“Vi racconto come la Mafia è arrivata e si è radicata nel Lazio”
Intervista ad Antonio Turri, presidente de “I Cittadini contro le Mafie e la Corruzione”
Siamo con Antonio Turri, presidente nazionale de “I Cittadini Contro le Mafie e la Corruzione", per chiedergli quali saranno le conseguenze e dove arriverà l’inchiesta della DDA di Roma, che gran parte del mondo politico istituzionale sta scuotendo in questi giorni.
Dott. Turri quali sono stati i presupposti di questa inchiesta della Procura romana?
Negli anni '80 era il Sud Pontino, cioè quella parte di territorio della Regione Lazio compresa tra le città di Aprilia e Minturno, passando per Latina, Fondi, Gaeta e Formia, che rappresentava, per alcuni investigatori della Polizia di Stato, un laboratorio privilegiato sull’evoluzione nell’agire delle mafie storiche: “cosa nostra, ’ndrangheta, camorra”, fuori dalle tradizionali zone di influenza. Dalla fine degli anni '80 i boss delle mafie meridionali, molti dei quali residenti in quei centri laziali, a causa dei forzati e scellerati divieti di soggiorno nelle terre di origine, una volta trasferiti in quei territori, interagendo con pezzi della criminalità autoctona e della politica locale, tentavano di contaminarne economie e società, realizzando quel sistema criminale nuovo e particolarmente pervasivo a cui demmo il nome di “Quinta Mafia”. Era il 1992, quando con alcuni colleghi della Squadra Mobile della Questura di Latina, della Squadra Anticrimine e della Criminalpol, cominciammo ad intuire che se si mettevano in fila e si analizzavano con una visione d’insieme i “modus operandi” dei moltissimi esponenti di spicco della criminalità organizzata di tipo mafioso e del loro consistente seguito di delinquenti, si palesava uno scenario del tutto inquietante.
Che cos’è la “Quinta Mafia”?
Quello che avverrà dieci anni dopo fa capire come si sia passati dalla prima infiltrazione delle mafie nel Lazio dalla porta principale, rappresentata dal ponte sul fiume Garigliano che costituisce il confine naturale tra quest’ultima regione e la Campania, al radicamento delle stesse, alla fase attuale della contaminazione della delinquenza locale e dei settori collaboranti della politica e dell’economia autoctona. Già, perché, senza la complicità dei “colletti bianchi”, i boss residenti nel Lazio non si sarebbero mai riciclati in imprenditori e faccendieri nel ciclo del cemento, nel ciclo dei rifiuti o nella commercializzazione e nel trasporto nazionale dei prodotti dell’agroalimentare. Affari per miliardi di euro che, dai tempi della prima repubblica ad oggi, vedono ancora protagonisti questi vecchi e nuovi cattivi maestri di quel metodo mafioso che annoveriamo sotto il nome di “Quinta Mafia” o “mafia da contaminazione”. Questo metodo, per lungo tempo negato nella sua pericolosità da pezzi della politica e delle classe dirigente del Paese, tende alla “mafiosità inclusiva” attraverso lo strumento della convenienza e dell’omertà. Convenienza per i settori autoctoni dell’economia e delle professioni a collaborare con i mafiosi d’importazione e della stessa criminalità locale e quest’ultima, ad emulare ed interagire con i boss del meridione. Omertà diffusa perché i Cittadini sono consapevoli del rischio e della presenza di questi gruppi criminali, i cui esponenti rappresentano, spesse volte, nei quartieri delle città interessate al fenomeno: “i mafiosi della porta accanto”. Il metodo della contaminazione mafiosa dei territori si è andato estendendo fin dalla metà degli anni '90, in ampi territori della provincia di Roma, Capitale compresa e, da alcuni anni, interessa particolarmente tutto il litorale laziale. Basti ricordare quanto avvenuto nei centri di Anzio e Nettuno, comune quest’ultimo che ha visto la propria amministrazione comunale sciolta nel novembre del 2005, per essere stata infiltrata da un gruppo criminale mafioso “calabro-laziale” particolarmente aggressivo. Ancora, è storia di questi mesi, la polemica seguita alle operazioni della magistratura contro i clan mafiosi del quartiere romano di Ostia, dove le presenze mafiose e le relative conseguenze sono state negate per decenni. Dove è chiara la contaminazione oggettiva operata dai vecchi boss campani e siciliani nei confronti di settori della malavita locale è in quel che resta della vecchia aggregazione criminale chiamata “Banda della Magliana” che non è mai stata sconfitta ma si è trasformata in una organizzazione criminale della Quinta Mafia. Nomi famosi come quelli dei Fasciani, rincorrono le cronache dei giornali con altri come quelli dei clan Senese, Cuntrera- Triassi e di altri esponenti della criminalità importata nella Capitale.
Come si è evoluto il fenomeno criminale e l’area del Lago di bracciano e comunque il nord del Lazio è interessato a questo fenomeno criminale?
La storia iniziale di quel processo criminale che va sotto il nome di “contaminazione mafiosa” di un territorio o di “Quinta Mafia”, che continua ad evolvere, ad inglobare altri soggetti e a manifestarsi come modello “economico, sociale e culturale” è di non difficile comprensione se non si ripetono, come già detto, gli errori di analisi e di sottovalutazione, anche istituzionale, che hanno ritardato forme di lotta più incisive. Le sottovalutazioni hanno compromesso di non poco la vivibilità per i cittadini di molte parti del territorio della regione Lazio. La negazione trentennale della pervasività della mafia autoctona, ha fatto si che il fenomeno si stia estendendo, inesorabilmente, in altre regioni del centro-nord del Paese.
Cosa intende dire?
Mi riferisco, per quanto riguarda la regione Lazio alle sottovalutazione ed ai ritardi nel contrasto all’azione di contaminazione mafiosa nella vasta area territoriale, compresa, tra i comuni di Cerveteri, Ladispoli, Santa Marinella e Civitavecchia.Così come sostenuto dal magistrato Giuseppe Deodato, si devono registrare da anni presenze di famiglie riconducibili a clan criminali organizzati nei centri che da Fiumicino raggiungono il comune di Bracciano.
Qualche esempio?
In una interrogazione parlamentare del 16 luglio del 2012 il deputato Jean Leonard Touadi, chiedeva all’allora ministro dell’interno” il territorio di Civitavecchia risulta infiltrato da organizzazioni criminali di varia matrice, in particolare «il litorale nord del Lazio (Ladispoli, Cerveteri, S. Marinella e Civitavecchia), continua a rappresentare un'area d'interesse criminale per diverse propaggini di sodalizi camorristici attivi nel traffico e spaccio di sostanze stupefacenti» (Relazione semestrale Direzione investigativa antimafia al Parlamento secondo semestre 2009); A Civitavecchia, "nell'ambito dell'operazione Civita-Memento sono state riscontrate le attività delle famiglie gelesi dei Rinzivillo ed Emanuello, interessate all'acquisizione di subappalti e fornitura di manodopera per i lavori della Centrale di Torrevaldaliga Nord" (Relazione semestrale Direzione investigativa antimafia al Parlamento secondo semestre 2009); Nella città di Civitavecchia risulta attiva nel settore della ristorazione anche la famiglie… contigue a cosa nostra trapanese; il porto di Civitavecchia è, secondo la Direzione investigativa antimafia, uno dei principali ingressi illeciti di merci; il 26 novembre del 2011 nell'ambito dell'inchiesta Vesuvio i carabinieri eseguivano diverse ordinanze custodiali nei confronti di appartenenti a clan camorristici operanti a Ladispoli; tra il 2010 e il 2011 nella città di Civitavecchia sono stati compiuti diversi attentati ai danni di operatori commerciali: il 12 giugno 2010 è stato incendiato il capannone nella zona industriale della ditta "Ceramiche dal Mondo", il 4 gennaio del 2011 è stato incendiato il locale del commerciante del mercato Giuseppe Sammarco : quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per contrastare al meglio le organizzazioni criminali nell'alto Lazio, in particolare in relazione alla possibilità di infiltrazioni nei lavori pubblici e nella realizzazione dell'ampliamento del porto di Civitavecchia”. Ed ancora in un recente rapporto del Cnel si legge: la contraffazione di prodotti, lo sfruttamento della prostituzione e il riciclaggio sono i principali settori di business illegale della mafia cinese in Italia. Attività che stanno ormai soppiantando quella "tradizionale"… e ormai consolidato lo sfruttamento dell'immigrazione clandestina dalla Cina che è diventato complementare. Ancora una volta emerge la centralità del porto di Civitavecchia nella questione mafia cinese infatti lo studio continua affermando tra l’altro: “Roma è il principale centro di smistamento della merce contraffatta proveniente dalla Cina. Un indicatore che esemplifica la rilevanza del commercio di prodotti importati dalla Cina è il prezzo d'affitto per metro quadrato dei capannoni lungo la Casilina e la Prenestina dove viene momentaneamente allocata la merce sdoganata dai porti di Napoli e di Civitavecchia, in attesa di entrare nel circuito della distribuzione commerciale…”.
Quindi ritiene si debbano estendere queste indagini?
Si la mafia è come il cancro, genera metastasi che sia allargano in tutto il corpo portandolo alla morte. Quindi c’è bisogno che le Procure circondariali della Repubblica e le Forze di Polizia facciano di più anche a nord di Roma.