Usa 2020, l’anno zero della credibilità di un’America mai così lacerata
Il dem Biden a un passo dalla Casa Bianca, ma il Presidente Trump denuncia brogli ed è pronto ad azioni legali. E gli Stati Uniti sembrano a un passo da una guerra civile
Comunque vada a finire Usa 2020, l’autorevolezza della democrazia americana ne esce con le ossa rotte. Infatti, che vinca il Presidente repubblicano Donald Trump o che la spunti lo sfidante democratico Joe Biden, sulla Casa Bianca graveranno in ogni caso delle ombre. Che, inevitabilmente, saranno difficilissime da dissipare.
Una nomina lunga e sofferta
Mentre scriviamo, non si conosce ancora il nome del candidato che guiderà gli Stati Uniti per il prossimo quadriennio. Anche se i dati (semi)ufficiali danno l’ex vicepresidente di Barack Obama a un passo dal 1600 di Pennsylvania Avenue.
Verosimilmente, però, la nomina non sarà imminente, in parte perché alcuni Stati si prenderanno qualche giorno per contare i voti postali. Ma, soprattutto, perché l’attuale Potus ha già annunciato una serie di azioni legali in alcuni dei swing States che probabilmente decideranno la contesa.
«Siamo pieni di prove» ha cinguettato in un post in cui parlava apertamente di «frode». Uno dei tanti, per inciso, censurati dal vergognoso bavaglio unidirezionale di Twitter.
Due in particolare le rimostranze di The Donald. La prima riguarda il conteggio delle preferenze, che alcuni Stati consentiranno per giorni, includendo i suffragi giunti dopo il 4 novembre – purché spediti entro la scadenza. La seconda riguarda alcuni episodi come minimo controversi che si sono verificati durante l’Election Day in alcuni degli Stati chiave.
Gli episodi controversi
Per esempio, in Arizona – tuttora in bilico -, vari elettori hanno segnalato che il loro voto era stato inspiegabilmente cancellato. A denunciare il fatto è stato il capogruppo di maggioranza Warren Petersen, che ha precisato (forse iperbolicamente) che erano tutti fan di Mr. President.
Ci sarebbero poi, come ha affermato anche il leader leghista Matteo Salvini, «posti dove ci sono più voti che votanti». Il Capitano magari è stato eccessivamente tranchant ma, a guardare certe proiezioni riguardanti i battleground States, viene un po’ da pensare.
Si aggiunga anche che si era diffusa la notizia – poi smentita – che il Wisconsin avesse registrato un’affluenza del 101%. In modo simile, si è rivelato un errore di battitura quello secondo cui in Michigan sarebbero stati conteggiati 138.000 voti di troppo per Sleepy Joe.
Resta però un fatto che entrambi i territori vedevano il tycoon largamente in vantaggio prima di virare, tutt’a un tratto, verso il blu dell’Asinello. E, nello Stato di Detroit, c’è stato (almeno) un episodio che eufemisticamente si potrebbe definire bizzarro.
In una contea, infatti, risulta registrato il suffragio per corrispondenza espresso dal 118enne William Bradley. Non è neppure un caso isolato: pare che in Michigan siano parecchi gli ultracentenari dotati di un invidiabile senso civico. La particolarità, però, è che William Bradley è morto nel 1984. Un piccolo intoppo che però non lo ha potuto fermare. Non chiedetegli però per chi ha votato, perché sarà una tomba.
Usa 2020, la democrazia è la grande sconfitta
In tutto ciò, la notte d’Oltreoceano è stata segnata da proteste e scontri di piazza. Con i supporter trumpiani che invocavano il riconteggio delle schede, e i manifestanti dem che chiedevano di «contare ogni voto», inclusi quelli tardivi. E forse mai come questa volta l’America è così lacerata da sembrare sull’orlo di una nuova guerra civile.
Una cosa comunque è certa: Usa 2020 non terminerà qui. Per questo, siamo all’anno zero della credibilità yankee. E sempre per questo possiamo affermare che, se non c’è ancora un vincitore, c’è però già una grande sconfitta – oltre, naturalmente, ai soliti sondaggisti. È la democrazia. Il cui sonno, come quello della ragione, genera mostri.