Walt Disney, l’anniversario della morte e il suicidio woke dell’azienda
Il “papà” di Topolino ci lasciava il 15 dicembre 1966, ma grazie ai suoi personaggi è ancora vivo nell’immaginario collettivo: mentre la sua compagnia sta pagando cara la genuflessione al politically correct
Quest’oggi, 15 dicembre, è l’anniversario della morte di Walt Disney, che lasciava il mondo terreno in questo stesso giorno del 1966. Un mito assoluto che, attraverso personaggi che hanno segnato un’epoca (cominciando naturalmente da Topolino), a distanza di 57 anni è più vivo che mai nell’immaginario collettivo. A differenza della società eponima che, a causa della genuflessione al politically correct, naviga da tempo in pessime acque.
Dal papà di Topolino alla Walt Disney Company
La misura della crisi in cui versa la Walt Disney Company l’ha data un recente tweet di Elon Musk. Il quale dapprima ha sentenziato che la major di Burbank «ha un enorme problema a livello di contenuti». E poi l’ha ironicamente definita «il più grande esempio al mondo di go woke, go broke».
L’espressione può essere tradotta grossolanamente come “diventa woke e va’ in rovina”. Con riferimento all’ideologia censoria affine alla cancel culture a cui la House of Mouse si è piegata da tempo. Per esempio, bollinando grandi classici quali Dumbo, Peter Pan e Gli Aristogatti, improvvisamente considerati veicoli di stereotipi e rappresentazioni denigratorie. Ma, soprattutto, infarcendo le storie di personaggi quasi completamente avulsi da trame sempre più deboli, ma imposti in ossequio al totem dell’inclusività.
Una scelta che non ha mai pagato, come dimostrano i dati ormai perennemente asfittici del box office. Addirittura, come ha sottolineato l’analista Jonathan Turley, la compagnia «a quanto pare ha perso un miliardo di dollari solo da quattro dei suoi recenti flop d’ispirazione woke».
Non stupisce allora che Bob Iger, amministratore delegato dell’azienda californiana, un paio di settimane fa abbia praticamente alzato bandiera bianca. Ammettendo, come riporta la CNBC, che «i creatori hanno perso di vista il loro obiettivo numero uno. Prima di tutto dobbiamo intrattenere. Non è una questione di messaggi».
Un’analisi lucida e del tutto condivisibile, non foss’altro perché riconoscere l’esistenza di un problema è il primo passo per poterlo risolvere. Nel caso specifico, alle parole dovrà seguire l’abbandono dell’attuale deriva iper-progressista e il totale ripensamento dell’agenda politicamente corretta. Anche per consentire al caro vecchio Walt Disney di risposare in pace, smettendo finalmente di rivoltarsi nella tomba.