Un altro caso esemplare: ergastolano in permesso premio. Dopo di che…
Abbagli della rieducazione “auspicatissima”. Il pluriomicida Antonio Cianci è stato liberato per dodici ore. Appena fuori, poco ci è mancato che uccidesse un anziano per rapinarlo
Era all’ergastolo, Antonio Cianci. Per l’omicidio di tre carabinieri nel 1979. Un triplice assassinio che si era andato ad aggiungere a quello di un metronotte che aveva ammazzato cinque anni prima, quando era appena un quindicenne.
Ciononostante, sabato scorso gli hanno dato un “permesso premio” di 12 ore. E lui è tornato a delinquere senza il benché minimo scrupolo: rapinando con un taglierino, e quasi uccidendo con un colpo alla gola, un 79enne incontrato per caso nell’ospedale San Raffaele di Milano.
Poi, per fortuna, l’hanno beccato di lì a poco. L’anziano ferito se la caverà, lui è tornato in galera. L’ordine naturale delle cose è stato rapidamente ripristinato e, come sempre avviene, i riflettori della cronaca si sposteranno altrove. Caso specifico, attenzione specifica. Rilevanza mediocre, attenzione mediocre. Uno dei tanti avvenimenti che appaiono e scompaiono dai radar dei media. Dagli schermi dei radar. O dagli schermi e basta: come la millesima puntata di Law & Order. Che appena finisce te la dimentichi e sei pronto per la milleunesima.
Il punto, invece, è che qui non bisogna affatto dimenticare. Ma spostare lo sguardo. La vera vicenda alla quale interessarsi, infatti, non è l’episodio delinquenziale in sé, ma ciò che lo ha reso possibile. Ossia, la concessione di quel permesso premio. Un beneficio che è stato disposto dal Tribunale di Sorveglianza ma che deriva dal parere favorevole di chi doveva valutare il detenuto. E ha ritenuto che per lui, dopo così tanti anni di reclusione e vista la buona condotta, fosse venuta meno la pericolosità sociale.
Come si è visto, un abbaglio clamoroso. Che avrebbe potuto sfociare in una tragedia: il fendente sferrato alla gola della vittima non ha reciso la giugulare per una questione di millimetri.
“Buona condotta” e altri abbagli
Certo: ogni caso è un caso a sé e un singolo errore di giudizio non implica necessariamente che sia sbagliato il principio generale. Che, riguardo alla prigione, è la finalità rieducativa stabilita dall’articolo 27 della Costituzione.
Allo stesso tempo, però, non bisogna nemmeno incappare, e sprofondare, nell’approccio opposto. Non è che siccome il principio generale sia condivisibile, si debba applicarlo sempre e comunque.
Alle persone di buon senso può apparire una sottolineatura ovvia. E in effetti dovrebbe esserlo. Così come dovrebbe essere palese che la “buona condotta” – come rimarcò un super esperto del calibro di John Douglas, uno dei primi profiler dell’FBI – non equivale di per sé a un autentico ravvedimento, ma può rimanere nulla di più che un adattamento forzoso alle regole carcerarie.
In pratica, una condotta meramente opportunistica. Essendo costretto a ubbidire, il prigioniero di turno ubbidisce. Mica per convinzione. Solo per convenienza. Rendendosi conto di avere tutto da perdere, a lasciare libero sfogo alle proprie tendenze criminali, se ne resta buono. In attesa che le condizioni cambino. In attesa di ritrovare la libertà d’azione di cui ha bisogno per agire come vorrebbe. Come, in cuor suo, non ha mai smesso di volere.
Il principio della rieducazione, perciò, va considerato solo un auspicio. E la classica regola secondo la quale “in dubio pro reo”, per cui l’incertezza del giudizio deve privilegiare la misura più favorevole all’imputato, deve essere ribaltata: nel dubbio, il condannato rimane in carcere.
Nel caso di Antonio Cianci, l’ANSA riferisce che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha già dato incarico all’Ispettorato affinché vengano svolti gli accertamenti necessari a chiarire come si sia arrivati a un errore così marchiano. E ovviamente ha fatto benissimo.
Ma la chiave di volta, in quest’ambito, è di portata assai più ampia. È la necessità di ridiscutere in profondità, e all’occorrenza con brutale franchezza, quanto vi sia di “ideologico” nella tendenza ad attribuire ai condannati – e a maggior ragione agli ergastolani – quella rigenerazione morale che è certamente augurabile. E di cui tuttavia non si può affatto essere sicuri.
Desiderare il riscatto altrui è bene. Essere impazienti di accreditarglielo non è bene per niente.