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Una parola d’ordine carica di futuro: umanesimo

Una delle più straordinarie epoche della nostra cultura, l’Umanesimo italiano

Dante, precursore dell'Umanesimo

Dante, precursore dell'Umanesimo

Le grandi intuizioni dello spirito europeo, i concetti decisivi attraverso cui l’Occidente e l’Europa hanno pensato sé stessi, hanno una storia lunga, articolata, sfaccettata, complessa. Così, quando si parla di umanesimo, bisognerebbe chiarire che cosa intendiamo con questo termine. Un maestro dell’analisi filologica e storico-filosofica come Bruno Snell (1896-1986), ci viene incontro da questo punto di vista.

All’inizio del capitolo XIV del suo grande libro “La cultura greca e le origini del pensiero europeo” (1948, ed. it. Einaudi), intitolato La scoperta dell’«umanità» e la nostra posizione di fronte ai greci, egli fa un rilievo decisivo. Ossia, che a coniare la parola “umanesimo”, nelle lingue europee moderne, fu F. J. Niethammer (1766-1848) nel 1808.

Tra i giganti con classe

Niethammer fu un filosofo e pedagogista tedesco, legato a Fichte e a Hegel. Tra le altre cose, la famosa lettera scritta da Jena il 13 ottobre 1806, in cui Hegel fa una delle sue affermazioni epocali – “ho visto l’imperatore – quest’anima del mondo – uscire a cavallo dalla città per andare in ricognizione”è indirizzata proprio a Niethammer.

Più di due secoli dopo, in “Minima Moralia” (1951, ed. it. Einaudi), Adorno ne farà un controcanto micidiale: “«Ho visto lo spirito del mondo», non a cavallo, ma alato e senza testa: e questo confuta, nello stesso tempo, la filosofia della storia di Hegel” (aforisma 33, ed. it. p. 55). Ma gli smacchi dell’idealismo di fronte alle dimensioni abnormi e inaudite della Storia contemporanea, ci porterebbero, adesso, troppo lontano.

Basti rilevare, che se la coniazione della parola umanesimo è dovuta all’estro di Niethammer, il clima e l’atmosfera evocate da questa idea decisiva della nostra cultura, hanno radici infinitamente più lontane. Almeno dall’humanitas di Cicerone, da Petrarca e dagli studia humanitatis del Rinascimento.

Il gusto della periodizzazione

Dunque, per spirito di sintesi e di chiarezza concettuale, è possibile affermare che l’umanesimo europeo vive quattro periodizzazioni di importanza decisiva: l’epoca suprema (la definizione è di Giorgio Colli) della cultura greca tra VI e IV secolo a. C.; lo sviluppo della cultura latina a Roma, tra II secolo a. C. e II secolo d. C. (fino alla morte di Marco Aurelio nel 180 d. C.); la grande fioritura del Rinascimento italiano e fiorentino, in un’età che può essere circoscritta tra la morte di Petrarca (1374) e quella di Giordano Bruno (1600) – secondo la decisiva interpretazione di Eugenio Garin, in “L’umanesimo italiano.

Filosofia e vita civile nel Rinascimento” (1947, ed. it. Laterza); lo sviluppo della cultura tedesca al tempo del classicismo e dell’idealismo, ossia in una fase che va dalla nascita di Kant (1724) fino alla morte di Goethe (1832), e comprende, naturalmente, manifestazioni spirituali di decisiva grandezza, legate a nomi come quelli di Schelling, Hegel, Schiller, Hölderlin. In tutti e quattro i casi, le conseguenze sulle arti figurative e, nel caso dell’idealismo tedesco, sulla musica, saranno enormi.

Un simpatico guastafeste

Poi c’è chi ha la capacità decisiva di rompere le uova nel paniere. E il nome che viene subito alla mente è quello di Martin Heidegger, con la sua “Lettera sull’«umanismo»”, composta nel 1946, nello stesso anno della storica conferenza di Sartre, dal titolo “L’esistenzialismo è un umanismo”. Ora, ciò che, dal nostro punto di vista, va detto, è che il contributo di Heidegger è di prima grandezza. Un pensatore della sua levatura è, per definizione, amico del pensiero, dell’Essere, della metafisica, dell’umanesimo.

Proprio per esserne stato un critico feroce. Per cui non ha senso scagliarsi sul suo nome come cani rabbiosi in nome dei, sacrosanti, principi di democrazia, anti-fascismo e anti-nazismo. Heidegger – da mago del Nord quale egli era – capiva poco la politica, tutto qui.

Lo stesso Adorno, il suo critico più grande agguerrito e acuto, riconobbe come tra i Sentieri interrotti (la grande raccolta di saggi del 1950) di Heidegger e le sue Meditazioni della vita offesa (come suona il sottotitolo di Minima Moralia), la distanza fosse minore, di quello che poteva sembrare a prima vista.

Dunque, dalla grande critica di Heidegger all’umanesimo della tarda grecità, della cultura latina, del Rinascimento italiano, possiamo acquisire questo consiglio prezioso: per essere all’altezza del nostro tempo, l’umanesimo deve abbondonare la sua vecchia veste, quella della metafisica, del platonismo, della trascendenza, della teologia, della centralità dell’uomo, del moralismo.

Su questo bisogna essere netti e il capitale contributo speculativo di Nietzsche, fonte di ispirazione per lo stesso Heidegger, deve essere la guida. Del resto – per fare ancora un rilievo nel segno dell’amicizia stellare e dell’inimicizia terrestre, utilizzando l’aforisma 279 della “Gaia scienza” (1882) di Nietzsche dedicato a Wagner – la “Dialettica negativa” (1966, ed. it. Einaudi) di Adorno si conclude con queste parole: “questo pensiero è solidale con la metafisica nell’attimo della sua caduta” (p. 365).

Verso il cuore (delle cose)

Tra le porte di ingresso ermeneutiche che contribuiscono a contemplare il cuore dell’umanesimo rinascimentale e dell’umanesimo europeo tout court, ci sono senza dubbio i lavori, le opere, gli scritti di Eugenio Garin (1909-2004). Non è facile rendere, in poche parole, la straordinaria padronanza di questo studioso per tutte le questioni, minime e massime, dello spirito rinascimentale.

Il suo lavoro, forse, più classico, centrato, decisivo, esplicativo per i non specialisti è il volume dal titolo, già ricordato, “L’umanesimo italiano. Filosofia e vita civile nel Rinascimento” (ed. it. Laterza), uscito in prima edizione in tedesco nel 1947 e più volte ristampato nella nostra lingua.

L’altro libro di Garin, paragonabile nelle intenzioni e nell’approccio – ossia spiegare, a noi profani, la ricchezza e le sfumature della cultura rinascimentale – è il libro dal titolo “La cultura del Rinascimento. Profilo storico” (ed. it. Laterza), uscito in tedesco nel 1964 e poi in italiano. Il grande lavoro “Vita e opere di Cartesio” (Laterza) del 1967, scritto per l’edizione delle “Opere filosofiche” del pensatore, non è che un’ulteriore conferma delle straordinarie capacità ermeneutiche di Garin.

Istantanea

Dunque, la grande opera di ricerca di Garin su “L’umanesimo italiano” ha questo pregio: mostrare le correnti principali, i canali secondari, i rivoli infinitesimali di una delle più straordinarie epoche della nostra cultura. I protagonisti di prima grandezza si affollano, ansiosi, alla partenza: Petrarca, in primo luogo, che Carducci definì – a ragione – il “padre del Rinascimento”.

Poi l’umanesimo delle cancellerie: Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini. La riscoperta di Platone e il ruolo di Cosimo il vecchio come mecenate di Marsilio Ficino. L’umanesimo come filologia e l’opera di Poliziano e di Lorenzo Valla. Il grande sviluppo delle arti figurative. Il tempo di Lorenzo il Magnifico e dei suoi sodali: Savonarola e Giovanni Pico della Mirandola.

L’idea della docta religio (Ficino) e della pax philosophiae (Pico della Mirandola). Il tentativo di conciliare Platone e Aristotele. Il dialogo con la cultura medievale del passato. Infine, la grande sapienza storico-politica di Machiavelli e Guicciardini e lo slancio immane, tanto rabbioso quanto mistico, di Giordano Bruno. Ciò che, complessivamente, emerge dalla somma di questi elementi è un miracolo.

Ma, come nel caso di Jacob Burckhardt (1818-1897), durante l’Ottocento, abbiamo bisogno di un grande sacerdote, perché il miracolo sia visibile anche agli occhi di noi profani…