Umanesimo e dintorni, Senofonte e la sfida del Multiculturalismo
“I lontanissimi Greci possono rappresentare un modello di saggezza, apertura, capacità di reciproca comprensione?”
Il rapporto con l’Asia, soprattutto in quanto Persia, è costitutivo dell’identità greca tra V e IV secolo a. C, il momento supremo in cui Atene si staglia in altezza su tutte le altre città-stato circostanti. Le tappe fondamentali di questo rapporto sono, sul piano storico, le Guerre persiane, con le sue grandi battaglie – Maratona (490 a. C.), le Termopili (480), Salamina (480), Platea (479) – e le campagne di Alessandro. Sul piano culturale, “I Persiani” di Eschilo, il racconto di Erodoto, la “Ciropedia” di Senofonte.
All’inizio del capitolo su Platone di “La natura ama nascondersi” di Colli, per caratterizzare con precisione il momento in cui Platone si affaccia all’età adulta, il grande studioso scrive: “Atene è caduta, Socrate e i grandi tragici morti, Aristofane in declino: va un mondo il cui fragilissimo e incredibile equilibrio è durato sin troppo” (p. 261).
Questa caratterizzazione comprende – dal nostro punto di vista, non da quello di Colli, che nelle righe successive tratteggia un Platone “solo” che lotta per la sopravvivenza della “vecchia filosofia” (quella che, in seguito, Colli chiamerà “sapienza”) – anche Senofonte, in quel momento nel vivo della sua giovinezza e delle sue forze, coetaneo di Platone e come lui allievo di Socrate.
La differenza tra i due consiste nel fatto che l’inquietudine, la rapidità bruciante, la molteplicità nell’unità che caratterizza il genio filosofico di Platone, è riscontrabile in Senofonte sul piano biografico ed esistenziale. In contatto diretto con Tucidide, di cui nelle “Elleniche” porta a compimento l’opera, allievo di Socrate senza troppa convinzione nella filosofia, avventuriero e grande soldato, innamorato di Sparta e dagli spartani ricambiato, esule da Atene in cui probabilmente rientra ormai anziano e carico di prestigio, ha avuto in sorte – in ciò compagno di Cicerone e di Plutarco – di essere considerato un “minore”, incapace di reggere il confronto con i suoi grandi concittadini.
Eppure le sue opere sono la sintesi migliore del suo secolo. Lontano dal teoreticismo di Platone e Aristotele, nei suoi libri la passione per la conoscenza si mescola con la passione per la guerra, per la politica, per la religione e il misticismo.
Sotto questo profilo, la “Ciropedia” è una straordinaria testimonianza della capacità dei Greci di instaurare un dialogo con l’Altro in grande stile, con quei Persiani che volevano privare la Grecia della sua libertà. All’epoca della composizione dell’opera, che avviene in un periodo tardo della vita di Senofonte, intorno al 360 a. C., quando egli è già forse tornato ad Atene, Platone è ancora vivo ed Aristotele è poco più di un ragazzo.
La morte di Socrate, il cui pensiero aveva concluso la grande stagione della “sapienza greca” nel segno dell’auto-negazione di ogni sapienza umana, era stata un colpo grave per tutti. Che quel suo so di non sapere sarebbe diventato uno dei grandi pensieri della filosofia occidentale, sembrava – già allora – chiaro a tutti. Platone e Senofonte provano a raccogliere questa grande eredità. Lo sviluppo del socratismo germina, in Platone, in modo grandioso, ma ciò non oscura l’asciutto, compatto, sagace Senofonte.
Il titolo originale della “Ciropedia” è “Kyrou paideia”, ossia “educazione di Ciro”. Ma, come Werner Jaeger sapeva come nessun altro, il greco “paideia” ha uno spessore, una molteplicità di significati, una ricchezza che non trova riscontro con l’italiano “educazione”, dove l’aspetto didattico, meccanico dell’esperienza designata, sembra avere la meglio. L’unico paragone possibile è con il tedesco “Bildung”, in cui il lato filosofico dell’esperienza educativa è altrettanto pronunciato.
In Senofonte parla l’uomo del IV secolo nella sua grandezza, ma anche nella sua semplicità. Ciro il Grande, fondatore dell’impero persiano, è un modello di buon governo, la sua figura è idealizzata fino al punto che il suo governo rappresenta un’utopia politica – si tratta della risposta di Senofonte alla “Repubblica” di Platone? – al di là del contrasto tra Greci e Persiani e posto in un VI secolo inimitabile, l’epoca di Eraclito e Parmenide (nonché dei kuroi e delle korai austeri e stilizzati e presenti quasi in ogni museo di arte greca), cui l’ultimo Heidegger guardava come ad un faro.
Prudente, giusto, forte, temperante, Ciro è l’incarnazione delle virtù cardinali la cui enunciazione si trova già in Platone. “L’educazione di Ciro” è, allora, la proposta di quei valori classici di formazione che, si accennava, Platone propose attraverso l’idea delle “virtù cardinali”, enunciata proprio nella “Repubblica”.
L’abito persiano è il tratto caratteristico della proposta di Senofonte, elemento tutto da leggere nel senso del “dialogo” tra Grecia e Persia, Europa e Asia, trent’anni prima del grande tentativo di fusione compiuto da Alessandro e dall’ellenismo. Non è da escludere, poi, che quando Nietzsche decise, ventiquattro secoli dopo circa, di veicolare le proprie idee filosofiche più profonde attraverso Zarathustra, riempiendo un contenitore persiano con delle intuizioni greche, come disse Colli, possa aver tenuto presente il modello rappresentato dalla “Ciropedia” di Senofonte.
Dialogo è, dunque, qui reciprocità, capacità di scambiarsi le parti, in nome di qualcosa di più profondo che ci lega, l’umanità che tutti ci accomuna. Se si pensa, poi, che parliamo di un tempo lontanissimo e remoto, che coincide con le nostre origini e che, in modo tanto decisivo, ha fondato la nostra identità europea ed occidentale, possiamo considerare la misura del debito che abbiamo contratto con Senofonte e il livello della sua statura intellettuale.
Come non capire che, in un tempo come il nostro, in cui la globalizzazione spinge alla mescolanza di una con l’altra tutte le razze, le culture, le identità, i lontanissimi Greci possono rappresentare un modello di saggezza, apertura, capacità di reciproca comprensione?