Vaccino anti-coronavirus, ci siamo quasi: quello di Pfizer è efficace al 90%
L’antidoto, sviluppato assieme a BioNTech, non causa effetti collaterali. Entro l’anno saranno prodotte 50 milioni di dosi, inizialmente destinate alle categorie a rischio
La buona notizia di oggi viene direttamente dal fronte del vaccino anti-coronavirus, e più precisamente dall’azienda farmaceutica statunitense Pfizer. Il cui Presidente e Amministratore Delegato, Albert Bourla, ha dato l’annuncio che tutto il mondo attendeva. Il farmaco sviluppato assieme alla tedesca BioNTech si è rivelato efficace nel prevenire oltre il 90% delle infezioni da SARS-CoV-2 durante la fase 3 della sperimentazione.
Si tratta di un livello di protezione paragonabile a quello degli antidoti contro malattie come il morbillo. Tanto che l’immunologo della Casa Bianca Anthony Fauci ha parlato di efficacia «straordinaria».
E non va dimenticato che l’americana Food and Drug Administration e l’Organizzazione Mondiale della Sanità richiedevano una percentuale minima di efficacia del 50%.
I trials clinici andranno comunque avanti, e nuovi dati dovrebbero essere disponibili entro la terza settimana di novembre. Quelli preliminari evidenziano intanto l’assenza di seri effetti collaterali, limitati a qualche linea di febbre in alcuni dei volontari. Non a caso, le due società hanno già anticipato l’intenzione di chiedere alla FDA l’autorizzazione alla produzione.
Dichiarazioni che hanno fatto esultare il Presidente Usa Donald Trump, in un cinguettio stranamente risparmiato dalla censura dei Torquemada contemporanei di Twitter. «La Borsa è in forte rialzo, il vaccino arriverà presto. Report sull’efficacia al 90%. Grandi notizie!»
All’inizio il vaccino anti-coronavirus non basterà per tutti
In realtà, per una commercializzazione su vasta scala del vaccino anti-coronavirus bisognerà ancora attendere. Pfizer e BioNTech prevedono infatti di consegnare 50 milioni di dosi nel mondo entro quest’anno, e 1,3 miliardi nel 2021. La Commissione europea se ne è già assicurata preventivamente 200 milioni, che il Presidente Ursula von der Leyen vorrebbe aumentare a 300. Da ripartire però fra tutti gli Stati membri della Ue in base alla popolazione.
Va da sé che le prime dosi non basteranno per tutti, perciò verranno inoculate prioritariamente alle categorie a rischio: anziani, operatori sanitari e forze dell’ordine.
Anche così, comunque, resta comprensibile l’ottimismo del Ministro della Salute teutonico Jens Spahn. Secondo cui «allo stato attuale è probabile che si possa arrivare velocemente come mai prima nella storia dell’umanità a un vaccino contro un nuovo virus». Anche se «alla domanda su quali quantità di dosi e da quando saranno a disposizione non possiamo ancora rispondere».
Come funziona il vaccino anti-coronavirus
Il vaccino anti-coronavirus messo a punto dalla partnership tedesco-americana si basa sull’Rna messaggero. Si tratta di una tecnica innovativa, che evita di dover ricorrere a una versione depotenziata dell’agente patogeno, come nei preparati “classici”.
In pratica, nell’organismo viene introdotta una sequenza artificiale di mRNA, che è l’interprete biologico tra DNA e ribosomi – le particelle che sintetizzano le proteine. Un po’ come se una fabbrica ricevesse via e-mail l’ordine di avviare la produzione in una lingua straniera. Non è un caso che il processo di sintesi delle proteine prenda il nome di “traduzione”.
Nello specifico, le cellule vengono indotte a creare una proteina specifica della corona del Covid-19 – non l’intero virus. È come una foto segnaletica in grado di suscitare la risposta del sistema immunitario – i soldati che difendono il corpo umano. In questo modo, in caso di attacco da parte del vero microrganismo i nostri cecchini biologici saranno già preallertati, e potranno intervenire prontamente per debellare la minaccia.
La principale incognita è la durata dell’immunizzazione, che dovrebbe essere di 6-12 mesi. Allo stato attuale, però, non vi è alcuna certezza in merito.
La ricerca non si ferma
La ricerca comunque non si ferma. Per la fine del mese, o al massimo a dicembre, dovrebbero arrivare le analisi relative a due altri preparati. Quello dell’americana Moderna, che sfrutta la stessa metodologia basata sull’mRNA. E quello del colosso farmaceutico anglo-svedese AstraZeneca, messo a punto a Oxford e le cui dosi sono prodotte a Pomezia dalla società IRBM. Inoltre, entro il termine dell’anno dovrebbe terminare anche la sperimentazione dell’antidoto dell’altra azienda statunitense Johnson&Johnson.
Insomma, la vittoria nella guerra contro il coronavirus potrebbe davvero essere vicina. E anche per l’attesissimo ritorno alla normalità possiamo forse, cautamente, avviare finalmente il sospirato conto alla rovescia.