa”, la formulazione dell’imperativo pratico ha un particolare significato per noi uomini contemporanei, nati e vissuti dopo Auschwitz, nell’epoca dell’industria culturale e di internet, del trionfo universale della tecnica e del mercato, ossia di quella che, da più parti, è detta globalizzazione.
Ciò perché l’uomo diviene sempre di più “mezzo” in ogni aspetto della sua vita privata e associata. Mezzo rispetto allo Stato lo è stato sempre, nella misura in cui la vita del singolo è sempre stata subordinata ad esso. È mezzo rispetto al mercato, cui interessa soltanto l’accumularsi della ricchezza e del profitto. Mezzo lo è anche rispetto allo sviluppo tecnologico, in quanto utilizzatore finale di dispositivi sempre più complessi e raffinati.
Ecco perché la categoria del rapporto, o del rovesciamento, di mezzi e fini nel mondo contemporaneo, mantiene intatta tutta la sua importanza.