Utero in affitto, facciamo chiarezza su una pratica aberrante
Si (stra)parla di diritti dei bambini, ma la vera discriminazione, come ha sancito la Consulta, è considerare le donne come oggetti e i figli come prodotti: e lo fanno soprattutto gli etero
L’ultima ossessione dei media mainstream nostrani sono le trascrizioni dei bambini di famiglie arcobaleno, col loro rovescio della medaglia, l’utero in affitto. Che sarà pure edulcorato attraverso espressioni da neolingua orwelliana quali “maternità surrogata” e “gestazione per altri”, ma resta sempre una pratica aberrante. Su cui è bene fare chiarezza una volta per tutte.
Facciamo chiarezza sull’utero in affitto
L’utero in affitto «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». Lo ha sancito la Corte Costituzionale con le sentenze n. 272 del 2017 e n. 33 del 2021, che si rifanno alla legge 40/2004. E hanno ribadito il divieto penale di ricorrere a una tecnica barbara che, oltre a considerare le gestanti come oggetti, tratta i bambini alla stregua di prodotti.
Eppure, ora che il tema è esploso nell’agone pubblico, al cuore del dibattito ci sono proprio i diritti dei bambini. Diritti che, rileva Il Giornale, verrebbero negati ai figli di coppie omogenitoriali, secondo i fautori delle registrazioni all’anagrafe dei certificati di nascita di questi ultimi. Anche se, come ha ricordato il giornalista Alessandro Rico, «all’utero in affitto ricorrono soprattutto coppie eterosessuali», non foss’altro per una questione meramente statistica.
Comunque sia, una volta che c’è un neonato in carne e ossa, la sua situazione va regolarizzata, è l’argomentazione. E pazienza se questo comporterebbe la legittimazione di un turpe mercimonio che, oltretutto, in Italia è anche un illecito.
Come peraltro ha sottolineato la scrittrice (femminista) Marina Terragni sul Foglio, non c’è nessuna discriminazione perché non viene leso nessun diritto, «dal pediatra alla scuola». A parte il primo e più fondamentale, che consiste nell’avere una mamma e un papà (perché una fecondazione, anche artificiale, richiede sempre un gamete maschile e uno femminile). Nonché quello – forse altrettanto basilare – di «non essere separato dalla donna che l’ha partorito». E che per il bambino è sua madre, perché i legami che si formano durante la gravidanza sono fortissimi: e romperli per denaro è semplicemente ignobile.
Una pratica ignobile e aberrante
Come infatti sintetizza Avvenire, siamo di fronte a un vero e proprio business. Ricchi committenti che reclutano delle “volontarie” nelle zone più povere di Paesi svantaggiati come l’India o l’Ucraina. Sfruttandone la condizione di disagio socio-economico per trasformare un desiderio in un arbitrio, ancor più squallido perché perpetrato a danno dei più deboli.
Proprio la tutela di questi “schiavi moderni” è al cuore delle proposte del centrodestra di rendere l’utero in affitto reato universale, cioè perseguibile anche se commesso oltreconfine. Proposte che, come riporta l’ANSA, sono state ora incardinate presso la Commissione Giustizia della Camera.
Valga in merito una profetica citazione risalente al 1918, che campeggia sul Forum del Corsera. «Le povere fanciulle potranno farsi facilmente una dote. A che serve loro l’organo della maternità? Lo cederanno alla ricca signora infeconda che desidera prole per l’eredità dei sudati risparmi maritali […]. La vita, tutta la vita, non solo l’attività meccanica degli arti, ma la stessa sorgente fisiologica dell’attività, si distacca dall’anima, e diventa merce da baratto».
Invettiva non di un pericoloso reazionario, bensì di Antonio Gramsci, co-fondatore del Pci. Tanto per dire che, forse, quanti hanno difficoltà a fare i conti con la biologia dovrebbero almeno farli coi propri idoli. Che può anche essere un modo per unire… l’utero al dilettevole!