Valeria Fioravanti, rinvio a giudizio per i medici: morì per una diagnosi errata
Cruciale è stata la consulenza disposta dalla Procura, contestata dagli avvocati della difesa, che hanno chiesto l’archiviazione per l’insussistenza del fatto
Due giorni fa, la sua bambina ha chiesto di lei. Quando Valeria Fioravanti è morta nel gennaio 2023, la piccola aveva solo un anno e mezzo. Ieri, i genitori e la sorella della ventisettenne si sono stretti in un lungo abbraccio. Il giudice per l’udienza preliminare di Roma ha rinviato a giudizio tre medici accusati di aver scambiato una grave forma di meningite per un semplice mal di testa e una lombosciatalgia.
Omicidio colposo
L’accusa è di omicidio colposo. Cruciale è stata la consulenza disposta dalla Procura, contestata dagli avvocati della difesa, che hanno chiesto l’archiviazione per l’insussistenza del fatto. Tuttavia, secondo la perizia, la malattia che uccise Valeria non fu riconosciuta: non si eseguirono gli esami specifici in tempo, nonostante il quadro clinico suggerisse la possibilità di meningite.
«Mia figlia non si reggeva in piedi – racconta la madre fuori dall’aula – eppure un’infermiera del triage ci ha detto di tornare a casa e aspettare che i medicinali facessero effetto. Abbiamo insistito, ma lei ha minacciato di chiamare i carabinieri. Ora avrei voluto che li avesse chiamati davvero». L’infermiera non è coinvolta nel processo, che inizierà il 16 settembre 2025.
La storia
Valeria ha ricevuto due diagnosi errate nei pronto soccorso della Capitale. Lamentava dolori diffusi e un forte mal di testa. I medici le diagnosticarono una cefalea causata da un movimento sbagliato mentre si lavava i capelli. La seconda diagnosi errata avvenne una settimana dopo, in un altro ospedale romano, dove le fu diagnosticata una lombosciatalgia. Le prescrissero Toradol, un forte antidolorifico. «Solo una dottoressa sospettò che i sintomi di Valeria potessero nascondere qualcosa di più grave, come una setticemia», racconta il padre commosso dopo il rinvio a giudizio.
Il calvario di Valeria iniziò durante il periodo natalizio del 2022. Si recò in ospedale per la rimozione di un foruncolo infiammato. Nei giorni successivi continuò a stare male. Il 29 dicembre andò in un altro ospedale, dove le fu diagnosticata una cefalea e prescritta una cura di dieci giorni. Il quadro non migliorò e, dopo una nuova visita, il 4 gennaio, si recò in una terza struttura ospedaliera, dove le fu fatta una tac lombo-sacrale: diagnosi di sospetta lombosciatalgia e altro Toradol. Due giorni dopo, la situazione precipitò. Una tac cerebrale rivelò una meningite acuta in fase avanzata. Nonostante i disperati tentativi per salvarla, Valeria morì il 10 gennaio.
Le reazioni
«Siamo soddisfatti, anche se Valeria ci manca come l’aria – commentano i genitori Tiziana e Stefano – Siamo fiduciosi nel corso della legge. È evidente l’errore dei medici: non hanno messo Valeria sotto osservazione, le hanno dato un antidolorifico. Non ci sono parole. Una ragazza che si rivolge al pronto soccorso per quattro volte, sempre in condizioni peggiori, e ogni volta le cambiano cura. In 15 giorni l’hanno uccisa». Secondo l’accusa, i medici furono «superficiali» nel trattare la paziente. La diagnosi sbagliata e la somministrazione di un potente antinfiammatorio, che ha eliminato il dolore ma non fermato la malattia, hanno impedito un intervento tempestivo per scongiurare il decesso. Di Valeria rimane il ricordo, la forza dei familiari che chiedono giustizia, e soprattutto la sua bambina che guarda il cielo e manda baci alle nuvole.