Umanesimo e dintorni, su passato e futuro
Atene, scuola dell’Ellade; un paragone è possibile, nell’ambito della cultura europea, solo con la Firenze del Rinascimento
Filosofia, arte, politica e storia (tanto nel senso di “res gestae” che di “historia rerum gestarum”, ossia tanto nel senso dei fatti piccoli e grandi che costituiscono la storia, tanto nel senso di quel racconto che, analizzandoli e pensandoli, ne dà conto), mito: per ciò che riguarda l’Occidente, quell’espressione che volesse indicare nella Grecia classica il primo dei modelli e dei paradigmi, non potrebbe che risultare perfettamente adeguata.
Essa è l’amplificazione della definizione che Pericle, nel grande racconto storico di Tucidide intitolato “La Guerra del Peloponneso”, diede di Atene come scuola dell’Ellade. Dalla democrazia alla filosofia (da Pericle a Platone: Atene, dunque, ma non solo) è l’unità di tutte le manifestazioni della cultura occidentale ad imporsi e il ceppo greco domina ovunque e prepara il cristianesimo – unione del “logos” greco e del messianismo ebraico.
Numerosi i personaggi di primissimo piano, per la tradizione occidentale, che – tra V e IV secolo a. C. – gravitano intorno ad Atene: Temistocle, Pericle, Alcibiade, Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane, Fidia, Socrate, Platone, Aristotele. Un paragone è possibile, nell’ambito della cultura europea, solo con la Firenze del Rinascimento: Cosimo il Vecchio, Lorenzo il Magnifico, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Savonarola, Machiavelli, Guicciardini, Leonardo, Michelangelo. Apparirà naturale, allora, definire il periodo classico come l’epoca dello splendore assoluto.
Questo, per ciò che concerne l’Occidente, era al principio; viceversa Auschwitz, Hiroshima, Stalingrado saranno alla fine e costituiranno, per il vecchio Occidente, letteralmente la fine. La nostra è davvero, come ben comprese Nietzsche, un’epoca di “ultimi uomini”: “una vogliuzza per il giorno e una vogliuzza per la notte: salva restando la salute”, come viene detto nel “Prologo” di “Così parlò Zarathustra” (1892).
Non a caso, nella filosofia occidentale, la prima parola è quella di Platone: idea, nella quale risuona un senso di luminosità abbagliante; l’ultima, quella di Heidegger, è essere, la luminosità è quasi scomparsa e la sensazione è quella del collo di un imbuto attraverso cui la filosofia deve passare per ritrovare sé stessa.
Nell’epoca classica intesa come fase dello splendore assoluto vibra potente, come la sua corrente più genuina, l’ottimismo dell’epoca di Pericle, che la sapienza critica di Domenico Musti ha avuto il merito di riportare alla luce come autentica teoria democratica della democrazia, in uno splendido libro intitolato “Demokratía. Origini di un’idea” (Laterza 1995).
Qualcosa di questo brivido è percepibile ancora, alcuni secoli dopo, nei formidabili “Dialoghi delfici” di Plutarco, nei quali, in modo inequivoco, si stabilisce il nesso sapienza delfica-filosofia platonica, facendo sorgere il quesito se non sia più che legittima quell’ipotesi esegetica che volesse vedere nel pensiero di Platone una ri-attualizzazione dialettica delle antiche scaturigini della “sapienza greca” arcaica.
Interrogarsi sullo splendore dell’inizio è, però, anche un modo per ragionare sulle prospettive di futuro connesse all’epoca attuale. Due vie sembrano prospettarsi, all’Occidente, nel prossimo avvenire. La prima: la tradizione occidentale come faro, nel senso della tolleranza, della libertà, dei diritti, della solidarietà, della democrazia, veicolo di pace di fronte alle crisi e alle follie del nuovo secolo, forte del ceppo greco-romano ed ebraico-cristiano – e quanto potrebbe contare, in questo processo, un’Europa in grado elaborare una grande politica all’altezza della sua tradizione, invece di essere ossessionata dal rigore dei conti e dall’austerity! La seconda: l’Occidente come bandiera di intolleranza e cecità, protagonista di una nuova tragedia del razzismo, con le nuove forme di follia che al nuovo secolo non mancherà il capriccio di inventare.
Come al principio, nella visione del padre “venerando e insieme terribile” – così Platone aveva definito, nel “Teeteto”, Parmenide – sono ancora i sentieri del giorno e della notte quelli che ci troviamo di fronte.