Vita da cameriere, basta un solo giorno di riposo?
Un ristorante di Milano propone due sere a settimana per l’equilibrio tra vita privata e professionale. Non tutti però la pensano così
Vita privata e lavoro come cameriere: un binomio che pare davvero di difficile intesa. Si torna nuovamente a parlare della categoria lavorativa della ristorazione, perché questa storia si arricchisce ancora di un altro capitolo. Il tema è questa volta legato al giorno di riposo.
I fatti
Già la scorsa estate si parlava della difficoltà di riscontrare lavoratori nel suddetto settore, nonostante promesse e offerte di condizioni pertinenti al ruolo, con orari e paghe dignitose. “Non si trovano lavoratori”, tuonava qualche gestore di attività, lamentando il fatto che la maggior parte dei candidati per ruoli di camerieri e personale di sala preferiva rinunciare a un’eventuale assunzione, optando per la scelta di non rinunciare al reddito di cittadinanza.
Era dunque partita una vera e propria ricerca estesa ad ampio raggio, per intercettare chi evitava ruoli di gestione tavoli, ordinazioni e cucine. Un vero e proprio lavoro con inizio e conclusione repentina. La situazione è stata descritta anche da un’analisi redatta dall’Osservatorio sul mercato del lavoro della Città metropolitana di Milano. I dati indicavano che all’indomani della pandemia i nuovi rapporti di lavoro, indipendentemente dalla tipologia di contratto e di durata, erano di fatto aumentati del 23,8 per cento.
La mancanza di personale
Eppure, la situazione racconta sì di assunzioni, ma anche di una perdita consistente di dipendenti. I numeri parlano di un allontanamento pari a circa il 30% del personale, che decide di abbandonare contratti di circa 63mila euro lordi poiché non ritenuti all’altezza di una serie di sacrifici che non consentirebbero un congruo equilibrio tra la vita lavorativa e privata.
Sempre secondo un’indagine dell’Osservatorio della Città metropolitana è stato appurato che sovente una stessa persona è stata avviata più volte nello stesso anno. In altre parole, tutto questo è il sinonimo di un incremento di contratti a tempo determinato reiterati. E questo, fanno sapere dai sindacati, è il preludio per diritti negati.
Le condizioni
Diverse testimonianze parlano in media di un giorno di riposo concesso. Quando va bene. E’ forse quindi intuibile il motivo di un crescente allontanamento di molti lavoratori. Secondo alcuni esperti, un congruo compenso per un cameriere sarebbe calcolabile tra i 1.200 euro netti fino a oltre 2 mila per chi assume la responsabilità di altri lavoratori.
Per le mansioni in cucina poi, il salario ideale da 1.400 a 2.300 e per i lavapiatti da 1.300 a 1.600, sempre per 14 mensilità ed esclusi i festivi, per 48-50 ore settimanali.
Ma in effetti, probabilmente, non si tratta di una mera questione economica. Sarebbe un pensiero lontano troppo distante dal vero, quello di un possibile doppio turno di riposo settimanale? Evidentemente no e a dirlo è l’esempio di un ristorante di Milano.
Il tempo è (meglio del) denaro
Il titolare del ristorante Ribot, sito nella città di Milano, ha deciso di concedere due giorni di riposo consecutivi alla settimana ai propri lavoratori. Un modo, fanno sapere dal ristorante, per concedere una maggiore disponibilità di tempo ai propri dipendenti da trascorrere insieme alle proprie famiglie.
L’armonia dunque ricercata come obiettivo generale. Un obiettivo cercato anche attraverso giochi con premi in palio e altri plus per tutti. Un modo per comprendere che dunque, più che una leggera differenziazione di salario, ciò che conta è la ricerca di uno spazio ben preciso e definito all’interno della propria settimana, da destinare ad affetti e alla cura di se stessi.
E’ un equilibrio auspicabile ed estendibile in maniera ancor più diffusa? Potrebbe essere questa una soluzione per incentivare un settore spesso svilito da facili retoriche, gestioni opinabili e difficoltà fiscali e burocratiche?
E’ dunque il concetto di tempo oggi a ricoprire un ruolo, un valore diverso. In un momento storico nel quale evidentemente i soldi fanno la felicità. Ma sicuramente meno di determinate sicurezze emotive.