Uno, nessuno e centomila. Quanti sono i volti di Soumahoro e della sua elegante famiglia?
Sono diversi gli africani che nella storia hanno avuto, senza alcuna remora, un ruolo determinante e opportunista nella tratta degli schiavi
Sono diversi gli africani che nella storia hanno avuto, senza alcuna remora, un ruolo determinante e opportunista nella tratta degli schiavi. Attirati dagli enormi ricavi economici, ben presto si erano resi conto della conseguente quanto sorprendente possibilità di assumere una posizione di privilegio e dominio nei confronti della comunità di origine e di ottenere benemerenze e riconoscimenti, non solo economici, da parte delle classi dominanti dei conquistatori” bianchi.
L’attuale filiera della rotta mediterranea della migrazione, conferma quanto sopra affermato pur se con le necessarie varianti di adattamento ai tempi moderni.
Africani (per lo più Libici) sono i gestori primari del traffico di esseri umani. Essi sono l’argine posticcio di un’invasione di disperati, sono i veri regolatori dei flussi migratori, brokers sanguinari che incassano elevate provvigioni da tutte le parti in gioco. Con grande attenzione, selezionano la distribuzione dei nuovi schiavi (attirati dal miraggio del benessere europeo nelle “miniere a cielo aperto” dei campi di raccolta) con le modalità oculate di chi possiede un giacimento di diamanti.
Africani sono “gli addetti alla logistica”, meglio noti col nome di scafisti, moderni armatori di barche negriere che in un modo o nell’altro “garantiscono” la consegna del prezioso carico al “primo porto sicuro”, (l’Italia) della vecchia ed infeconda Europa.
Il ruolo delle Ong nel traffico degli esseri umani
Fiore all’occhiello di queste organizzazioni è spesso rappresentato dalle singolari partnership con le ONG del mare, che se pur con intendimenti di natura umanitaria rischiano di diventare complici sempre più consapevoli di un’attività criminale tanto disdicevole quanto remunerativa (come dimostrano, sempre più frequentemente, non solo le inchieste giornalistiche, ma le diverse indagini da parte di varie Procure).
In Italia, terminale sistematico della “virtuosa” filiera, come è ben scaturito dalla chiarificatrice inchiesta di Mafia Capitale, questo allettante business, al di là dei classici interessi legati al “caporalato”, si fa ancor più remunerativo grazie all’indiscriminato ed incontrollato stanziamento di denaro pubblico per la gestione privata dell’accoglienza.
Per questo, appare legittimo, in un regime di “libera concorrenza”, che sempre degli Africani possano ambire, in “simbiosi” con i “dispenser” bianchi della politica, anche al controllo di almeno una fetta di questo ricco mercato, sfruttando la maggiore credibilità professionale attribuita proprio dal giusto colore della pelle.
Dunque non deve stupire il ruolo potenzialmente assunto da coloro che, dopo aver provato la condizione di “schiavo”, una volta riscattati dai loro padroni, sono diventati essi stessi nuovi mercanti di esseri umani, dimostrando un’intransigenza ed applicazione al nuovo ruolo ben più disumana e minuziosa, rispetto al proprio originario aguzzino.
Infatti, anche questa “umana evoluzione” non è una novità.
I collaborazionisti dello schiavismo
Senza andare eccessivamente a ritroso nel tempo, la storia è ricca di esempi sulla par condicio dello sfruttamento umano con “sorprendenti” collaborazioni o vere e proprie società interraziali.
Nel XVIII sec. possiamo citare la figura del ghanese William Ansah Sessarakoo, Principe di Anomabu, che dopo essere diventato schiavo in circostanze fortuite, tornato in patria non esitò a prendere le redini della florida attività del padre, noto commerciante di schiavi.
Un altro su tutti, il caso di Seriki Williams Abass . Comprato come schiavo da un “master” brasiliano, dopo aver ricevuto in Brasile l’idonea istruzione ne diventò socio d’affari, “elevandosi” così non solo al ruolo riconosciuto di potente mercante di schiavi nell’attuale Nigeria, ma anche a sovrano supremo di Badagry nel governo coloniale stabilito dagli inglesi.
Non mancano le “quote rosa” impegnate in questa deprecabile quanto ambita attività.
Sempre in Nigeria citiamo Efunroye Tinubu, mentre in Guinea molto attive nel commercio di esseri umani sono state Niara Bely e Bibiana Vaz, entrambe impegnate a proseguire il business di famiglia tramandato dal padre (Fonte Face2Face Africa).
Se avete notato delle assonanze con alcuni fatti dei nostri giorni, possiamo continuare.
L’affare e gli affari di Soumahoro e famiglia. La storia che si rinnova nella forma ma si ripete nella sostanza
Le indagini, ancora in corso, che vedono coinvolte le cooperative pro-migranti “Karibù”, Consorzio “AID” e altre, in capo ai familiari del neo Onorevole Aboubakar Soumahoro, sembrerebbero ipotizzare un modello di truffa concepito e attuato su una linea territoriale che comprende Calabria, Puglia e Lazio per trovare uno dei suoi terminali a Kigali (capitale del Ruanda) provenienza Roma.
Per questo, è plausibile ritenere che i possibili coinvolgimenti potrebbero andare ben al di là di suocera e moglie dell’attuale percettore del “Reddito di Legislatura”.
Le nuove figure imprenditoriali rwandesi
Grazie ad invidiabili e consolidate entrature ai livelli più elevati della politica, le rwandesi più famose d’Italia sono diventate nel corso degli anni figure di grande successo (anche in termini di fatturato) dell’imprenditoria pro migranti.
Ciò è potuto accadere, dopo aver frequentato con “successo”, per molti anni ed a vario titolo, le stanze di vari uffici del potere governativo, Palazzo Chigi incluso, a testimonianza di una “integrazione” nella società occidentale perfettamente realizzata.
Ora, per quanto sicuramente “preparate”, è difficile ritenere che i circa 60 milioni di euro di fondi pubblici italiani incassati dalle società dei familiari di Soumahoro, non abbiano “interessato” la fattiva partecipazione di entità “autoctone” che magari potevano avere una qualche voce in capitolo sulla destinazione di dette somme. Ma di questo ce ne occuperemo a indagini concluse.
Il coinvolgimento giudiziario dell’on. Soumahoro
Quanto al coinvolgimento giudiziario di Soumahoro, qualora venisse rilevato, ci riserviamo una più corretta analisi una volta che verranno resi pubblici i prevedibili avvisi ex 415 bis cpp. Ma se è ancora troppo presto per tracciare un giudizio definitivo sull’ex migrante, ex bracciante, ex sindacalista, ex simbolo, ex…, ex…, le considerazioni sui suoi sponsor politici sono tanto scontate quanto negative.
Infatti, e non crediamo per propria convinzione filosofica o ingenua inconsapevolezza, tutta la Sinistra parlamentare, desiderando un glorificato ritorno alle origini, ha fortemente ambito a “farsi cavalcare” non più soltanto dai radical chic più snob e abbienti, ma, “finalmente”, da un professionista della solidarietà organizzato e assurto a paladino dei più deboli ed emarginati.
Forte del “giusto” colore della pelle (proprio il colore della pelle viene fuori come strumento determinante utilizzato dallo stesso Soumahoro anche nel suo primo tentativo social di discolpa), e supportato dall’impegno solidaristico imprenditoriale del suo entourage familiare, Sumahoro ha potuto scalare con impressionante rapidità, la vetta ambita di Montecitorio.
Il ruolo dei partiti della sinistra nel caso Soumahoro
Tutto questo, grazie soprattutto all’intellighenzia inflazionata dei partiti della Sinistra. Questi, ormai privi di una propria identità, con l’appoggio incondizionato del Mainstream dell’informazione, sono diventati una “appiattita” piattaforma sul “modello ONLY FANS”, senza porsi o sollevare minimamente questioni pregiudiziali sulla moralità e onestà dei propri “inserzionisti”.
A questi Partiti sembra che basti incassare sotto forma di consensi elettorali la giusta percentuale sulle disinibite attività degli influencer di maggior tendenza, abili nell’ammaliare le frange dei buonisti più ottusi.
A questi “condannabili ingenui”, li invitiamo ad aprire gli occhi, sempre troppo abbagliati dalla luce artificiale sprigionata dalle loro atee divinità, espressione del neo-paganesimo moralizzatore che porta sempre a salvare Barabba al posto di Gesù.
La verità è che al di là della “sfortunata” e “rumorosa” messa in scena avente protagonista il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, da quando il fenomeno migratorio verso le nostre coste produce più utili del traffico di stupefacenti (senza rischi apprezzabili), ci sono decine di cooperative, associazioni o enti che meriterebbero la stessa attenzione politico giudiziaria oggi dedicata alle organizzazioni in capo a Marie Therese Mukamitsindo e Liliane Murekatete, e solo ieri alla coppia Buzzi / Carminati.
Intanto, già in ottica di “Giustizia Riparativa” per quanto applicata alla sola sfera morale, cominci, l’Onorevole Soumahoro, col devolvere il suo lauto stipendio da deputato a tutti coloro che nel sopravvivere a una condizione non meritata gli hanno regalato l’immeritata gloria in un mondo senza gloria.