Vaccino anti coronavirus, lo (sconcertante) obbligo occulto del Vaticano
Una nota della Santa Sede annuncia il licenziamento per i dipendenti “no vax”: evitando però di affrontare il vero problema, che riguarda la moralità di alcuni sieri
Cosa c’entra il Vaticano con il vaccino anti coronavirus? La risposta più ovvia sarebbe “niente”, eppure Oltretevere si stanno impegnando a fondo per smentire il Rasoio di Occam. Producendosi in una serie di prese di posizione e poi di deliberazioni che risultano piuttosto sconcertanti per almeno parte del popolo cattolico.
Il Vaticano e il vaccino anti coronavirus
Evidentemente i dibattiti nel mondo politico – e nella variegata maggioranza che sostiene il Governo Draghi – non erano sufficienti. E così, per buona misura, le polemiche sul vaccino anti coronavirus hanno raggiunto e sono deflagrate anche presso Santa Romana Chiesa.
Merito – si fa per dire – di un discutibile decreto firmato l’8 febbraio dal Cardinale Giuseppe Bertello, Presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano. Decreto che affronta proprio la vexata quaestio del siero anti-Covid – però soltanto in modo parziale e senza considerare minimamente i risvolti etici. Che, per i credenti, non sono esattamente un dettaglio.
L’atto sottolinea che la Santa Sede «adotta tutte le misure necessarie volte a ridurre il rischio» legato alla pandemia, inclusa la vaccinazione. E fin qui, naturalmente, tutto bene. Tuttavia, per chi dovesse rifiutare l’antidoto «senza comprovate ragioni di salute» scatterebbero «conseguenze di diverso grado, che possono giungere fino alla interruzione del rapporto di lavoro».
Il che può anche essere lecito, se non fosse che il provvedimento premette che il vaccino anti coronavirus non è obbligatorio. Come del resto ha ribadito un’arzigogolata nota della stessa Commissione, parlando di «uno strumento che in nessun caso ha natura sanzionatoria o punitiva» per i lavoratori.
Una precisazione che suona come un tentativo di nascondere la mano dopo aver lanciato il sasso. Un’imposizione mascherata, infatti, resta comunque un’imposizione che, per quanto legittima e magari condivisibile, non può non destare perplessità. Soprattutto se arriva dalla Curia romana.
L’idolatria del siero anti-Covid
Eppure, l’aspetto dirimente è ancora a monte, e riguarda una sorta di idolatria del vaccino anti coronavirus che si era già manifestata sul finire del 2020. Quando la Congregazione per la Dottrina della Fede (cioè l’ex Sant’Uffizio) si era espressa sulla moralità di alcuni sieri allora in preparazione. Che erano stati sviluppati utilizzando (nella produzione o anche solo nella sperimentazione) linee cellulari provenienti da feti abortiti.
Il documento definiva «moralmente accettabile» utilizzare questi antidoti (in caso non ve ne fossero di «eticamente ineccepibili»), al fine del «perseguimento del bene comune». Tuttavia, con un’ulteriore arrampicata sugli specchi aggiungeva anche che «l’utilizzo moralmente lecito di questi tipi di vaccini» non legittima in alcun modo la pratica dell’aborto.
Come (e se) questi due aspetti si possano conciliare, resta un mistero. Della fede, ça va sans dire.