Umanesimo e dintorni, radicalismo senza contraddizione
Egli ci ha lasciato, testimonianze di una vita e di un pensiero unici, tra cui il Nobel nel 1981, perché unica era la mente e la linfa vitale che a essi dava impulso
“Essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice. Ma la radice, per l’uomo, è l’uomo stesso”, dice una frase del giovane Marx. Tra i molti personaggi radicali nati e vissuti nel secolo scorso, Elias Canetti occupa un posto non secondario. Singolare natura spirituale in cui l’attenzione al linguaggio si fa pensiero e il pensiero diviene cura del linguaggio, Canetti ha vissuto, sperimentato, analizzato la crisi contemporanea, con una lucidità ed un vigore che avrebbero fatto invidia a molti dei suoi maggiori.
A trent’anni pubblica il suo primo ed unico romanzo, “Auto da fé” (1935, ed. it. Adelphi). Un ammonimento alle malattie che possono colpire non solo gli intellettuali, ma la ragione stessa. Viene in mente quel passo del “Mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenhauer (II, 19), in cui il filosofo dice che l’egoista teoretico avrebbe bisogno di una cura, piuttosto che di una confutazione.
Il paranoico è il letterato che ha escluso il mondo di fuori e che dal mondo verrà travolto. Ma la singolare lucidità di Canetti sta in ciò: la paranoia è l’autentico spirito dell’epoca, senza di essa non sono spiegabili né Hitler né Stalin.
In questo modo, il collegamento con “Massa e potere” (ed. it. Adelphi), la grande opera teoretica uscita nel 1960, appare naturale, repentino, al pari delle cose che nascono una dall’altra, seppure tra i due libri intercorrano venticinque anni. Non a caso, alla fine della sua grande opera, Canetti conclude il suo ragionamento sul potere con un capitolo intitolato “Sovranità e paranoia”, in cui occupa un posto centrale il celebre caso del Presidente Schreber, di cui già Freud si era occupato in un suo studio clinico del 1910.
Ma perché massa e potere? Appare evidente, in società come le nostre, che la dimensione delle masse umane è, a qualsiasi latitudine, quella preponderante e che maggiormente salta agli occhi – elemento di cui, di nuovo, Freud fu tra i primi ad accorgersi con “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” del 1921. Analogamente, il potere è un fatto cruciale nella vita umana ed animale ed esiste da quando esiste vita sulla terra, come Canetti aveva appreso dal suo maestro Jacob Burckhardt, il grande storico svizzero che aveva passato la vita ad indagare nei misteri del Rinascimento e della Grecia classica.
Eppure, qualcosa rende il libro di Canetti una pietra miliare degli studi in questo campo (come anche gli riconobbe Adorno in un colloquio radiofonico che i due ebbero nel 1962): ed è il rifiuto della teorizzazione metafisica e concettuale tipica, ancora oggi, della filosofia politica e della sociologia. Troppo avvertito sul piano “auricolare” – per riprendere il titolo di un suo libriccino più tardo – egli è divenuto un micidiale osservatore delle dinamiche umane, attraverso l’attenzione alle storie, ai miti delle civiltà umane di ogni tempo e luogo.
Concluso “Massa e potere”, concluso il grande impegno teorico della sua vita, Canetti scrisse ancora e, spesso, con una felicità di accenti e di toni degna dei suoi capolavori maggiori. Molti i libri di aforismi e di appunti – il frammento e l’aforisma, sembra volerci ricordare il maestro di stile mitteleuropeo, è la sola forma di stile adeguata allo spirito dell’epoca e qui Canetti è ancora una volta sulle tracce del suo maestro Karl Kraus – tra cui svetta “La provincia dell’uomo” (1973, ed. it. Adelphi).
Ma non inferiori sono i saggi raccolti sotto il titolo “La coscienza delle parole” (1976, ed. it. Adelphi): da Hermann Broch, l’autore di “La morte di Virgilio”, a Kafka, da Kraus a Georg Büchner, ad una fondamentale messa a punto su potere e sopravvivenza, da un saggio retrospettivo su “Auto da fé”, cruciale per comprendere il grande romanzo della sua gioventù, ad un importante discorso sulla missione dello scrittore, per citare solo i più importanti, Canetti ci mostra come i terreni del pensiero e della critica non hanno, tra loro, delimitazioni nette, né ostacoli di sorta che impediscano di passare da uno all’altra.
Infine, i tre volumi dell’autobiografia (ed. it. Adelphi), “La lingua salvata. Storia di una giovinezza”, “Il frutto del fuoco. Storia di una vita (1921-1931)”, “Il gioco degli occhi. Storia di una vita (1931-1937)”, usciti tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, chiudono la serie delle opere maggiori, mentre ancora in via di pubblicazione sono molti materiali che egli ci ha lasciato, testimonianze di una vita e di un pensiero unici, tra cui il Nobel nel 1981, perché unica era la mente e la linfa vitale che ad essi dava impulso.