Umberto Eco, lezione dell’ironia
Arrivava con tre passaggi deduttivi lì dove, per i comuni mortali, ne occorrevano almeno dieci
Umberto Eco si è spento poco più di quattro anni fa, il 19 febbraio del 2016, all’età di ottantaquattro anni. Come nel caso di Guido Ceronetti, di Emanuele Severino e di Alberto Arbasino è possibile dire che il vuoto da lui lasciato riguarda la cultura italiana. E forse, anche quella europea e internazionale.
La sua cifra tipica consisteva nella rapidità bruciante dello spirito, nella capacità di inquadrare teoricamente i fenomeni con precisione e nettezza. Laddove tutti gli altri arrancavano nella nebulosità.
Arrivava con tre passaggi deduttivi lì dove, per i comuni mortali, ne occorrevano almeno dieci. Da questo punto di vista, c’era, in lui, un tratto di autentica genialità.
Una figura poliedrica
Si laureò, come Gianni Vattimo, con Luigi Pareyson, una delle figure più rappresentative della cultura filosofica italiana del Novecento. Si è mosso, con la sua opera, su tre crinali principali: il Medioevo, la
Semiotica, il Romanzo.
Alla sua morte, uno dei massimi critici letterari italiani e dei maggiori italianisti, Alberto Asor Rosa, si presentò nella casa dello scrittore per rendere omaggio al defunto e ai suoi cari.
Con un atto di carattere rituale, la critica ha reso onore ad una delle ultime figure significative della letteratura italiana.
Non deve essere dimenticata, inoltre, l’acutezza di Eco come critico della
contemporaneità.
Ad esempio con lavori godibilissimi come “Diario minimo” (1963), che contiene il mitico articolo intitolato “Fenomenologia di Mike Bongiorno”. O con opere più ponderose come “Apocalittici e
integrati” (1964). Versante che, del resto, si lega fortemente a quello della semiotica.
La via del romanzo
Ma è con il romanzo che Eco è riuscito a raggiungere e a parlare ad un pubblico più vasto, scavalcando le barriere (e le pastoie) dell’Accademia.
“Il nome della rosa” (1980) è stato un best-seller di un successo travolgente, e valga il film con Sean Connery e la recente serie televisiva con John Turturro.
Ma ecco dov’era la forza di Eco: il libro non è la solita abborracciatura pseudo-storica di chi cerca di vendere il maggior numero di copie possibili, come esemplificato da Dan Brown, per intenderci.
Si sente che l’autore si è curvato su Agostino e Tommaso d’Aquino, su Dante e Averroè, che ha conosciuto quel mondo dalle storie infinite di prima mano.
Al “Nome della rosa”, sono seguiti: “Il pendolo di Foucault”
(1988), “L’isola del giorno prima” (1994), “Baudolino” (2000), “La misteriosa fiamma della regina Loana” (2004). E poi “Il cimitero di Praga” (2010) e “Numero zero” (2015), per un numero complessivo di sette romanzi.
Tra ironia e gioco
Tra di essi, “Baudolino” ha il merito di proseguire il filone medioevale del “Nome della rosa”. Se si dovessero scegliere cinque aggettivi, per definire questo romanzo scatenato e trascinante, che supera le cinquecento pagine, essi sarebbero: bello, autentico, complesso, ironico, picaresco.
Quando uscì, una regina della critica e della filologia italiane come Maria Corti, ha scritto su “Repubblica” del 18/11/2000: “la misura ludica non difetta mai”.
Dando alla post-modernità e alla post-contemporaneità una curvatura ironica, ludica, Eco ha compreso qualcosa di decisivo per il nostro tempo.
Ossia che, per un’epoca che erode in modo sistematico le dimensioni abissali dell’individualità. Che schiaccia e annulla le dimensioni di profondità che erano state tipiche della grande cultura europea del passato. E’ molto più semplice, e meno angosciante, identificarsi in Baudolino, che non in Zarathustra.
Una soluzione convincente
A questo proposito deve essere sottolineato che ironia si sposa con cura. Ecco perché, in un tempo pazzoide e caotico come il nostro, ha ancora senso leggere. Anche se non si è interessati, direttamente, alle questioni teoriche relative alla conoscenza.
La narrativa è terapeutica, perché ha lo stesso ritmo dell’esperienza. Il suo tempo scorre lento, tortuoso, accidentato, come quello delle nostre vite.
Tra amori, sogni, realizzati o delusi, ferite, malattie, affetti, presenze e assenze. Eco aveva la capacità di avvolgere tutto questo, con il tono squillante della sua voce, che sulla pagina diviene quello della narrazione. Lo scrittore ci guida alle questioni più alte che concernono l’esistenza dell’uomo sulla terra.