Una atipica ma plausibile causa di morte: Il caso Penati
Tutto congiura per traumatizzare e deprimere chi lavora nel campo minato di un’amministrazione in conflitto con sé stessa
E' morto qualche giorno fa Filippo Penati, ex dirigente del PD ed ex presidente della Provincia di Milano dal 2004 al 2009. Dal 2011 ha vissuto inquietanti traversie giudiziarie per un presunto sistema di tangenti nel Comune di Sesto San Giovanni, di cui è stato sindaco. Il 28 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha dichiarato il non luogo a procedere per sopraggiunta prescrizione del reato. Il 10 dicembre 2015 viene assolto in primo grado per altri reati minori collegati alla suindicata imputazione principale, perché "il fatto non sussiste". Le motivazioni della sentenza individuano nei comportamenti di Penati, "vischiosità" e "inopportunità", ma tutto questo -si legge- "attiene alla sfera dell'etica e non del penalmente rilevante". Inoltre, le indagini vengono definite "superficiali", "lacunose" e contrastanti con i princìpi della Costituzione.
In altre parole, anche a causa dell'approssimazione delle indagini, nel primo grado di giudizio si sarebbero indebitamente enfatizzate imperfezioni di procedura amministrativa verosimilmente finalizzate ad interventi tempestivamente rispondenti alle legittime attese dei destinatari e della collettività, sospettandone pregiudizialmente l'illegittimità amministrativo-contabile e penale. Nel luglio 2018 la Corte dei Conti della Lombardia condanna Penati in appello, con altre 11 persone, per la compravendita dal gruppo Gavio, nel 2005, del 15% di azioni della Milano-Serravalle. Penati in quell'occasione rivela pubblicamente il suo stato di malattia: "Un anno fa mi è stato riscontrato un cancro, e i medici concordano che è anche conseguenza della mia vicenda giudiziaria”.
Nulla potrà mai confermare con inoppugnabile certezza il nesso lineare di causa-effetto tra le vicissitudini giudiziarie e l'insorgere della grave malattia. Ma per altri versi risulta invece incontestabile l'alta probabilità che lo stato depressivo immancabilmente derivante da un trauma esistenziale deprima a sua volta il sistema immunitario e di conseguenza agevoli in maniera determinante la genesi della patologia cancerosa. In altre parole, un nesso causale indiretto, mediato dalla depressione, non è affatto da escludere.
Il caso Penati è peraltro solo il più recente tra i numerosi casi di danno psicologico o fisico, o addirittura di motivazione al suicidio, verificatisi nella storia giudiziaria italiana degli ultimi decenni per veri o presunti errori giudiziari o umilianti misure restrittive decise dai magistrati e scandalisticamente amplificate dai mezzi di informazione. Alcuni casi ampiamente discussi si verificarono, fra l'altro, nel corso dell'azione giudiziaria denominata “Mani pulite”.
Il caso Penati ha però una sua specificità meritevole di un tentativo di analisi, in quanto nell'attuale situazione politica ha assunto un notevole risalto, tanto in sede parlamentare quanto sul piano giornalistico, la questione dei complicati rapporti tra le esigenze di efficienza e tempestività delle azioni amministrative e la loro conformità, o meno, al quadro normativo vigente.
E' oramai giunta a conoscenza di qualsiasi cittadino la cosiddetta "paura di firmare" dilagante nella Pubblica Amministrazione, ossia la fondata perplessità a sottoscrivere un atto da parte di responsabili politici, dirigenti e funzionari che l'intricato accavallarsi di norme troppo numerose (e tutte variamente e simultaneamente incidenti sulla legittimità di forma e di merito anche del più apparentemente semplice atto amministrativo) dissuade da una pronta emanazione dell'atto stesso.
Un atto non rispondente alle norme vigenti può in effetti incappare in molte possibili fattispecie di reato: in primo luogo, del fatidico e famigerato “abuso d'ufficio” sanzionato dall'art. 323 del Codice Penale. Perché questo rischio di reato sempre incombente? Perché l'attuale definizione della fattispecie consente molteplici e improprie interpretazioni estensive (tra le quali l'opinabile, estremamente generica conformità, o meno, al principio costituzionale del “buon andamento” della P.A.), il cui complicarsi deriva in una certa e non trascurabile misura da alcune innovazioni apportate al testo della Costituzione.
La confusissima recente modifica del Titolo V della Costituzione ha di fatto incrementato i poteri decisionali e di spesa degli enti “periferici”, soprattutto delle Regioni, introducendo una vasta area di poteri “concorrenti” tra Stato e Regioni e determinando con questo una bloccante marea di contenzioso tale da impegnare pesantemente le competenze interpretative dirimenti della Corte Costituzionale. La frettolosa ricerca di utili scorciatoie amministrative si è così, paradossalmente, rovesciata nel suo opposto.
Ha in effetti prevalso un'ideologia filo-federalista sostenuta principalmente dalla Lega, consistente nella persuasione che autonomizzare e snellire a livello locale la formazione delle leggi e le procedure amministrative di garanzia, superando la ritardante funzione degli organi esterni di controllo mediante controlli interni, avrebbe assicurato un miglioramento complessivo dell'azione amministrativa, del cui legittimo ed efficace funzionamento sarebbero stati giudici “ideali” solo gli elettori.
Questo processo di riforma si è associato alla cooptazione di una dirigenza assunta con contratti a breve termine: è il cosiddetto spoil system, ossia la possibilità di relegare a funzioni demansionanti i dirigenti già in servizio e cooptare al loro posto dirigenti di fiducia costantemente impegnati a scongiurare per il loro capo di provenienza politica qualsiasi rischio di potenziale reato -in primo luogo, l'eventuale abuso d'ufficio- e di appannamento della sua immagine pubblica. E' ovvio che anche questo sistema produce battute d'arresto e rinvii dell'azione amministrativa.
Sulle questioni sin qui riportate in sintesi si è aperto un dibattito politico e giuridico. Tra le posizioni più note e discusse si può ricordare quella di Raffaele Cantone, il quale, una volta appurato che la maggior parte dei processi per abuso d’ufficio si conclude con l'archiviazione, afferma: "Si cominciano tanti procedimenti ma sono pochi quelli che arrivano alla sentenza di condanna definitiva […] il Paese spesso viene bloccato con l'alibi delle indagini giudiziarie, un alibi spesso fasullo e agitato a volte in maniera strumentale”.
Enzo Bianco, più volte sindaco della problematica città di Catania, afferma: "Non vogliamo salvacondotti, ma che paghi chi sbaglia […] Il reato di abuso di ufficio prevede che, per configurarsi, ci debba essere la violazione di una legge o di un regolamento mentre secondo l'interpretazione di alcuni magistrati c'è anche per espressa violazione dell’articolo 97 della Costituzione, ossia del principio del buon andamento. Ciò è inaccettabile". Poi aggiunge: "Bastano poche modifiche affinché sia tipizzato, siano cioè chiari i comportamenti vietati, altrimenti saremo costretti a chiedere l’abolizione dell’articolo 323 del codice penale".
Il Professor Andrea R. Castaldo, Segretario Generale per l’Europa dell'I.C.E.P.S. (International Center of Economic Penal Studies), presiede la Commissione di Studio e Riforma dell’art. 323 c.p., la quale propone di introdurre un parametro normativo formulato per i comportamenti posti in essere “in violazione di formali norme di legge o di regolamento inerenti la disciplina di forme, procedure e requisiti imposti per l’esercizio della funzione o del servizio stesso”. Più precisamente si dovrebbe introdurre una causa di non punibilità qualora il pubblico amministratore applichi criteri e direttive enunciati dalle linee guida stabilite dall’amministrazione. In pratica non sarebbero punibili “le condotte che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio adotti nel rispetto delle linee-guida e dei pareri formalmente resi dall’Autorità regionale di controllo”. Tali strumenti garantirebbero l’agire del pubblico amministratore quanto meno sotto il profilo dell'insussistenza dell’elemento psicologico.
Il problema qui esaminato, benché urgente e, una volta affrontato con opportune innovazioni, tale da abbattere non solo i tempi morti dell'amministrazione ma anche di attenuare i costi degli appalti e dei pubblici investimenti, stranamente non è stato preso nella dovuta considerazione dai governi succedutisi in questi ultimi anni. Perché? Perché ci si illude di captare più consenso popolare con l'adozione di flebili e zoppicanti interventi di -presunto- più immediato impatto positivo sulla vita quotidiana dei cittadini. "E' la politica, bellezza".
Foto dal profilo Fb di Filippo Penati