Vaticano, ora si norma il Papa emerito: a conferma della nostra scoperta?
Dopo le voci sulle possibili dimissioni di Bergoglio, la riforma diventa di colpo indifferibile. Il che corrobora l’idea che Benedetto XVI sia ancora il titolare di una (Santa) Sede impedita
Dopo soli otto anni dalla celeberrima Declaratio di Benedetto XVI, in Vaticano si sono accorti di un piccolo e insignificante problema giuridico. Il fatto che l’istituto del Papa emerito, semplicemente, non esiste – tanto che pare si stia lavorando a una riforma per disciplinare la materia. Il che equivale a chiudere la stalla quando i buoi sono scappati da un pezzo: e corrobora la nostra recente intuizione rilanciata anche da Libero.
Il Vaticano e l’istituto del Papa emerito
Insomma, benché in “lievissimo” ritardo il Vaticano starebbe cercando di normare lo status di Papa emerito. Il motivo risiederebbe nella possibilità che Jorge Mario Bergoglio si dimetta per motivi di salute dopo l’operazione al colon di inizio luglio. Una prospettiva che potrebbe essere più concreta di quanto s’immagini, se è vero che Oltretevere si sussurra che la regolarizzazione dell’emeritato «pare oramai urgente e indilazionabile».
Tuttavia, questa svolta dovrebbe far sorgere spontanea (almeno) una domanda: e allora Joseph Ratzinger cos’è stato negli ultimi otto anni? Soprattutto alla luce del fatto che ancora indossa la veste bianca, vive in Vaticano, si firma P.P. (Pater Patrum) e impartisce la benedizione apostolica.
Eppure, da otto anni tutti ripetono che il Papa è uno solo – incluso Benedetto XVI, che però non ha mai specificato chi. D’altronde, nella sua ultima udienza generale aveva precisato che «il “sempre” è anche un “per sempre”». Aspetti cui ora si è aggiunta la deflagrazione della querelle sul Papato emerito.
Ma attenzione: se Joseph Ratzinger è ancora il Pontefice regnante, Francesco non può legittimamente modificare l’istituto, né tantomeno dimettersi (da una carica che non riveste). Ma, soprattutto, un Conclave chiamato a eleggere un suo epigono darebbe vita a una linea successoria antipapale. Cosa di cui Benedetto XVI sembrerebbe consapevole, anche sulla base della scoperta shock che abbiamo illustrato qualche giorno fa.
La sede impedita
Nel libro-intervista Ultime conversazioni, il giornalista Peter Seewald ha rivolto a Papa Ratzinger una domanda che faceva riferimento alla cosiddetta “profezia di Malachia”. Una lista di motti latini che designano 111 futuri Papi, tradizionalmente attribuita a San Malachia di Armagh e che si conclude proprio con Benedetto XVI.
«E se lei fosse effettivamente l’ultimo a rappresentare la figura del papa come l’abbiamo conosciuto finora?» chiedeva l’intervistatore. E il Pontefice tedesco ha incredibilmente replicato che «tutto può essere». Ignorando cioè Bergoglio.
Come argomenta il collega di Libero Andrea Cionci, queste apparenti contraddizioni si sanerebbero se si leggesse la Declaratio del febbraio 2013 con occhi diversi. Ovvero, non quale dichiarazione di rinuncia (com’è stata erroneamente interpretata), bensì, in accordo col Canone 412, di “sede impedita”. Che si ha quando il Vescovo diocesano è impossibilitato a esercitare l’ufficio pastorale «a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani».
I “lupi” in Vaticano
Giova ricordare che, otto anni fa, il mite teologo bavarese si trovò letteralmente accerchiato da quei «lupi» che aveva evocato nella Messa inaugurale del suo pontificato. Lupi che erano tanto all’esterno quanto all’interno delle Mura leonine.
Si pensi alle rivelazioni (mai smentite) del cardinale belga Godfried Danneels, membro della Mafia di San Gallo che mirava proprio a far dimettere Benedetto XVI. O al caso Vatileaks, lo scandalo delle lettere private di Sua Santità trafugate dal suo maggiordomo, fotocopiate e cedute alla stampa. O al fatto che l’allora Segretario di Stato, cardinal Tarcisio Bertone, avesse silurato Ettore Gotti Tedeschi, Presidente dello Ior (la banca della Chiesa), all’insaputa del Papa.
Soprattutto, si pensi al blocco dei bancomat vaticani imposto da Bankitalia per interposta Deutsche Bank Italia. A cui erano state trasferite molte attività finanziarie dell’Istituto per le Opere di Religione, e a cui Palazzo Koch impedì qualunque transizione fino alle dimissioni di Papa Ratzinger. Il quale, però, parrebbe invece aver optato per una dichiarazione di (Santa) Sede impedita.
La vexata quaestio dell’emeritato, insomma, potrebbe portare alla luce delle verità sepolte, su cui forse, dal 2013, Benedetto XVI semina indizi. Quanti ne servivano per fare una prova?