“Verità per Stefano Cucchi”
Oltre la sentenza, la solidarietà degli italiani alla famiglia Cucchi
“Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte, mi cercarono l’anima a forza di botte”, recita il testo della canzone di Fabrizio De Andrè, dedicato da un utente YouTube alla storia di Stefano Cucchi. Stefano, trentuno anni, arrestato il 15 ottobre 2009 per detenzione di droga, è deceduto una settimana più tardi all’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove era stato ricoverato dopo il processo per direttissima. Il corpo senza vita del giovane è segnato da lesioni ed ecchimosi evidenti. Alle gambe, al viso, all’addome e al torace, ma due giorni fa, la Corte d’Assise ha assolto “per insufficienza di prove” tutti gli imputati. Nessuno dei sei medici, tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria risponderà, almeno per ora, di quei traumi e della morte di Stefano.
In attesa dell’esito del ricorso per Cassazione, intrapreso dal rappresentante legale della famiglia Cucchi, la madre accusa: “E’ assurdo, mio figlio è morto dentro quattro mura dello Stato che doveva proteggerlo”, e ancora: “Vogliamo la verità”, ha aggiunto il padre. Poi c’è Ilaria, la sorella, il suo commento alla sentenza d’assoluzione, affidato alla rete, è stato condiviso da 2.561.000 utenti in poco più di ventiquattro ore. “Insufficienza di prove. Per tutti. Non ce l’ho con i giudici, che rispetto. Ma voglio chiedere al dottor Pignatone, procuratore capo della Repubblica di Roma, se è soddisfatto dell’operato del suo ufficio – scrive Ilaria – . Voglio chiedergli se quando mi ha detto che non avrebbe potuto sostituire i due pubblici i ministeri che continuavano a fare il processo contro di noi, contro il mio avvocato, e contro mio fratello ha fatto gli interessi del processo e della verità sulla morte di Stefano. Insufficienza di prove. Caro procuratore capo. Su tutto e per tutti. Ma l’importante è tutelare il prestigio dei colleghi. Grazie.”
Una giornata nera, quella di ieri, dove, all’indignazione dei familiari, per una sentenza reputata ingiusta e pilatesca, si aggiungono episodi shock. Come il comunicato diramato dal segretario dei sindacato di polizia Gianni Tonelli. “Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze. Senza che siano altri, medici, infermieri o poliziotti in questo caso, ad essere puniti per colpe non proprie”. Secondo il segretario Sap la colpa della morte di Stefano è di Stefano. Oltre alle parole di Tonelli, c’è stato “il dito medio degli imputati dopo la sentenza”, documentato con uno scatto da La Repubblica.it. La foto, scattata nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, ritrae alcune persone che rivolgono il dito medio alla famiglia Cucchi al termine della lettura del verdetto. Dei “gesti terribili”, commenta Ilaria.
Nonostante tutto questo, a chiedere giustizia per Stefano, oltre alla famiglia e agli amici, ci sono tantissime persone. Persone comuni. Dal 2009 ad oggi, per Cucchi, sono stati disegnati muri, stampati manifesti, esibiti striscioni. Romait ve ne offre una piccola panoramica. Piccoli gesti di solidarietà, che non possono sopperire al corso della giustizia, né cancellare il dolore e le offese, ma senz’altro dimostrano ad Ilaria e alla sua famiglia di non esser da soli.