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Vu cumprà dopo ‘Optì Pobà’

Il razzismo a parole delle nostre istituzioni

Forse ha ragione chi su Twitter ha scritto: "Vu cumprà? Non si sentiva dai tempi di Jerry Calà". Un semplice tweet che fissa nel tempo, alla fine degli anni Ottanta (GRADIT 1986), l'affermazione di questo epiteto spregiativo usato per indicare i venditori ambulanti, specialmente se nordafricani o di colore, che gioca sulla pronuncia distorta, per la loro scarsa padronanza dell'italiano, della frase "Vuoi comprare?".

Ha sorpreso tutti, quindi, che il Ministro dell'Interno, Angelino Alfano, abbia riesumato tale espressione per illustrare la campagna "Spiaggie sicure" per la prevenzione e il contrasto dell'abusivismo commerciale e della contraffazione. "I turisti, i nostri cittadini – ha detto Alfano, così come riportato sul sito del Ministero – potranno tranquillamente trascorrere le loro giornate in spiaggia, senza la processione dei 'vu' cumprà', prevalentemente extracomunitari, dediti al commercio abusivo di prodotti di provenienza illegale".

Ha sorpreso sia per i tempi che per i modi. La coincidenza, poi, con il più fresco neologismo, 'Optì Pobà' del neo presidente della Figc, Carlo Tavecchio, ha spinto molti commentatori a tracciare un 'fil-rouge' di decadimento delle istituzioni a colpi di 'razzismo democratico'. Un razzismo a parole "ma non per questo meno nocivo, meno condannabile, meno degradante", affermava tempo fa Federico Faloppa, docente di linguistica italiana nelle università inglesi, e autore di un saggio sul tema.

Si tratta di uno "scadimento del tono pubblico", scrive Luigi La Spina sulla Stampa, che punta ad "allinearsi a quella imperante volgarità che si ritiene fonte di complici consensi" ma che "sta diventando troppo generalizzato per considerarlo accettabile". Quello di Alfano, scrive Francesco Merlo su Repubblica, è un "razzismo ruspante" che si cela dietro la lotta alla contraffazione: "l'espressione vu cumprà lo svela. Non perchè è politicamente scorretta ma perchè al contrario è pavida; non per ciò che esprime ma per ciò che nasconde".

E proprio contro i talebani del linguaggio politically correct si scaglia, in controtendenza, Corrado Giustiniani che dal suo blog su Espresso.it lancia la provocazione delle "traiettorie semantiche" di certi termini che "mutano dal positivo al negativo con il passare del tempo". O viceversa. Zingaro, badante, extracomunitario, tanto per citarne alcuni. E vu cumprà: che agli albori identificava "una presenza curiosa e ben vista sulle spiaggie della metà degli anni '70" tanto che "quel termine traduceva sinteticamente, e in dialetto napoletano, questa simpatia". Ora però che sono "tanti, insistenti e indesiderati" chi "continua a chiamarli come prima viene automaticamente iscritto al club degli intolleranti".

Come direbbe Enrico Pugliese, sociologo e accademico italiano, "non esistono parole sbagliate, esiste un uso sbagliato delle parole". Ma è indubbio che ci sono termini ed espressioni che, per dirla con l'ex Ministro dell'Integrazione Ce'cile Kyenge, "nel senso comune sembrano acqua da bere ma racchiudono tutte le accezioni negative verso una fascia di persone deboli". 

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