Un romanzo contemporaneo su Gesù
Un personaggio come Gesù Cristo non è di facile trattazione. Per la levatura storica e spirituale, per il misticismo unico e inimitabile sprigionato dalla sua figura
Le grandi figure della tradizione occidentale brillano di luce propria ed è giusto che sia così. Due grandi ceppi sono individuabili nella storia culturale dell’Europa: quello greco-romano e quello ebraico-cristiano…
Il problema dello specialismo
Ma, per quei limiti imposti dal proliferare delle conoscenze specialistiche, non è possibile occuparsi di ogni aspetto della cultura occidentale con lo stesso livello di profondità. Un esempio: per un Luciano Canfora che si è occupato della storia greca tra V e IV secolo a. C., a partire da Tucidide, con un notevole livello di profondità e puntualità, abbiamo uno storico come Peter Brown che si è occupato di Agostino e del mondo tardo-antico. Ciò significa che Canfora non scrive su Agostino e Brown non tratta Tucidide.
Un altro esempio, tratto dall’ambito storico-filosofico, ci aiuta a chiarire, ulteriormente, la questione. Pierre Hadot, grande storico del pensiero antico, si è occupato della filosofia greca e romana nella linea degli esercizi spirituali, per questo non ci sono sue pubblicazioni su Descartes, Spinoza o Kant e Hegel, ossia sulla grande tradizione speculativa del mondo moderno. Viceversa, Steven Nadler, storico americano della filosofia moderna, si occupa della tradizione speculativa del mondo moderno, di Spinoza in modo particolare, ma anche di Descartes e Leibniz, motivo per cui non troviamo sue interpretazioni su Socrate, Marco Aurelio, epicureismo e stoicismo.
Universalità e romanzo
Eppure qualcosa ci dice che lo sguardo totale, onnicomprensivo, è altrettanto importante. Senza capire l’ontologia antica, Socrate, Platone e Aristotele, non siamo in grado di apprezzare la svolta di Descartes relativa al cogito o la “Critica della ragione pura” (1781-87) di Kant. Analogamente, senza conoscere la storia antica – le guerre persiane, la guerra del Peloponneso, la spedizione di Alessandro, le campagne di Cesare – non saremmo in grado di capire il colonialismo europeo, il ruolo dell’impero britannico nell’epoca moderna e le grandi tragedie dell’età contemporanea.
A volte, i romanzi ci danno una mano. Dipende dallo scrittore e dal modo in cui l’argomento viene trattato. Dal dottissimo Robert Graves – autore, fra le altre cose, del celebre “Io, Claudio” (1934, ed. it. Corbaccio) – si ha sempre molto da imparare. Così come dalle “Memorie di Adriano” (1951, ed. it. Einaudi) di Marguerite Yourcenar o da “Augustus” (1972, ed. it. Fazi) di John Williams. Stesso discorso vale per “Alessandro. Romanzo dell’utopia” di Klaus Mann (1929, ed. it. Il melangolo), per non parlare di “Giuseppe e i suoi fratelli” (1933-43, ed. it. Mondadori) del padre, il grande Thomas Mann.
Senza dimenticare “Il nome della rosa” (1980, ed. Bompiani) e “Baudolino” (2000, ed. Bompiani) di Umberto Eco, di stretta ambientazione medievale. Nonché lo splendido “Giuliano” (1964, ed. it. Fazi) di Gore Vidal, che rievoca la figura dell’ultimo imperatore pagano della storia di Roma.
La riuscita di un romanzo storico sta, dunque, nella capacità dell’artista di coordinarsi e sincronizzarsi con la specificità storica, caratteriale, umana, di una determinata figura.
Appare evidente, ad esempio, che un personaggio come Gesù Cristo non è di facile trattazione. Per la levatura storica e spirituale, per quella che dovette essere la singolarità del suo essere nel mondo, per il misticismo unico e inimitabile sprigionato dalla sua figura. Eppure bisogna ammettere che un film come “La passione di Cristo” (2004) di Mel Gibson sia, sostanzialmente, riuscito nell’impresa.
L’occhio dell’agnello
Da questo punto di vista, un romanzo come “Il vangelo secondo Gesù Cristo” (1991, ed. it. Feltrinelli) di José Saramago (1922-2010) – scrittore portoghese, Nobel per la letteratura nel 1998 – merita qualcosa di più che una semplice menzione generica. Si tratta di un libro stupendo, scritto con straordinaria intuizione e precisione.
Bisogna dire che anche “King Jesus” (1946) di Graves – tradotto con il titolo italiano di “Io, Gesù” (ed. it. Longanesi), per non perdere il richiamo al capolavoro su Claudio – possiede molte frecce al suo arco. Ma se il romanzo di Graves è dottissimo, stracarico di conoscenze relative ad una tradizione di profondità abissale, Saramago – con intuito felice – va dritto al problema dell’umanità di Cristo, a quella semplicità in cui sembra risuonare il senso autentico della cosa.
Non sarà inutile ricordare come, tra le opere postume di Calasso, l’editore Adelphi abbia pubblicato “Sotto gli occhi dell’Agnello”, uscito nella primavera del 2022. Meditazione sul cristianesimo attraverso Giovanni e “Il Polittico di Gand” (1426-1432) dipinto dai fratelli van Eyck, lo leggemmo il giorno di Pasqua 2022 in Piazza del Campo a Siena e fu un’esplosione di luce. Ma, appunto, Saramago è interessato ad altro. Ci sono sì i miracoli, la grande predicazione degli ultimi anni della vita di Gesù.
Ma è tutto molto terreno: la fatica della terra e della povertà, quella delle incomprensioni umane e familiari, la dimensione terrestre del lavoro da falegname di Giuseppe, la capacità di contaminazione con le regioni del corpo di Maria Maddalena, l’enigmaticità di Giovanni Battista, l’umanità di Gesù, scabra ed essenziale avrebbe detto il Montale di “Ossi di seppia” (1925).
Punto focale
Al di là dell’eterna disputa tra Rivelazione e Illuminismo, tra cristianesimo e laicismo, dunque, la penna sobria di Saramago ci svela un Cristo maestro di humanitas, in maniera non dissimile dai maestri della cultura greco-romana, Socrate, Virgilio, Marco Aurelio. Ciò lo rende accessibile anche al non credente, al laico, all’ateo. Lo straordinario misticismo che proviene dalla sua figura contribuisce a colorire di un fascino unico i primi secoli del cristianesimo.