Violenza su donne e bambini: il ruolo decisivo della prevenzione psicologica
Ormai è una deriva sociale e non più singoli episodi assoggettabili solo a malati di mente che fanno violenza su donne e bambini
Cura di Vetralla, frazione in provincia di Viterbo, Sassuolo, provincia di Modena. Due cittadine sconvolte da eventi delittuosi, due scenari macabri che devastano l’opinione pubblica. Scenari all’apparenza diversi ma con un unico movente, la vendetta.
Ferocia inaudita contro il bambino e la moglie
Cura di Vetralla, una madre che rientra in casa e trova il proprio figlio di dieci anni agonizzante e l’ex marito, presumibilmente autore del reato, in stato di incoscienza nella stanza adiacente. Sassuolo, una ragazza di dodici anni che all’uscita di scuola non trova nessuno ad attenderla, il personale scolastico avvia un giro di telefonate e i familiari si allarmano anche per via delle precedenti minacce che Nibil Dhahri aveva rivolto alla compagna, madre della ragazza dopo una separazione non accettata. Uno scenario raccapricciante, una famiglia sterminata è quanto si presenta davanti agli occhi delle forze dell’ordine accorsi nell’abitazione.
Matias, Cura di Vetralla, è un bambino come tanti con sogni e speranze, perché a dieci anni si è solo bambini e come tali si dovrebbe esser trattati, accuditi ed aiutati in quel percorso di crescita tanto complicato che è la preadolescenza. Un bambino, appunto come tutti, che chiedeva cure, amore ed attenzioni, felice di rientrare a casa e riabbracciare la mamma dopo una giornata passata a scuola con l’euforia di raccontarle quanto fatto in classe, le nozioni apprese, le ansie e le paure del normale processo evolutivo tipico di quell’età.
Invece proprio nelle mura domestiche che dovrebbero essere luogo di protezione e sicurezza, Matias ha trovato la morte. Ha aperto lui la porta proprio al suo carnefice. Lo ha fatto perché a bussare è stato il padre; e un padre è per un figlio colui che protegge. Ma proprio quel bisogno innato dentro ogni bambino in un attimo ha spezzato tutti i suoi sogni, quelli di futuro che aveva immaginato sicuramente lontano da situazioni complicate e conflittuali alle quali il ragazzo purtroppo assisteva da anni.
Il padre, un modello che significa protezione
Il padre, una figura che soprattutto in quell’età diviene modello da seguire, da prendere ad esempio e figura genitoriale alla quale potersi aggrappare nei momenti difficili. Perché un padre deve proteggere e mai uccidere. Mirko Tonkow di 44 anni, era sottoposto a misura restrittiva con divieto di avvicinamento alla famiglia, già adottate in occasioni di precedenti aggressioni all’interno del contesto familiare. Ma qualcosa non ha funzionato nel sistema di protezione e di assistenza sociale e a pagarne le conseguenze è stato Matias.
Sassuolo, due bambini piccolissimi, innocenti, si approcciavano da poco alla vita, avevano il diritto, anche loro come tutti i bambini, di crescere in una famiglia che doveva proteggerli, dargli amore e le giuste cure in un contesto sereno, sano, in cui i genitori si sostengono a vicenda. Invece anche in questo caso il padre, quell’uomo che li ha messi al mondo in un attimo con una violenza inaudita li strappa alla vita, anche qui dentro casa, nel luogo in cui avrebbero dovuto essere al sicuro da ogni circostanza avversa. Nabil Dhahri non ha accettato la separazione dalla ex compagna Elisa Mulas, alla quale riservava minacce di morte reiterate e costringendo la donna a sporgere denuncia e recarsi anche presso un centro anti violenza.
Le ripetute violenze all’interno del nucleo familiare
Il padre di Matias, una persona sicuramente fragile psicologicamente che celava la sua fragilità attraverso l’aggressione verbale e fisica nei confronti delle persone a lui più care, persone indifese, come il figlio e la moglie; Nabil Dhahri anche lui psicologicamente fragile che non riesce ad elaborare la separazione dalla compagna. Entrambi assassini, entrambi uomini che riservano rancore verso le rispettive compagne perché incapaci di saper accettare la separazione. Un ridondante movente questo che sta riempiendo le cronache ormai quotidianamente nel nostro paese.
Verso le mogli si scagliano Mirko Tonkow e Nabil Dhahri, carichi di risentimento, di un senso di vendetta, per essere stati non solo lasciati ma soprattutto allontanati dal loro contesto familiare. Sono loro l’obbiettivo. I figli solo lo strumento. Ma perché? Dare una risposta non è semplice. Le variabili che intervengono dentro certe dinamiche hanno radici diverse che abbracciano contesti diversi. Tutte però si riferiscono sicuramente ad aspetti della psiche ben conosciuti e studiati. E allora perché si continua ad assistere inermi difronte a certi aberranti comportamenti?
Una deriva sociale la violenza su donne e bambini
L’organizzazione sociale e istituzionale ha l’obbligo di intervenire su un problema come quello che i due tragici episodi raccontano. Stiamo parlando ormai di una deriva sociale e non più di singoli episodi assoggettabili solo a malati di mente. È evidente il cortocircuito dato da un modello sociale basato sull’emancipazione della donna da una parte e su quello culturale dell’uomo ancora troppo arroccato su regole patriarcali. Errore grandissimo sarebbe altresì archiviare il tutto solo perché gli ultimi episodi fanno riferimento a contesti di immigrati.
Serve un’approccio diverso, un approccio che veda la collaborazione e cooperazione fra diverse strutture e diverse istituzioni. Serve investire sulla psicoeducazione del nostro tessuto sociale per riempire quei vuoti che il progresso porta con sé. Per farlo occorre in primis prendere coscienza della fragile natura umana troppo spesso esaltata e sempre più centro dell’intero universo. Serve tornare sull’uomo investendo sulle sue debolezze e non esaltando l’individuo attraverso il modello sempre più in voga del super uomo.
Bisogna intervenire a più livelli, lavorando minuziosamente nel tessuto sociale arrivando ad intercettare il malessere del singolo e non trattando il tutto solo con il grandangolo in uso alla politica due punto zero. Una politica che mai come in questi ultimi due anni ha affrontato la salute ma che lo ha fatto solo ed esclusivamente ridimensionandola ad un contesto di patologia fisica, dimenticando che il malessere sociale e di rimando quello psichico sono il perno centrale della salute umana. Serve cultura, serve informazione, serve supporto. Non solo braccialetti e meri atti giuridici.
In collaborazione con la Dott.ssa Carmela Maiolo, Psicologa clinica della riabilitazione